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NUMERO 14 – La star moltiplica gli incassi

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Il calcio può essere come il cinema, avere in squadra una celebrità fa crescere vertiginosamente il numero degli spettatori. Chiunque vorrebbe vedere il proprio idolo dal vivo, se c’è una sua esibizione nelle vicinanze non si bada al costo del biglietto. Tutto sarà ripagato dalle sue magie sul campo, accompagnate da un autografo o fotografia a fine partita. Le aspettative dei tifosi sono talmente grandi che non è mai contemplata l’ipotesi dell’assenza del diretto interessato. Che, anche se è fisicamente a pezzi, deve farsi almeno vedere sul terreno di gioco. Perché, comunque vada, è sempre la star che moltiplica gli incassi.

Lo chiamavano Dico

A dire il vero, nessuno avrebbe pronosticato un futuro da star al ragazzetto che si era presentato al campo d’allenamento del Santos un giorno d’estate del 1956. E’ visibilmente a disagio, si esprime a monosillabi, fatica persino a presentarsi. Per sua fortuna dispone di un padrino d’eccezione: Waldemar de Brito, ex nazionale brasiliano degli anni ’30, lo ha allenato nelle giovanili del Bauru, suo club di provenienza, e giura sulle sue qualità. Ha garantito ai dirigenti che diventerà il “più grande calciatore del mondo”, la sua parola è bastata a garantire al giovanotto un ingaggio di 6.000 cruzeiros al mese. Una manna dal cielo per uno che non ha neanche sedici anni e proviene da una famiglia povera. E’ nato a Tres Coraçoes, nello stato del Minas Gerais, il 23 Ottobre del 1940 e di nome fa Edson Arantes do Nascimento. Suo padre Dondinho, ex aspirante calciatore azzoppato da un brutto infortunio, si è adattato a fare il barelliere in un ospedale di San Paolo per mantenere la sua famiglia.  Ma ha conservato l’amore per la pelota e il suo occhio esperto ha subito riconosciuto il talento del suo primogenito. Con i suoi consigli, Edson, ribattezzato affettuosamente “Dico” dal genitore, si sente pronto per iniziare la grande avventura.

Istinto e Sentimento

Il campo da calcio è il suo unico mondo. Non ha mai mostrato molto interesse per i libri di scuola, ha preferito lavorare come lustrascarpe per tirare su qualche soldo. Per il resto si affida solo alla passione. Non fa uso di scarpe, gioca sempre a piedi nudi. Non calcia un pallone, ha adattato allo scopo un calzino riempito di stracci. Non cerca  campetti d’erba, gli basta una qualsiasi stradina. Che poi, ogni volta che corre dietro al suo calzino, si riempie di passanti che si fermano ad osservarlo, incantati dai suoi numeri. Usa entrambi i piedi con stupefacente disinvoltura, ogni suo tocco di palla è morbido come una carezza, vede in anticipo ogni sviluppo del gioco, sa servire i compagni ovunque si trovino e accompagna la sfera in rete ogni volta che lo desidera. Il suo calcio è energia vitale, i suoi movimenti sembrano mutuati dalla ginga, il passo base della capoeira, l’antica danza tribale poi divenuta arte marziale, importata dal Continente Nero al Brasile dalle masse di schiavi suoi antenati. I suoi spiriti guida sono solo istinto e sentimento.

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Da ragazzo a uomo

Gli avversari più insidiosi per lui vengono fuori alla fine della partita. Lontano dal suo adorato pallone, Dico resta un ragazzino inesperto, privo di difese e mentalmente fragile. Una qualsiasi delusione sportiva, come un rigore fallito in una finale di un torneo, diventa l’immediato pretesto  per tentare di mollare tutto. Solo lo scrupoloso zelo dell’addetto alla foresteria del Santos gli impedisce di mandare all’aria la sua carriera con una fuga. Il resto  lo fa l’improvviso infortunio del numero 10 titolare del Santos che gli spalanca le porte della Prima squadra. Dico entra nell’undici titolare per non uscirne mai più. Segna un gol nella partita di debutto, a fine stagione è capocannoniere del campionato paulista, viene convocato in Nazionale dal c. t. Vicente Feola. Si guadagna la partecipazione  al Mondiale del 1958 in Svezia. Molti, anche all’interno della squadra, dubitano della sua maturità. Lui riesce a scendere in campo grazie alle prodezze mostrate in allenamento, trascina la squadra in finale a furia di gol ed assist e vince il torneo segnando una tripletta nell’ultimo incontro. Nessuno prima di lui aveva compiuto un’impresa simile. Non ha neanche 18 anni ma è ormai divenuto un uomo e un campione. Adesso tutti lo conoscono come Pelè. Diventerà la star che moltiplica gli incassi.

L’attrazione principale

L’improvvisa visibilità derivatagli dal Mondiale vinto lo trasforma nell’oggetto del desiderio dei maggior club europei.  La Juventus si informa sul prezzo del suo cartellino. La risposta (un milione e mezzo di dollari) è una chiara strategia protettiva, volta ad impedirne ad ogni costo la partenza. Il calcio del Santos è uno spettacolo da esportare nel mondo intero, Pelè è l’attrazione principale, impossibile pensare di poter fare a meno di lui. La sua squadra stravince il campionato e, a fine stagione, parte per una interminabile tournee europea, con partite di esibizione giocate in Italia, Germania, Svizzera ed Olanda. Il numero 10 strabilia esattamente come nelle previsioni, il club vince sul campo e al botteghino. La sua sola presenza garantisce un ingaggio triplo rispetto a quello previsto per una ordinaria amichevole. Inevitabile che ci sia un bis l’anno successivo, all’indomani di un nuovo campionato vinto. Di nuovo il Santos è in Europa per mostrare il suo scintillante calcio danzato ma stavolta Pelè è fuori squadra. Un tremendo infortunio lo ha costretto a marcar visita ma senza di lui l’interesse del pubblico cala vistosamente, con stadi semivuoti e giornalisti disinteressati. Urge correre ai ripari: lo staff medico rimette precipitosamente in piedi il campione che, ottenuto un ritocco allo stipendio, si unisce al gruppo. Con lui in campo è un’altra storia, sotto tutti gli aspetti. Il Santos seppellisce di gol i malcapitati avversari, il contabile del club registra rendiconti da capogiro. E’ sempre la star che moltiplica gli incassi.

Presente sempre e comunque

La vittoria nel suo secondo Mondiale, in Cile nel 1962, gli garantisce l’immortalità sportiva. A soli 22 anni ha un curriculum che nessun altro può vantare. E una popolarità globale paragonabile soltanto a quella dei maggiori Capi di Stato. Logico che il suo club desideri monetizzarla al massimo, inevitabili sono le ormai obbligatorie esibizioni in giro per il mondo. Che comportano interminabili trasferte in aereo, con pochissimo tempo a disposizione per recuperare da eventuali infortuni. Che, comunque, non sono mai messi in conto dagli organizzatori. Loro hanno promesso agli spettatori che vedranno Pelè all’opera, la sua defezione dall’evento comporterebbe l’annullamento del contratto. Se il campione ha il ginocchio gonfio gli si pratica una infiltrazione e gioca lo stesso. L’importante è che il pubblico lo veda toccare il pallone e possa raccontarlo. Emblematica, in questo senso, è l’amichevole Italia – Brasile, giocata a Milano il 12 Maggio 1963. E’ l’ennesima gara costruita sul suo mito, lo stadio è tutto esaurito, il cachet pagato al Brasile è astronomico. Lui non si regge quasi in piedi ma sa che non può esimersi dal presenziare. Una robusta dose di antidolorifici, un sorriso di circostanza a beneficio dei fotografi e Pelè è sul terreno di gioco. La sua partita è poco più di una passerella, il suo marcatore, l’arcigno mediano milanista Trapattoni, vive la sua giornata di gloria e potrà raccontare che ha annullato l’asso brasiliano. Senza dire, però, che quel giorno il suo avversario giocava praticamente da fermo e si è fatto sostituire dopo una mezz’oretta scarsa. Il business è salvo, la star moltiplica sempre gli incassi.

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Compensi a stelle e strisce

Il terzo Mondiale vinto, in Messico nel 1970, sancisce anche la fine della carriera in patria del nostro eroe. Dopo aver dato tutto al proprio paese, dopo essere stato dichiarato Patrimonio Nazionale onde scongiurarne il trasferimento verso altri lidi è arrivato anche per lui il momento di cambiare. Ha bisogno di liquidità, trova la sua America nel contratto da 4 milioni e mezzo di dollari all’anno per giocare tre stagioni con i New York Cosmos. E’ un ingaggio da “performing artist” più che da “soccer player”, il riconoscimento definitivo del suo status di star del pallone. Una star che moltiplica gli incassi.

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