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UN CALCIO AL SUPERSANTOS – Fernando Torres: un Niño per sempre

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Si ritira dal calcio giocato uno dei nove più forti di sempre.

Fernando Torres ha rappresentato una generazione intera di centravanti; uno di quelli che i tifosi, tutti, nessuno escluso, sogna tra le fila della propria squadra del cuore.

Uno di quelli che i difensori temono più della dissenteria.

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“Un giorno, alla fine della partita, stavo per tornarmene a casa, quando ho sentito una mano sulla spalla; mi sono voltato ed era Fernando Torres. Mi disse: ‘Questa è per te, mi hai fatto amare i nostri colori; ti ringrazierò per il resto della mia vita’”.

Chi parla è Manuel Briñas, lo scopritore del centravanti spagnolo, a cui Torres, quel giorno (dopo il match tra Atleti e Eibar, terminato 3-1) regalò la sua maglietta.

“Nessuno sarebbe stato più fiero di averla. È la persona che ha reso possibile la mia presenza qui oggi, il mio gol numero 100 con questa maglia. Lui mi ha detto che ce l’avrei fatta”.

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Torres incontra il suo scopritore, per la prima volta, quando ha 10 anni e, accompagnato da suo padre e da suo fratello Isra, si presenta per un provino con altri 200 bambini sui campi del Parque de las Cruces.

Briñas stava ricostruendo il settore giovanile dei colchoneros dopo la gestione fallimentare di Jesús Gil.

Si giocano partite 11 contro 11 per venti minuti, alla fine Briñas indica Fernando e dice agli altri allenatori presenti: “Dategli 10, anzi, 10 e qualcosa in più”.

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Così Manuel ricorda quel momento: “Il ragazzo con la capigliatura bionda e le lentiggini era il migliore tra i quaranta bambini che vennero richiamati per il secondo provino”.

Il primo gol di Fernando con la maglia bianco-rossa sarebbe arrivato nel 2001, in Segunda Divisiòn, nel momento più brutto per i colchoneros; mentre il gol numero 100, quello citato in precedenza, arriva quando Torres è ormai alla soglia dei 32 anni, in un momento splendido dell’Atletico.

Quando passa dall’Atlético Madrid al Liverpool, nell’estate del 2007, Fernando Torres è conosciuto con il soprannome di El Niño, per i tratti del viso e per essere diventato a 17 anni il più giovane giocatore ad esordire con i Colchoneros e, a 19 anni, il capitano più giovane nella storia del club.

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A 23 anni, il centravanti spagnolo arriva, quindi, in Inghilterra e sembra essere un calciatore ancora più forte di quello che incantava Madrid: era un ‘bambino’ maturato.

Il ciclone Torres abbatte tutto e tutti, segnando caterve di gol, e l’Europa si accorge defintivamente di lui.

Sfortunatamente, sconvolgerà il pianeta soltanto una volta, senza riuscire a tornare ai picchi che avevano caratterizzato la sua consacrazione.

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Verrebbe da pensare che stiamo parlando più di una meteora che di un ciclone inarrestabile, però Torres è il terzo miglior marcatore nella storia della Spagna, ha vinto un Mondiale e due Europei segnando in entrambe le finali, ha vinto una FA Cup, una Champions e un’Europa League facendo gol ancora una volta nell’ultimo match della competizione.

La vera colpa del Niño? La stagione 2007-08, dove ha fissato l’asticella delle sue prestazioni così in alto da non riuscire mai più a raggiungerla. 33 gol in 46 partite, in un’annata in cui i Reds non riescono a vincere nulla, ma regalano al mondo uno degli attaccanti più impressionanti della storia recente.

Le prodezze iniziano con un gol clamoroso al Chelsea, siglato ad Agosto: lascia sul posto il disorientato Ben Haim tocco sul secondo palo fuori dalla portata di Cech.

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L’angelo biondo continuerà ad essere bellissimo per i tifosi della Kop e inquietante per i difensori che dovranno provare a fermarlo.

La carezza beffarda del tocco-sotto, lo slalom palla al piede, l’attacco alla profondità in campo aperto, la fucilata da fuori area, il taglio in area in anticipo sul marcatore, la girata pazzesca che castigherà in UCL l’Inter di Mancini; insomma un attaccante completo.

Se nel Merseyside non arrivano titoli, in Nazionale la situazione cambia.

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Euro 2008 rappresenta certamente il palcoscenico ideale per il miglior centravanti del mondo in quel momento, che non si lascia sfuggire l’occasione.

Fernando ha già partecipato a un Mondiale segnando tre gol, sa cosa lo aspetta e si fa trovare pronto, formando insieme a David Villa un tandem veloce, complementare ed imprevedibile.

Contro la Svezia di Ibrahimović segna con un’estirada volante, ma il capolavoro vero arriva in finale. Scatta sul filo del fuorigioco sul lancio di Fabregas, tocca la sfera quel tanto che basta per farla scorrere davanti a Lahm mentre lo aggira dall’altro lato, poi il secondo tocco, un morbido pallonetto ad anticipare Lehmann in uscita disperata.

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Salta il portiere con facilità, già pronto ad esultare con i compagni. L’Europeo è conquistato, insieme al meritato terzo posto nella classifica del Pallone d’Oro di quell’anno, dietro solo ai ‘mostri’ Ronaldo e Messi.

Nella seconda stagione a Liverpool, le medie, mostruose, della scorsa annata, non possono essere mantenute.

Ci si mette, poi, anche un infortunio alla coscia, che rallenta molto il rendimento di Fernando, che, comunque, riuscirà a racimolare 17 reti.

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22 nella stagione successiva.

Nel 2010 il Mondiale in Sudafrica è deludente, Fernando non sembra essere in forma, soprattutto per colpa di un infortunio, e perde il posto da titolare in semifinale e finale: non riesce a incidere anche se sono proprio le Furie Rosse a vincere la competizione.

Una volta tornato in Inghilterra, Torres è convinto di poter tornare a essere il miglior 9 al mondo ma l’ambiente non gli dà le garanzie di cui ha bisogno e nel gennaio 2011 passa al Chelsea per 58,5 milioni di euro.

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Altri sei mesi di questa stagione mi sarebbero sembrati tre anni, se avessi deciso di rimanere. Tutto è iniziato quando se ne è andato Xabi Alonso, poi seguito da Mascherano, Crouch e Arbeloa.

Pensavo sarebbero arrivati dei rinforzi: non è stato così, anzi dopo l’addio di Benitez le cose hanno preso una brutta piega. Ci ho pensato a lungo, purtroppo il Liverpool non è più all’altezza della sua storia, adesso è arrivata questa opportunità e sono felice di coglierla. Sono onesto, non so se posso dire lo stesso degli altri, il calcio è un business e non ci sono amici”.

A 26 anni, Torres è determinato a vincere, saluta i Reds.

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INCUBO CHELSEA

Avete mai guardato il film Space Jam?

Bene, al primo anno ai Blues, sembrava che qualche alieno avesse rubato il talento al centravanti spagnolo.

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Nelle prime 18 partite gioca match a dir poco insulsi e realizza la miseria di una sola rete: Torres è in crisi, che pare irreversibile. Maledetto trasferimento!

Dove prima riusciva a palleggiare con leggerezza, ora incespica. I palloni che prima sembravano telecomandati, adesso si perdono in curva.

Cerca di rendersi utile alla squadra in più modi e situazioni di gioco, ma gli errori sottoporta sono davvero imbarazzanti.

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Non è più lui, la pressione lo sta ‘uccidendo’, gli manca l’aria, il volto allegro e feroce dei tempi di Liverpool si trasforma in una maschera stralunata.

Si guarda intorno: il talento dei tempi d’oro sembra scomparso, proprio quando servirebbe come mai prima.

Appare sfiduciato, non gli riescono nemmeno le cose più semplici, il ginocchio operato due volte nel 2010 sembra impedirgli di tenere i ritmi e l’intensità della Premier League.

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All’inizio si pensa che possa essere solo un problema di ambientamento, e nella seconda stagione con i Blues, Torres sembra pronto a far ricredere chi lo critica, chi dice che non vale i soldi che è stato pagato.

L’incubo però si ripete. A settembre sbaglia un gol contro lo United in un modo clamoroso, inimmaginabile per un campione come lui.

Nei mesi tra settembre e gennaio continua a trovare difficoltà a depositare la palla in rete; ormai i social e YouTube sono invasi da video con i suoi errori e, come se non bastasse, viene deriso anche per il suo carattere: troppo timido e sensibile.

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Servirebbe la magia per rianimarlo; continua a provarci ma Torres continua a sbagliare e ad imprecare con gli occhi al cielo; impotente, prigioniero ormai di aspettative continuamente deluse.

La seconda stagione terminerà con appena 11 gol in 49 partite. Torres non è più Torres e il gol in semifinale di UCL è solo una magra consolazione per un campione in evidente fase calante.

Il Chelsea vincerà quella Coppa Campioni e anche Fernando la solleverà; almeno per una notte sembra esser tornata la felicità.

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In estate giocherà l’Europeo con la sua Spagna, anche se solo come riserva; vince ancora: segna una doppietta all’Irlanda e in finale realizza il terzo gol contro la nostra Italia, mettendo in cassaforte la vittoria della Roja.

La stagione successiva, finalmente, si rivede qualcosa del ‘vecchio’ Torres. I gol sono 23 in 64 partite.

Forse non sarà mai più considerato il più forte del pianeta nel suo ruolo, intanto però torna a far paura a chi lo deve affrontare, ed è già qualcosa.

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Sulla panchina del Chelsea ora c’è una vecchia conoscenza, Rafa Benitez. Torres sente la fiducia del connazionale e la ripaga con prestazioni incoraggianti e con il gol in finale di Europa League contro il Benfica.

Nell’anno successivo deve di nuovo salutare Benitez. Al Chelsea, infatti, torna Mourinho, che lo relega in panchina. Fernando trascorrerà una stagione alquanto anonima e sarà l’ultima con i Blues.

IL MILAN

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Quando abbandona Londra l’estate successiva per andare al Milan, Fernando è unanimemente considerato un attaccante ‘normale’ e non più il ciclone di qualche anno prima.

Il triste Mondiale del 2014, in cui è partito titolare e ha segnato solo quando la Spagna era già matematicamente eliminata, ha confermato questa realtà.

Torres non si scoraggia, dal punto di vista realizzativo l’ultima stagione con i Blues ha portato comunque in dote 11 gol.

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In rossonero, però, le cose non vanno per il meglio, anzi, riesce a segnare soltanto un misero gol – per quanto bello – all’Empoli, prima di abbandonare Milano e decidere di tornare a casa.

IL RITORNO DEL FIGLIOL PRODIGO

Torres capisce, allora, che è giunto il momento: occorre tornare a casa, dove sarà amato sempre e comunque.

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Nell’estate del 2015 torna all’Atletico del Cholo Simeone, dove resterà per 3 anni e dove contribuirà con gol pesanti a raggiungere importanti obiettivi.

Poi una piccola parentesi in Cina e il ritiro.

Quando penso a Fernando Torres penso sempre a quel gol al San Siro contro l’Inter, segnato con la maglia del Liverpool.

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Una girata da fuori area fulminea, imprendibile. E mi chiedo cosa sia andato storto.

Purtroppo, il vero Fernando Torres lo abbiamo ammirato troppo poco, per problemi fisici e fragilità emotiva.

Ma forse è meglio così. Si dice di alcuni grandi artisti scomparsi giovani che è stato meglio vederli in azione poco, in modo da poterli apprezzare ancora di più e ricordarli così in eterno.

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Penso che lo stesso valga per il Fernando Torres calciatore. Il Torres spento e grigio di Chelsea, Milan e Atletico non se lo ricorderà nessuno. Tutti si ricorderanno invece del niño Torres, uno dei numeri 9 più affascinanti, eleganti ed eterni della storia di questo sport che lui rendeva arte.

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