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LEVA CALCISTICA ’68 – Joe e il suo scricciolo

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Il ferroso Keadby Bridge si staglia sul Trent, quasi a voler far parte del plumbeo e basso cielo.

Grigio su grigio.

Joe ha ancora negli occhi le sgroppate sulla fascia e le finte del suo cucciolo d’uomo.

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Ha assistito al trionfo dello Scunthorpe contro lo Sheffield Wednesday in Coppa d’Inghilterra. A dispetto di tutti i pronostici, i fans dei “siderurgici” fanno festa contro i vicini, un po’ altezzosi e snob, di Sheffield. Un po’ come la Pergolettese che prende a schiaffoni l’Atalanta.

Joe pensa e ripensa a tutte le azioni viste, cercando di metterle in ordine cronologico per non dimenticarsene mai. Ha una vaga e piacevole sensazione, la quasi certezza che suo figlio abbia raggiunto la determinata consapevolezza di aver trovato la sua perfetta dimensione.

Fino a qualche mese prima, quello scricciolo d’uomo, ormai diciottenne, minuto e bassino come lui, aveva ancora avuto dubbi sulle proprie doti tecniche. Quelle agonistiche non lasciavano dubbi. Il ragazzo possedeva velocità, tanta, e buon fiato da mezzofondista e, oltre all’atletica leggera, aveva una predilezione per il rugby.

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Benedetta suor Mary, dovette pensare.

La direttrice della scuola di Bally Bridge, a Doncaster, ci aveva visto lungo qualche anno prima, e aveva convinto Joe a indirizzare il piccolo verso il pallone di cuoio, ma quello tondo però.

Quel pomeriggio aveva lasciato il suo cucciolo a festeggiare la vittoria con i compagni, lo meritava, era stato il protagonista. Aveva sfornato assist a ripetizione, tra cui quello vincente, e fatto letteralmente ammattire il diretto avversario, che non era riuscito a fermarlo nemmeno con le cattive. Acclamato da tutto il Glanford Park. Diecimila anime assiepate che urlavano il nome di suo figlio e che riempivano d’orgoglio il suo petto.

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E dallo stesso Glanford si era incamminati, assorto nei suoi pensieri. Il subconscio non gli aveva fatto avvertire la sottile ed insistente pioggerellina e lo aveva portato fino al Keadby.

E ora lo scrutava, in silenzio.

Quasi a sfidarlo.

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Quell’ammasso ferroso di ponte, che aveva attraversato centinaia di volte, e che, con molta probabilità, aveva contribuito a costruire con il suo lavoro.

Fare il minatore nello Yorkshire, così come in ogni parte del mondo, gli aveva portato via i suoi migliori anni e tutte le sue energie. Suo figlio era molto somigliante a lui, e di lui aveva preso anche la tenacia e la caparbietà. Quelle stesse caratteristiche che aveva riversato su di un prato verde, anziché in umide gallerie a cavar fuori ferro.

Sì, lo stava sfidando.

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Ne era pressoché certo.

Lo scricciolo era cresciuto e lo avrebbe tirato fuori dalle gallerie.

Lo scricciolo era veloce come il vento.

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Lo scricciolo era feroce e determinato.

Lo scricciolo aveva capelli lunghi e ricci che lo rendevano riconoscibile a cento metri. E un giorno, non lontano, lo avrebbero riconosciuto tutti, il suo scricciolo.

E tutti lo avrebbero adorato, per quello che riusciva a dare in campo. Come un condottiero, come un Re.

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Sì. Lo avrebbero chiamato Re.

O meglio King.

King Kevin Keegan.

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