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NUMERO 14 – La battaglia di Belgrado – Parte Seconda

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Era rimasto in panchina. In realtà non sarebbe dovuto essere nemmeno lì. L’infortunio subìto non gli lasciava troppe possibilità di essere della partita. Tantomeno il clima rigido di Belgrado consigliava di farlo scendere in campo rischiando una ricaduta.
Tuttavia la presenza di Ruud Gullit veniva ritenuta indispensabile.
Troppo importante il suo carisma, troppo necessaria la sua personalità nella bolgia del Marakana quel giorno.
Il giorno prima, quel ginocchio malandato non gli aveva dato tregua.
Aveva comunque provato fino all’ultimo a recuperare.
Scene degne di un allenamento di “Rocky”: nei corridoi dell’albergo aveva provato e riprovato a fare una serie di scatti e progressioni.
Senza nessun esito confortante.
Prova sensazioni contraddittorie. Ruud non vuole che il suo corpo lo tradisca ancora una volta e ha bisogno di aiuto per decidere.
Viene convocato di urgenza il suo fisioterapista di fiducia, Ted Troost, che raggiunge Belgrado con un volo privato.
E’ l’unico che possa stabilire se può essere della partita. E per quanto tempo.
Nuovo provino nel parco dell’albergo, consultazione con Troost, confronto con i medici della squadra e, poco prima di salire sul bus per lo stadio, ultimissimo massaggio.
Il responso definitivo stabilisce che può giocare ma non per più di un tempo.
Quarantacinque minuti. Solo quelli.
Il match del giorno prima è stato interrotto dalla nebbia. Tutto rinviato di 24 ore.
Il giorno dopo Gullit è nuovamente in panchina. La sua autonomia è garantita per soli 45 minuti di gioco. Dovrebbe venir buono per la ripresa.
Ma il tremendo infortunio di Donadoni nel primo tempo non lascia alcuna possibilità di scelta, c’è bisogno di lui subito.
Ruud non si tira indietro, non è il tipo da lasciare i traumatizzati compagni nei guai.
Si toglie la tuta ed entra in campo. All’allenatore che gli consiglia di non forzare risponde seccamente: “Mister, non me ne frega niente se mi faccio male di nuovo. Io voglio giocare per questa squadra”.
Una bordata assordante di fischi è il benvenuto che lo stadio riserva al nuovo arrivato.
Hanno paura di lui. Si auguravano di non vedere spuntare dalla panchina le sue treccine rasta e il suo sorriso strafottente.
Ruud è il ricostituente di questa squadra e il cielo sa quanto ne abbia bisogno il Milan in questo momento.
Non solo in campo, con le sue giocate, ma anche in altri momenti.
Il giorno prima, di fronte alla muraglia umana dei 120.000 tifosi presenti allo stadio ha chiesto, finto ingenuo, quante persone fossero solitamente sugli spalti per le partite.
Alla risposta, “Circa 50.000”, ha scrollato le spalle e, con un ampio sorriso ha fatto una battuta delle sue: “Bene. Vuol dire che tutti gli altri sono venuti per vedere noi!”.
Una sparata che ha l’effetto di una iniezione di fiducia. Per tutti.
Intanto arriva l’annuncio che Donadoni è ormai fuori pericolo, i suoi compagni hanno superato l’attimo di smarrimento.
I rossoneri sentono montare dentro la rabbia e adesso i fischi dalle tribune sono soltanto il propellente che serve per far ruggire il motore al massimo.
Si torna in campo. Per portare a casa il risultato. Per vincere.
Gullit si piazza a centrocampo, la partita riprende.
Gli slavi non forzano più di tanto, il Milan cerca di dimostrare di essere più forte di tutto, anche della paura.
Ruud presenta il biglietto da visita agli avversari: lancio di Rijkaard, una sua sponda libera Van Basten per un tiro al volo di poco alto sulla traversa.
Pochi minuti dopo un suo violentissimo calcio di punizione obbliga il portiere avversario ad una affannosa respinta in calcio d’angolo.
Il capitano Baresi prova alcune delle sua discese palla al piede.
Alla mezz’ora si allontana dalla sua area, parte verso la metà campo, la supera e serve Gullit per una conclusione dal limite dell’area che il portiere slavo alza sopra la traversa.
Il Milan ha il controllo della partita. A dispetto di ogni avversità.
E’ una sfida lanciata agli avversari. Che siano quelli in campo o sugli spalti non fa differenza.
Vuole assolutamente la qualificazione, non ci sta a lasciarsi sopraffare dalle circostanze.
E riesce anche a sfiorare il gol del vantaggio, prima con Evani e poi con Van Basten.
Gullit si sdoppia tra centrocampo e attacco, tiene i collegamenti con il resto della squadra e si incarica di fornire la necessaria assistenza alle punte.
Spesso fa da terzo attaccante, il suo fisico imponente mette pressione alla difesa avversaria e permette a Van Basten e Mannari di rifiatare.
E’ il novantesimo, l’arbitro fischia tre volte e il risultato non è mutato. E’ identico a quello della partita d’andata. Si devono disputare i tempi supplementari.
Sacchi è preoccupato, teme per le condizioni fisiche di Ruud e non vuole che la squadra rimanga in dieci in una situazione cosi difficile.
L’olandese tronca la discussione: “Io non mi muovo di qui, se non rischio adesso quando rischio?”.
Comunque rassicura il tecnico: il ginocchio tiene e lui sarà in campo fino alla fine.
La mezz’ora di gioco in più non lascia grandi tracce, se non per un poderoso tiro in corsa dell’onnipresente Ruud che finisce alto.
La Stella Rossa non ha fretta, punta ad arrivare ai rigori.
Sanno che le energie fisiche ed emotive degli avversari sono state ormai prosciugate da questa interminabile battaglia. Dal dischetto serviranno sangue freddo e lucidità. Merce rara per i giocatori rossoneri, ormai stremati.
Il Milan ha capito la strategia degli avversari ma non c’è più la forza di spingere in avanti.
Troppo rischioso. Se gli avversari segnassero adesso in contropiede sarebbe davvero finita.
Non c’è altra scelta. Si sfiderà per l’ultima volta il Destino, questa sera, con cinque tiri dagli undici metri.






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