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Calcio e storia – In principio era la palla

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In principio era la palla, ma non era una mela del giardino dell’Eden.

L’uomo, infatti, ha scoperto fin dall’antichità il piacere e il divertimento di giocare a palla.

Dalla Cina (eh si, sempre  loro) fino all’Europa, passando per l’America, ci sono stati diversi approcci per tentare di “brevettare” il gioco del pallone, un gioco che prevedeva a volte l’uso dei piedi altre volte quello delle mani, ma sempre quell’oggetto sferico, definito perfetto dallo stesso Parmenide (uno che aveva capito tutto).

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Evidentemente c’è qualcosa di ancestrale nella sua forma, un pomo simbolo di gioia, una mammella, una “ruma”, come la chiamavano gli antichi etruschi, dalla quale non riusciamo a staccarci fin dalla piu piccola età.

I primi a praticare un gioco con la palla, pare siano stati i cinesi più di duemila anni fa.

Essi lo chiamarono TSU-CHU e consisteva nel buttare con i piedi una palla fatta di piume in una porticina costruita con canne di bambù.

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Nell’antica Grecia, al tempo di Sparta e di Atene, venne inventato un gioco chiamato Episcuros, dove era consentito usare i piedi e le mani, un misto tra calcio e rugby.

La versione italica venne assimilata dai Romani con l’Harpasto, termine che deriva dal greco  arpazo (strappare), un gioco  a squadre dove la palla, fatta di cuoio e riempita di piume, veniva portata avanti nella metà campo avversaria con calci e passaggi alla mano, fino al raggiungimento della zona di meta.

In America venne praticato un gioco che di fatto toglierebbe all’Inghilterra il primato dell’invenzione del basket.

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I Maya, infatti, già seicento anni fa, praticavano un gioco, che si svolgeva all’interno di una specie di stadio, delimitato da pareti di pietra.

Il gioco consisteva nel far passare la palla all’interno di un anello di ferro o di pietra, disposto in senso verticale e non orizzontale, come la nostra pallacanestro, ma con l’identico fine.

Le due squadre, oltre che a passarsi la palla con le mani, potevano far rimbalzare la palla sulle pareti che delimitavano il campo da gioco, a mo di pelota o di squasch.

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Per trovare un tipo di gioco simile al nostro calcio, dobbiamo ritornare in Europa, per la precisione in Francia, dove fin dal medioevo, veniva praticato il gioco della Soule.

Il soule viene considerato il vero antenato del calcio moderno, addirittura pare che venisse giocato di domenica (anche perchè le Tv non erano ancora arrivate) e consisteva nello scaraventare un palla fatta di cuoio nella “casa” degli avversari, una sorta di porta, una  zona delimitata da mura, con calci e pugni.

Le partite erano molto dispendiose da un punto di vista fisico, dal momento che pare che fosse consentito ogni tipo di contatto fisico e soprattutto perché il campo da gioco era pressocchè illimitato, un po’ come il campo da gioco dei cartoni animati di Holly e Benji che inseguivano la palla lungo la curvatura della superificie terrestre.

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Il Soule venne praticato per diversi secoli e, attraverso i normanni, approdò anche nelle isole britanniche, dove verso la fine del diciottesimo secolo, costituì la base per la nascita del calcio moderno.

In Italia, a dire il vero, abbiamo avuto il calcio fiorentino, gioco non più praticato da secoli ma che viene rievocato  durante i mesi estivi a Firenze.

Le squadre sono formate da ventisette giocatori e si dispongono su un campo rettangolare diviso in due settori, sul fondo dei quali è montata una rete.

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Lo scopo è mettere la palla nella rete avversaria e il “goal ” viene chiamato la “caccia”, termine che probabillmente è passato nel gergo calcistico quando sentiamo dire “ricacciare la palla.”

E’ ammesso lo scontro fisico e il placcaggio degli avversari, ragion per cui il calcio fiorentino è assimilabile più al rugby che al calcio.

Restando sempre in toscana concludiamo con una curiosità: l’inventore della palla fu un certo Leonardo da Vinci.

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Già proprio lui.

A dire il vero, non lo fece pensando al calcio, ma disegnò un solido, un poliedro formato da esagoni e pentagoni che costituì per molti decenni del secolo scorso la struttura del nostro pallone di cuoio in bianco e nero.

Leonardo battezzò questo poliedro col nome di “Ycocedron” e, per fortuna sua e nostra, tale nome non si diffuse, altrimenti sarebbe stato un dramma per i poveri radiotelecronisti moderni.

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Andrea Schiano di Zenise

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