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NUMERO 14 – L’ombra di Maradona

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“Tu rimani”. Francis Cornejo, talent-scout per conto della squadra dell’Argentinos Juniors, ha fatto la sua scelta alla fine del provino. E ha dato un buffetto sulla testa di quel ragazzino magro comunicandogli che, da quel momento, fa parte del suo gruppo. Dopo qualche settimana il nuovo arrivato aveva proposto a Cornejo un “suo vicino di casa che gioca meglio di lui”. Quest’ultimo, pur scettico sul fatto che ci potesse essere qualcuno più in gamba di quel ragazzo, aveva acconsentito a vederlo per un provino. Il fenomenale amico di nome faceva Diego, ma per tutti era “El Pelusa”. Chi aveva garantito per lui si chiamava Gregorio Carrizo, per gli amici “Goyo”. Quel giorno, facendo il suo nome, non ha determinato solo il Destino di Diego, ma anche il suo. Una parabola dal finale triste, segnata dalla sfortuna, su cui incombe, sempre e comunque, l’ombra di Maradona.

Il campetto del quartiere

Goyo Carrizo è nato nove giorni prima di Maradona, nel suo stesso quartiere. A Villa Fiorito, una baraccopoli alla periferia di Buenos Aires, l’unico punto di riferimento dei ragazzini del posto è il “potrero”. Un campetto di terra battuta che Goyo e Diego hanno eletto a loro rifugio, ripulendolo dai rifiuti e costruendoci le porte con dei pali di legno. Dopodichè il luogo era pronto per diventare lo stadio in cui coltivare i propri sogni. Da vivere assieme, ovvio. Diego è il classico “dieci”, un raffinato trequartista mancino, capace di illuminanti aperture per i compagni. Goyo, invece, è un abile centravanti di manovra, ambidestro, con la fissa di puntare sempre a rete. I due, sia da avversari che da compagni, monopolizzano le sfide del campetto, tra i mormorii ammirati degli osservatori. Faranno strada, questo è sicuro. E’ solo questione di tempo. E su Goyo ancora non c’è l’ombra di Maradona.

Un sabato di pioggia

Il provino fissato da Cornejo viene di sabato. Quel giorno, però, un violento temporale ha allagato il campo, costringendo l’organizzatore a spostare gli aspiranti calciatori in un altro posto. Diego, accompagnato dal padre, arriva all’ultimo momento, grazie al passaggio rimediato da un camionista. Goyo è già sul posto ad attenderlo, Cornejo li schiera nella stessa formazione. Già al primo pallone toccato da Diego sono brividi per il pubblico: il bambino riceve palla sulla fascia, la controlla con eleganza e poi, superato il marcatore con un morbido pallonetto, punta dritto a rete. Tutto come se fosse la cosa più naturale del mondo. Gli spettatori hanno l’impressione di aver visto qualcosa di irripetibile, Cornejo ripensa alle parole di Goyo. E conclude che ha ragione: a fine partita arruola Diego nelle fila dell’Argentinos Juniors. Anzi, delle Cebollitas, la formazione di ragazzini allenata da Don Francis, che rimarrà una leggenda del calcio giovanile argentino. Una sequenza ineguagliata di vittorie costruite sulle invenzioni di Maradona e i gol di Carrizo. Goyo aspira a diventare un professionista, i suoi sogni crescono  e su di loro c’è sempre l’ombra di Maradona.

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Il mancato debutto

La fama che si sono fatti li proietta immediatamente in prima squadra. Diego esordisce nel 1976, dieci giorni prima di compiere 16 anni. Goyo avrebbe dovuto debuttare l’anno seguente ma saltò tutto a causa di una distorsione alla caviglia rimediata in una sfida tra quartiere. I due, anche se ambiscono entrambi a sfondare nel calcio che conta, non hanno mai dimenticato le loro origini. Il sapore ruvido delle partite rionali sul campetto della loro infanzia a Villa Fiorito li attrae ancora. E Goyo, uno che non si tira mai indietro, si è fatto coinvolgere nell’incontro che gli ha precluso l’ingresso nel mondo dei professionisti. Non diventerà mai un titolare dell’Argentinos, a causa anche del feroce intervento di un difensore avversario che, nell’81, gli trancia i legamenti del ginocchio. Diego si è già trasferito al prestigioso Boca Juniors ed è titolare della Nazionale. Lui ha raggiunto il suo obiettivo dicono gli amici a Goyo. Ma aggiungono anche: sei persino più bravo di lui, devi superarlo. Carrizo si guarda le gambe martoriate dagli infortuni e scuote la testa. I suoi sogni sono ormai scivolati via come sabbia tra le dita. E sono spariti, inghiottiti dall’ombra di Maradona.

Il definitivo addio

Diego non abbandona l’amico di sempre. Dopo il tremendo infortunio al ginocchio Goyo è stato messo fuori squadra dai dirigenti dell’Argentinos. Maradona si occupa del lui: gli trova una palestra e degli specialisti della riabilitazione, pagandoli di tasca sua perché lo rimettano in condizioni di giocare. Avrebbe dovuto seguire il programma di riabilitazione per sei mesi ma Goyo, testardo ed orgoglioso, non vuole dipendere dalla generosità dell’amico e molla tutto dopo solo una ventina di giorni. Senza dire nulla a Diego. Comincia a girovagare per vari club minori fino a smettere definitivamente con il calcio. Si sposa e mette al mondo dei figli, svolgendo vari lavoretti per mantenere la famiglia e continuando a vivere a Villa Fiorito, nella casa dove è nato. Segue da lontano la carriera trionfale dell’amico Maradona senza mai accettare le sue ripetute offerte di sostegno economico. Preferisce condurre una vita modesta, con i suoi ricordi a tenergli compagnia. E sorride sempre tra sé quando ripensa ai tanti gol fatti con gli assist di Diego. E quanto sia stato determinante nella sua vita, per quello che è stato e quello che avrebbe potuto essere. Una esistenza dove l’unica costante è l’ombra di Maradona.

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