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A(F)FONDO – L’Almanacco del giorno prima – Dejan Savicevic

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L’Almanacco del giorno prima – Dejan Savicevic

Dejan Savicevic è nato il 15 settembre del 1966 a Titograd, l’odierna Podgorica.  
Ha visto la luce in quella che si chiamava ancora Repubblica Popolare di Montenegro, stato federato della allora Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.
Da molti considerato uno dei migliori calciatori balcanici di tutti i tempi, Savicevic, mancino dotato di grande fantasia, estro e velocità, è stato per molti anni il “dieci” del Milan.
E a Milano si è guadagnato il soprannome con cui ancora il popolo rossonero lo ricorda: il Genio.

Il piccolo Dejo

Dejo, come lo chiamano il papà Vladimir, ferroviere, e la mamma Voika, cresce nel quartiere popolare di Stari Aerodrom (Vecchio aeroporto), dove si divide tra le bravate con gli amici e le partite di calcetto sul campo di cemento dietro la stazione.
Ero un giovane bandito, avevo un futuro da tagliagole. Per fortuna sono diventato un calciatore” dirà di se in un’intervista.
Per fortuna sua e di molti tifosi milanisti.

I primi passi nel calcio

La classe cristallina è evidente già nelle partitelle di “futsal”.
È il migliore, di molto superiore ai suoi coetanei.
Dejo comincia allora a sognare un futuro lontano dalle storiacce di quartiere, un futuro da campione, sull’erba verde di un campo vero.
Viene tesserato, a soli tredici anni, dall’OFK di Titograd.
Due anni di formazione e il futuro bussa alla sua porta.
Il Buducnost (in serbo “Futuro”) Podgorica, club più importante della capitale montenegrina, lo tessera.
Ha quindici anni e comincia a crederci sul serio.
Debutta nella Prva Liga jugoslava e dopo due anni di adattamento esplode.

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La guerra e la prima Coppa dei Campioni

Lo nota la Stella Rossa, la storica squadra della capitale Belgrado, che ne acquisisce le prestazioni nel 1988.
Eredita la pesante maglia numero dieci di un certo Dragan Stojkovic, passato l’anno prima all’Olympique Marsiglia.
Quello stesso anno (qualcuno malizia ci fosse dietro lo zampino del Partizan, che si era visto rifiutato) gli arriva la chiamata alle armi.
Gioca poco, dovendo “servire la Patria”, ma nell’esercito si allena molto, entrando nel reparto speciale chiamato “sportska ceta”, creato apposta per atleti professionisti bisognosi di tenersi in forma e di osservare una alimentazione controllata.
È qui che conosce Zvonimir “Zorro” Boban, il quale diventerà suo grande amico, Darko Pancev e Aljosa Asanovic.
Quando ricomincia a giocare con continuità, insieme a giocatori del calibro di Mihajlovic, Prosinecki, Pancev e Jugovic, fa la storia del club di Belgrado.
Il 29 maggio 1991, nel nuovissimo e bellissimo impianto del San Nicola di Bari, dono di Italia ‘90, la sua Stella Rossa conquista la prima e ad oggi unica Coppa dalle grandi orecchie nella storia del club.
Dejan Savicevic è tra i protagonisti, tanto che in Italia qualcuno lo definisce “il Platini dei Balcani”.
Non vince il pallone d’oro solo perché il premio, francese, va al francese Papin, bomber dell’Olympique Marsiglia sconfitto in finale.

Savicevic e il Milan, una storia bella e tormentata

In Europa si scatena l’asta tra le big ma, come spesso accadeva allora, il Presidente Silvio Berlusconi arriva prima di tutti.
Dejan Savicevic giunge alla corte di Don Fabio Capello nell’estate del 1992, fresco campione d’Europa e vincitore della Coppa Intercontinentale.
Arriva nell’indifferenza, il Milan è costellato di stelle.
Ci sono Gullit, Rijkaard e Van Basten, solo per citarne alcuni.
Con lui arrivano il rivale Papin e Boban.
Il primo anno si scorna con Capello e gioca pochissimo.
Ma uno che appena arrivato, non più tardi del 1^ agosto del 1992, dichiarava “Accetterò disciplinatamente tutte le scelte del tecnico, anche se non tralascerò nessuna occasione per far vedere che merito di giocare sempre”, non demorde facilmente.
Con le partenze di Gullit e Rijkaard, i guai fisici di Van Basten e Simone, la crisi di Papin, trova continuità.
E nel 1994 compie l’impresa per cui sarà sempre ricordato dai tifosi rossoneri.

La finale di Atene

È il 18 maggio del 1994.
Il Milan deve affrontare ad Atene lo schiacciasassi Barcellona del mitico Johan Cruijff: è nettamente sfavorito.
Il campione olandese, non certo noto per modestia, si fa fotografare con la Coppa in mano una settimana prima della finale.
Definisce Desailly “un operaio del pallone senza tecnica calcistica”.
Dichiara anche “I tifosi del Milan si godano questo Barcellona, agli italiani non capita tutte le settimane di vedere una squadra che gioca bene come la nostra. Signori, il mondo ha bisogno del nostro spettacolo”.
Ma lo spavaldo olandese non ha fatto i conti col Genio, che ha un appuntamento col destino.
Il suo Barcellona esce fragorosamente sconfitto dalla storica finale.
Quattro a zero e tutti a casa.
Doppietta di Massaro su assist di Savicevic prima, che illumina la gara e fa quel che vuole in mezzo al campo, e di Donadoni poi.
Savicevic si toglie perfino lo sfizio di fare lo scavetto al leggendario Zubizarreta, per il tre a zero.
E Desailly, l’operaio senza tecnica, affonda i blaugrana con il definitivo quattro a zero.
I rossoneri non dimenticheranno mai quella notte ed il Genio.
Immaginiamo anche il buon Cruijff.

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Il Genio oggi

Savicevic lascia il calcio giocato nel 2001.
Dopo qualche anno poco fortunato come allenatore, della nazionale jugoslava prima e della Serbia Montenegro poi, ha fatto carriera nella associazione calcistica patria.
Oggi è il Presidente della FSGC, Federazione calcistica del Montenegro, ma il carattere, pur addolcito dagli anni, non è cambiato.
Ha dichiarato di recente: “La dieci a Diaz? Lasciamo perdere”.
Auguri Genio, buon compleanno.

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