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Angolo del tifoso

ANGOLO JUVE – Qualcosa di buono

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Parliamo del fatto che stavamo appena cominciando a metabolizzare l’idea di non partecipare alla prossima edizione della Champions League, e non di certo per fantomatiche punizioni decise dai Palazzi ben più alti di quelli di cui i tre quarti dell’Italia pallonara ha fissato la nostra residenza. Dell’idea di non poter far parte dell’Europa che conta per nostri demeriti, per non aver sfruttato un anno di transizione per poter vivere una rinascita vera e totale, per aver sperimentato con ingredienti sbagliati, cercando di bilanciare l’acidità ma con magrissimi risultati.

Intorno a noi sembrano tutti avere un passo differente: il Napoli è padrone del suo destino, il Milan e l’Atalanta sentono quasi nitide le note dell’inno che ci ha fatto sognare e vivere incubi ad occhi aperti. E noi? Ci tocca arrancare, punto su punto, pregando che nulla vada storto. Pirlo è saldo alla sua panchina, e contro il Sassuolo di De Zerbi la spariglia di nuovo, la panchina. Gli ultimi 10 minuti del match con il Milan lo avranno convinto, Dybala parte finalmente titolare accanto a Cristiano, fresco di gita a Maranello.

Insomma, io non mi sento pronta. Perché oltre al danno del probabile arrivederci a presto europeo, cade tra capo e collo del popolo Juventino la notizia dell’addio definitivo ai colori bianconeri di Gigi Buffon. Forse il problema è mio, forse manco di ironia quando si tratta di dover discorrere dell’uomo che ha avvicinato ormai ben più di vent’anni fa una bambina al pallone di cuoio. Di lacrime ne abbiamo versate in abbondanza, nell’abbraccio dello Stadium, prima Gigi che partisse per Parigi. Ma se possibile, stavolta fa ancora più male. E mi perdoneranno i divertitissimi commentatori specializzati in fruttini e bidoni per le mie reazioni scomposte: io vorrei provarci davvero a spiegarvi cosa voglia dire quest’uomo nella mia vita, ma mi mancano le parole.

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Però può spiegarvelo lui stesso. Una partita che comincia senza troppa brillantezza, un buon possesso palla da parte dei neroverdi, la sensazione che possa essere la partita fotocopia della scorsa settimana, con meno tiri in porta che bagnanti sulle coste della Groenlandia. E la sensazione si fa incubo quando all’ennesimo orrore difensivo, stavolta perpetrato da Rabiot, Bonucci tenta invano di fermare in area un lanciatissimo Raspadori. Mi ero ripromessa di non piangere, perché c’è di ben più complesso in questa vita di un calciatore che lascia. Ma Gigi Buffon che para il calcio di rigore di Domenico Berardi è troppo per i miei dotti lacrimali da Cancro della terza decade.

Incredibile a dirsi, ma è proprio Rabiot il primo galvanizzato dalla parata del portierone: il francese lascia partire un destro angolato, noncurante di Obiang che lo tampina: anche i Rabiot piangono. E siccome siamo in tema di gente galvanizzata, ed è un po’ che non vediamo suoi numeri in giro, tocca al portoghese volante metterci il becco. Cristiano stoppa, interno piede e goal alle spalle di Consigli, nemmeno il tempo di chiedere, nemmeno il tempo di accorgercene. Che da quella notte piovosa in cui il nostro applauso ha fatto il suo per conquistarlo, di goal con la nostra maglia ne ha fatti cento. “Ma lo avevate comprato per vincerla la Champions, mica per sperare di qualificarvi”: ma invece di ringraziarci. Almeno “fino al confine” vogliamo lasciarvelo.

Il secondo tempo si apre con la riapertura del match da parte del Sassuolo, con la linea difensiva della Juve che si accartoccia su sé stessa e fa sì che Raspadori tolga a Buffon il gusto dolcissimo del clean sheet. Rischio altissimo di nuovo con Berardi con copertura perfetta di Alex Sandro, e poi cento goal dicevamo. Kulusevski parte in contropiede, e sul tabellino dei record stasera ci si mette anche Paulo Dybala, un cucchiaino di miele, la punta al cioccolato del cono, l’ultimo boccone di pizza, cento goal con la maglia dei sogni. Almeno i miei, e spero anche i suoi.

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Mancano l’Inter e il Bologna, centottanta minuti per conoscere i nostri impegni infrasettimanali della prossima stagione. Non siamo in gara con nessuno, se non con noi stessi, e porteremo a casa ciò che meriteremo.

Per ridurci così, avremo certamente fatto qualcosa di male, e gli errori si pagano, ben volentieri anche. Ma mi consola l’idea che in questi anni debba esserci stato per forza anche qualcosa di buono: forse più di qualcosa, per esserci meritati per vent’anni a difesa dei nostri pali il portiere più forte del mondo.

Che almeno nel cuore di chi scrive, resterà tale, per sempre.

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