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ANGOLO DEL TIFOSO JUVE – Stairway to Heaven

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I Led Zeppelin rientrano nel novero dei miei gruppi preferiti, che sono tanti ma molto ben distribuiti. Ho delle preferenze anche nel panorama neomelodico, per dire.

Ed oggi, nell’assolato pomeriggio di una domenica romana fatta di finestre rigorosamente aperte e passeggiate sul Lungotevere, ancor prima che l’arbitro Chiffi decreti il calcio d’inizio del match tra la mia Juve e il Brescia di Mario Balotelli, le parole che mi ronzano in testa sono alcune tra le più famose di Robert Plant e soci: Dazed and Confused.

In un pomeriggio in cui siamo orfani del nostro sette d’eccellenza, riposo concordato per Cristiano, che sarà anche un marziano ma, come tale, va tutelato, Mister Sarri si affida in attacco alla coppia argentina formata da Higuain e Dybala più il colombiano Cuadrado.

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L’obiettivo è tentare di risalire, dopo aver toccato il fondo con l’indecente debacle di Verona e la prova mediocre di San Siro. Era quello il fondo? Io spero di si, ma ho avuto dei serissimi dubbi che ci fosse ancora un po’ da scavare, almeno durante la prima frazione di gioco.

Sarri lascia in panca Pjanic, complici un numero di prove opache consecutive, e affida le chiavi del centrocampo a Bentancur, regista affiancato da Ramsey e Rabiot. Davanti a Szczesny, occasione golosa per Daniele Rugani, il quale non riesce ad entrare nelle mie personali grazie ma, del resto, non possiamo piacere a tutti. A corredo, Leo Bonucci ed esterni un frizzante Alex Sandro e Danilo, in grado di completare il match senza alcun tipo di risentimento fisico. In un periodo del genere, lo ritengo un elemento per cui festeggiare.

Arrivare a capire perché i Led Zeppelin mi vogliano proprio stordita e confusa è abbastanza semplice: giochiamo contro il Brescia, che attualmente occupa la penultima posizione nella classifica di Serie A. Ma, almeno stando ai primi venti minuti di gioco, stiamo davvero invidiando il diciannovesimo posto e vorremmo tanto raggiungerlo anche noi.

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Ci impegniamo non poco per far crollare ancora di più le nostre già fragili certezze dopo il Verona ed il Milan, ci vediamo già presi a schiaffi dai giocatori del Lione e pensiamo ardentemente ai discorsi da fare al collega interista che gongola il giorno dopo in ufficio.

Non è semplice essere juventini, a dispetto di ciò che si potrebbe pensare, ma purtroppo mi ritrovo spesso a dar ragione a chi ci ritiene una tifoseria fondamentalmente sbagliata: perché è sbagliato, incredibilmente sbagliato, dopo otto scudetti consecutivi, andare allo Stadium e fischiare per novanta minuti.

Nonostante l’inconcepibile atteggiamento in campo, nonostante il piede destro non capisca cosa stia facendo il sinistro: non è questo l’anno, ma spero che arrivi presto il momento in cui impareremo ad essere più tifosi e meno burocrati, vogliosi di consegnare l’ennesima cartella esattoriale.

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Dura pochi minuti il match del portiere bresciano Alfonso: una botta alla testa, dopo un contrasto, lo obbliga a dei controlli più approfonditi, ma non prima di aver deviato un tiro di Higuain. Lascia i guantoni ad Andrenacci, terzo portiere del Brescia, alla sua prima presenza in Serie A.

L’abbiocco domenicale sta per avere la meglio sulla sottoscritta: di certo, l’infinità di palleggi nell’area avversaria, senza capire come fare a prendere il pallone e sbatterlo in rete non aiuta affatto. A poco serve, almeno fino ad ora, il ruolo di tuttocampista di Dybala: almeno al momento, sembra giocare da solo.

Si intensificano i fischi per Bentancur, colpevole di essersi liberato del pallone con un’eccessiva scioltezza nella nostra area e quasi dando campo libero agli avversari: il ragazzo se ne rende conto, e da allora prende in mano le redini di questo centrocampo, che al momento ha la mia stessa velocità di crociera dopo un pranzo domenicale dai miei.

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Dybala si guadagna, grazie ad un assist al bacio di Higuain, la possibilità di andare sull’uno a zero, ma il destro non è il suo piede, e si vede. In realtà gli bastano pochi, pochissimi minuti ancora: Ayè mette a terra Ramsey al limite dell’area di rigore, inevitabile secondo giallo e Brescia in dieci. E di Dybala stavolta vediamo il piede giusto, quello che ci ha fatto innamorare di lui: una punizione pennellata di sinistro alle spalle di un immobile Andrenacci, che nulla può contro la velocità che il picciriddu di Laguna Larga è in grado di imprimere al pallone.

Dybala esulta, e si ricorda eccome dei fischi che lo hanno accompagnato fino ad allora: chiede educatamente al pubblico di placarsi, ed era anche ora. Scusaci Paulo, è che agli schiaffi siamo abituati poco. O almeno, mio malgrado, siamo abituati solo in Europa.

Sospiro di sollievo per noi, ma neanche tanto. Come prima, non riusciamo a dare una continuità negli ultimi dieci metri, se non in un paio di occasioni, una delle quali proprio per mano, anzi per testa, di Rugani, che incontra sulla strada del goal un Andrenacci volante in modalità Alisson: onestamente, fossi in lui avrei già pronto il quadro da appendere sul camino di casa.

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Meglio il secondo tempo: forse merito del goal di vantaggio, siamo leggermente più svegli e spregiudicati. Sarri capisce che per Ramsey oggettivamente non è giornata, molto meglio Rabiot di lui, e decide di reintegrare il panchinato Pjanic.

Saturno contro, Mercurio retrogrado, mettetela come vi piace se siete appassionati di astrologia, chiamatela sfiga se siete un po’ più realisti, ma Pjanic accusa, dopo cinque minuti, un fastidio all’adduttore che, almeno dalla sua faccia, non lascia presagire nulla di  buono: boccone indigesto in vista dei quindici giorni di fuoco che ci aspettano.

Cambio in corsa, entra il buon Blaise Matuidi. Afferro il telefono per comunicare ad uno dei miei più cari amici, nonché orgoglioso gobbo romano, in maniera molto colorita il mio timore nel vedere ancora il pallone tra i piedi del campione del Mondo francese, che ritengo molto affettuosamente un ottimo centometrista, un incrollabile gregario, ma anche una delle maggiori cause di danno nei confronti dei miei neuroni dell’equilibrio e della mia miopia.

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Sarà la primavera, eppure arriva il momento per Cuadrado, fino ad allora scheggia impazzita in grado di essere in qualunque parte del campo, di mettere il suo sigillo su questa partita. E lo fa con un assist di tacco nientedimeno che di Blaise Matuidi, l’uomo più imprevedibile del mondo calcistico. E in realtà, è anche per questo che lo amiamo.

Si prende il suo momento di gloria anche Lollo Bentancur, che stampa sul palo il possibile pallone del tre a zero con una botta incredibile, ma per oggi a noi può andar bene così, dopo un’ottima prova da regista. E c’è anche il tempo, negli ultimi secondi, per una traversa presa dal solito Dybala che, nello stato di grazia in cui è in questo ultimo periodo, ce ne vorrebbero almeno dieci di lui in campo.

Mi lascio per ultima, ma non per importanza, la notizia più bella della giornata: dopo sei mesi di calvario, torniamo ad avere il nostro Capitano in campo. Sarri ha detto che si è praticamente messo in campo da solo, e come dargli torto.

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Giorgio Chiellini è uno di quelli che quando non c’è, manca. E questa non è una qualità da tutti, vista la facilità e la velocità con cui siamo in grado di sostituire le persone.

Il ritorno di Giorgione è accolto dall’intero Stadium con un boato, che è molto più di un goal. È il ringraziamento ad un uomo che la Juventus ce l’ha stampata dentro, e che è dovuto tornare anche per ricordarci che qui si vince e si perde tutti uniti, “dal Presidente all’ultimo dei dipendenti”.

La strada è ancora lunga, è dissestata, ci aspettano prove complesse: del resto puntiamo al Paradiso. Ma ritrovarti in campo, girarci tutti e rivederti davanti a Szczesny ci rende un po’ più forti.

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E allora te lo dico come lo direbbero Robert Plant e Jimmy Page, Giorgio. Thank you.

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