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Auschwitz, Árpád Weisz l’allenatore vittorioso degli anni ’30 cancellato dalla storia

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«Di Árpád Weisz, a sessant’anni dalla morte, si era perduta ogni traccia. Eppure aveva vinto più di tutti nella sua epoca, un’epoca gloriosa del pallone, aveva conquistato scudetti e coppe. Ben più di tecnici tanto acclamati oggi. […] Sarebbe immaginabile che qualcuno di loro scomparisse di colpo? A lui è successo». Così Matteo Marani, il giornalista che ha avuto il merito di scoprire nel 2007 la storia drammatica e dolorosa dell’allenatore ungherese di origini ebree e della sua famiglia, uccisi dai nazisti nel campo di concentramento Auschwitz. Una storia che ho scoperto adesso. Una vicenda che ho conosciuto da qualche ora, guardando su Sky Sport il racconto che Federico Buffa ha fatto della tragica vicenda narrata da Marani nel libro “Dallo scudetto ad Auschwitz: vita e morte di Árpád Weisz, allenatore ebreo”. Una narrazione commovente e toccante che fa piangere rabbia e amore, ancora una volta, per quanto accaduto, in quegli anni terribili della Shoah, che non sarebbe mai dovuto accadere.

TRA IL SISTEMA A WM E LA PERSECUZIONE NAZISTA. Mentre la sua carriera calcistica oscillò tra Ungheria, Cecoslovacchia, Italia (con l’Alessandria) e Uruguay, da allenatore vinse scudetti con l’Inter (il cui nome, durante il fascismo, fu mutato in Ambrosiana) e il Bologna, raggiunse una salvezza in B col Bari e consentì la promozione in A del Novara. Insomma fu un allenatore giustamente esaltato dalle cronache sportive (fu il più giovane tecnico in Italia a vincere a 34 anni un campionato) e beatificato agli onori degli altari calcistici, tanto da partecipare con il commissario tecnico italiano del tempo Pozzo ad un manuale, Il giuoco del calcio, celebre a quell’epoca, in cui venivano esposti principi di gioco e metodi di allenamento. Fu il primo ad introdurre in Italia il Sistema a WM del 3-4-3 (con due centromediani davanti alla difesa e due mezze ali ad arretrare a centrocampo dietro le 3 punte), innovativo a livello europeo in quel momento perché basato molto sul possesso palla, modulo di gioco tattico messo a punto dall’allenatore inglese Herbert Chapman.

LA STORIA SIAMO NOI. Questo, davvero troppo breve, riassunto della vita di Weisz per dire che in panchina non era l’ultimo arrivato, che nell’ambiente non era certo un signor nessun, che aveva avuto una visibilità pazzesca determinata dai suoi risultati e conseguita su meriti sul campo a partire dall’insegnamento tecnico della disciplina sportiva (in Olanda, a Dordrecht per la precisione, dove fuggì dopo le leggi razziali italiane, ancora ricordano i balzi in avanti fatti dalla squadra dilettantistica locale, che da scalcinata si trasformò in un team in grado di conquistare due quinti posti, battendo mostri sacri come l’Ajax e il Feyenoord). Eppure il suo nome non era stato solo fatto sparire in una camera a gas, ma era stato proprio cancellato dalla storia, come se non fosse mai esistito. La propaganda (comunicativa e non solo) nazista agiva così. Non doveva rimanere traccia su traccia degli ebrei deportati nemmeno nella memoria. Andavano dimenticati, doveva esserne eliminato persino il ricordo. Ma la storia – come ci ricorda De Gregori – “la storia non si ferma davvero davanti a un portone. La storia entra dentro le stanze, le brucia”. Affinchè ogni verità, anche la più scabrosa e indecorosa, emerga. Affinchè nulla vada dimenticato o rimosso, specie degli orrori, ci hanno fatto male. Affinchè possano parlare perfino le pietre dei campi di sterminio. Che, quando urlano, fanno ancora dannatamente sanguinare le nostre coscienze.

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P.S. – Perché intitolare una rubrica “Autogrill”? Immaginate di trascorrere là un’intera giornata: in 24 ore quante storie vedreste e ascoltereste? Quante persone incontrereste e osservereste? Quanti gesti, parole e situazioni, che rimandano a luoghi vissuti da tanti altri volti? E’ quello che si proporrà di fare questa rubrica: approfondire, dal campo o fuori dal campo, delle storie che si conoscono e rilanciare delle storie che si conoscono poco. Raccogliere respiri di vita, attimi di condivisione, istanti dove cogliere l’essenziale nei particolari, briciole di esistenze in un luogo sì preciso ma di passaggio. Come in un autogrill, appunto, un luogo in cui tutti passano per un minuto o per un’ora, un luogo dove s’incrociano casualmente esistenze, incontri ed emozioni….

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