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Angolo del tifoso

ANGOLO SPEZIA – Trance aquilotta

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Tempo di lettura: 5 minuti

Una pioggia improvvisa e gelida si abbatte sul Picco all’alba della partita, ma il freddo che gela le vene dei tifosi arriva con il goal del Benevento che ci fa vedere le streghe per un’ora e passa. Per qualche minuto non si riesce a seguire con lucidità l’andamento dell’incontro.

Nella nostra mente si riversano mille pensieri, mille paure. Riavvolgiamo in un rapido videoclip sinaptico le immagini delle partite giocate fino ad ora.
“Lì avremmo meritato di vincere, là abbiamo subito un rigore al novantesimo. In questa ci hanno espulso ingiustamente un giocatore, in quell’altra abbiamo perso punti per l’errore di uno dei nostri”.
Non con cattiveria o masochismo, ma quasi sentiamo di dover fuggire da un momento di difficoltà, dove non possiamo sfogarci, cantando allo stadio.
Perché quando siamo li almeno riusciamo a farci coraggio l’un l’altro, con un coro, con un battito di mani, finanche con qualche parolaccia nei confronti di qualche giocatore avversario.

In tutto questo, fantastichiamo su cosa sarebbe successo se fossimo stati sui gradoni dello stadio a vedere la partita, anziché ranicchiati accanto al bracciolo di un divano come dei gatti spaventati.
Ci immaginiamo cosi la classica immancabile osservazione del tecnico tuttologo che, da qualche seggiolino più in alto rispetto al nostro, si mette a dire: ”Cambialo! Metti la punta, inverti gli esterni!”. E lo fa al alta voce, per farsi sentire, per farsi dire dall’amico che siede affianco a lui: “ te ghe rason”.

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Mentre tutti gli altri alzano gli occhi al cielo pensando: ”ma sti corvi perché non se ne stanno a casa, che portano solo sfiga? Anche stavolta c’è chi viene solo per criticare”, oppure ”ecco, i soliti tifosi occasionali”.
Avremmo guardato ansiosamente il nostro orologio ogni cinque minuti. Il cambio dei secondi sul display ci sarebbe parso come il countdown di una bomba a tempo. Uno di noi, immancabilmente, si sarebbe fatto carico di dire la più scontata delle battute propiziatorie: “speriamo di pareggiarla entro la fine del primo tempo”.
Cosicché la fine del primo tempo arriva davvero e ci svegliamo da questo stato di trance per renderci conto che c’è ancora un secondo tempo da giocare, un secondo tempo per allontanare le nostre paure, i nostri incubi.
Ci ritorna la speranza e il coraggio di dire a noi stessi che non può finire cosi, eh no, non possiamo perdere sta partita.
Anche perché noi siamo i tifosi dello Spezia, quelli che hanno ingoiato montagne di difficoltà, quelli che hanno scelto di tifare la squadra della propria città, quelli che hanno scelto la strada difficile, non quella facile delle squadre raccomandate o blasonate.

Al diavolo la pandemia, i protocolli, le partite in campo neutro, a porte chiuse, con le finestre chiuse, con le finestre aperte, il gel, l’asporto, le zone gialle, le zone rosse, i commenti sarcastici dei commentatori Tv, soprattutto quelli.

E vi va bene che non siamo li, perché ne avremmo da dire, e tante, anche a voi telecronisti.

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Cosi ci rianimiamo, continuiamo a crederci. I giocatori ed il mister, a dire il vero, non hanno mai smesso di farlo. Loro hanno continuato a giocare.

Come d’incanto, anche la pioggia non cade più e il sole che prima sembrava pallido, ritorna ad essere caldo.

Partono subito forte i ragazzi.
Italiano ne cambia subito due e li mette perché è un grande allenatore, mica perché la pensa come quel tifoso sapientone che ci siamo immaginati nel primo tempo.
Marchizza scende sulla fascia che è un piacere. Leo Sena li prende per mano tutti quanti, Gyasi suona la carica, Verde non perde una palla mentre Italiano li guida e li carica, sotto un cappuccio che lo fa sembrare il​ maestro Yoda.

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Il Benevento continua a fare quello che sa fare meglio: un bel catenaccio.
Spera di attiraci nella sua ragnatela, pensa che i nostri se la facciano sotto e inizino a buttare palla in avanti con cross innocui per la testa di Glik.
Si illude.
La palla la giochiamo si, ma a terra. Non la alziamo quasi mai.
E quando la alziamo, prediamo la traversa con Gyasi.
Non ci spaventiamo, non malediciamo l’ennesimo legno.

Buttiamo dentro un po’ di spezzinità in più, facendo entrare Maggiore, uno di quelli che sente nel cuore quello che sentiamo noi tifosi, che corre al ritmo dei nostri battiti.

Uno-due. Triangoli e aperture prima a destra e poi a sinistra.
Sì, proprio a sinistra si libera Gyasi, la palla per Maggiore che si catapulta come un’aquila, la sfera finisce sui piedi di Verde e d’improvviso il tempo rallenta.
Mentre lui calcia, sembra esserci passato un anno intero dentro.
La palla non la vediamo più, mentre alla fine scorgiamo la rete che si gonfia e urliamo forte.
Dai che la vinciamo.

Cosi succede che Erlic colpisce su angolo un’altra traversa. E sono due.
Attacchiamo, attacchiamo, ma lo facciamo bene, senza concedere spazi o occasioni agli avversari.
Ancora in avanti, ancora sgroppate di Marchizza. Maggiore che vede il suo tiro rimpallato.

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Il Benevento non esce più, non sa come ripartire, non ci riesce.
Solo alla fine prova a far vedere a Zoet che la palla esiste ancora, ma non crea pericoli.

Finisce in pareggio.
Ma è un pareggio di gioco e sostanza per noi.
Per loro solo catenaccio e contropiede e una traversa che li aiuta ben due volte.
Siamo li, tutti lì nel gruppo, a lottare per la salvezza. Ma noi abbiamo ancora una volta capito a cosa aggrapparci e a chi affidarci: un gioco bello e coraggioso e un mister come Italiano che ci fa sognare in ogni partita.

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