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“Ultras” di Lettieri, una bella occasione persa

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La curiosità per Ultras, il film di Francesco Lettieri distribuito da Netflix, era davvero tanta, lo ammetto. Ero curioso di vedere questo film, un po’ per la mia formazione “curvaiola”, un po’ per i primi commenti e le reazioni contrastanti che avevo letto sui social.

Dico subito che il film non mi è piaciuto e lo dico senza alcuna vena polemica o velleità da cineasta, ma da semplice e medio fruitore di un prodotto cinematografico. Non intendo ‘spoilerare’ la trama, odio quando qualcuno mi rivela il finale di una serie-tv  o di un libro, quindi figuriamoci se intendo rovinarvi la sorpresa.

Essendo un film che si propone di raccontare uno spaccato di società e di realtà tanto cara ai calciofili, la Curva e lo scenario umano che vi gravita attorno, vi invito anzi a guardarlo con i vostri occhi, a farvi la vostra esperienza personale.  La mia resta un’opinione, una semplice opinione, una prospettiva parziale per quanto, credo, supportata da elementi di vita vissuta e da un background di esperienze dirette che mi fanno scrivere con fermezza quel che penso di questa pellicola.

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Le note “liete”

La Locandina del Film “Ultras” (2020) distribuito da Netflix

Parto dalle note positive di “Ultras”. La riproduzione filmica tiene conto senza alcun dubbio dell’estetica dei personaggi, perché le somiglianze fisiche e fisiognomiche dei protagonisti sono spaventosamente indovinate e aderenti alla realtà. I volti che si susseguono nella pellicola sono molto vicini a quelli che vediamo sulle gradinate nelle Curve del San Paolo la domenica, i tratti somatici e gli atteggiamenti di O’ Gabbiano o Pechegno sono sfacciatamente e tipicamente Naples nello stile e nelle fattezze. Chi vive o ha vissuto un po’ la Curva vi potrà confermare.

Altre note liete? La fotografia, per esempio, non è affatto malvagia, così come la regia di Lettieri che in alcuni tratti sprizza qualità evidenti o  alcuni pezzi della colonna sonora che meritano attenzione. Ma con le “cose belle” mi devo fermare qui, perché tutto il resto non mi ha convinto affatto, anzi mi è parso assai brutto.

 

 

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Trama debole e solite etichette

Intanto non esiste una trama decisa, la storia è debole e si intreccia su due livelli di racconto, quello generale della faida interna del gruppo Apaches, dilaniato dalla guerra tra la vecchia e la nuova guardia e la storia del Mohicano, il protagonista, vecchia gloria della Curva e del gruppo in questione, ormai in declino e al bivio della sua vita dopo trent’anni di militanza.

La guerra generazionale all’interno degli Apaches, gruppo partorito dalla fantasia dello sceneggiatore ( ma che rievoca la storia di due gruppi realmente esistenti delle due Curve A e B), diviene elemento centrale della trama, attraversata e scandita dai volti segnati dalla gradinata. Non c’è introspezione, c’è poca “compenetrazione” nei personaggi, perché manca la cifra stilistica degli stessi, non c’è quella caratterizzazione che ci si aspetterebbe da un film che si pone di fronte al racconto con taglio realista, come appare subito evidente nell’opera prima di Lettieri.

L’odio e la rivalità storica tra due tifoserie, poi, viene riproposta con vaghezza e malcelata inconsapevolezza, così funge da cornice, da orizzonte o poco più. Il richiamo ai fatti della sciagurata notte di Roma del 3 Maggio 2014 è evidente e nemmeno troppo velato, ma anche lì la scelta timida non paga, perché declinata con maggiore fermezza avrebbe potuto apportare un valore aggiunto. Semmai finisce con lo svilire ed attenuare un pathos già di per sé poco presente nella pellicola.

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Lettieri ha affermato che la sua intenzione non era di fare “un film morale o esprimere un giudizio, ma soltanto di raccontare un contesto”. A mio parere ne scaturisce una miscellanea di etichette e luoghi comuni triti e ritriti sul movimento ultras partenopeo, con nuances dal vago retrogusto ‘Gomorriano’ che avrei decisamente evitato e che indirettamente e silenziosamente diventano elemento di identità e sovrapposizione dei due mondi. Il “non detto”, il sottinteso prende piede in modo quasi automatico e subdolo ed è questo forse il principale elemento di critica che si potrebbe portare al film.

Dov’è la riflessione?

Manca la riflessione, non c’è una alcuna dialettica che spinga il telespettatore a porsi qualche domanda, a riflettere lui stesso, a chiedersi il perché di quello che sta vedendo. E invece il film avrebbe potuto essere un’ occasione  ghiotta per raccontare davvero ed in modo profondo questo mondo complesso, per sviscerarne e spiegarne i meccanismi umani, i processi psico-sociologici, per fornirne uno spettro il più possibile ampio.

“Ultras” si autolimita, la sua storia si mutila da sé, non prende volutamente il largo, togliendosi quello slancio che potenzialmente avrebbe anche avuto, nel perlustrare uno spazio che sarebbe potuto essere assai vasto. Ne mostra, invece, una singola sezione, una prospettiva limitata, tracciando uno spaccato del mondo Ultras napoletano in parte verosimile, ma parziale e che perde la sua vis narrativa nel riscoprirsi circoscritto e limitato nella sua espressione e nel suo racconto.

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Lettieri osa poco, si addentra meno di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi in un soggetto così tagliente, che avrebbe meritato un approccio più coraggioso, minuzioso e analitico.

In definitiva Ultras è stata una bellissima occasione non colta. L’idea era succulenta e affascinante, ma Lettieri a mio avviso ha fallito il focus, se è vero che si era proposto l’obiettivo di raccontare qualcosa di saliente del complesso movimento ultras napoletano.

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Produttore Esecutivo in Mediaset per contenuti di informazione (hardnews e softnews), telegiornali e talk tv prime-time. Ho ideato il progetto LBDV e fondato la testata giornalistica. Sono amante del dubbio, socratico per formazione e mi piace guardare al di là delle apparenze tutto, le persone e la vita.

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