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NUMERO 14 – Dietro la panchina

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Sì, è molto bravo, capisce di calcio. E’ stato allenatore dell’Edilnord”. L’ironia di Nils Liedholm, trainer del Milan, non riesce a mascherare il disappunto nei confronti del suo nuovo datore di lavoro. Il tecnico svedese ha un grande passato come calciatore ed è uno degli allenatori di maggior prestigio in circolazione. Eppure il suo carisma non lo rende immune dalle critiche del Presidente Silvio Berlusconi, uno che pretende di avere l’ultima parola sempre e comunque. E di indirizzare ogni decisione dei suoi dipendenti, anche quelli che indossano la tuta da allenamento. Dietro la panchina.

La squadra di Brugherio

I due si incrociano per la prima volta nella primavera del 1986. Il boss della Fininvest ha deciso di investire nel calcio. Con una spericolata operazione finanziaria rileva la proprietà di un Milan che sta per essere schiacciato dai debiti accumulati dalla gestione precedente. Una volta insediatosi al vertice della società rossonera inizia a pianificare un futuro di successi: per lui la vittoria coincide con il profitto e viceversa. Il primo nodo da affrontare è quello della guida della squadra. Il buon Nils è un residuato della vecchia amministrazione, lui lo sostituirebbe volentieri con un tecnico di grido come Giovanni Trapattoni. Ma quest’ultimo è già in parola con i rivali cittadini dell’Inter, tocca confermare lo svedese per mancanza di alternative valide. Berlusconi gli rinnova la fiducia e gli imbottisce la squadra di volti nuovi dopo una sontuosa campagna acquisti. Inoltre, è prodigo di consigli, avendo esperienza nel campo: già nel 1963 ha rilevato una squadra di Terza categoria, il Torrescalla. Ne ha spostato la sede a Brugherio (la zona dove ha i suoi interessi imprenditoriali), l’ha ribattezzata Edilnord e ne ha curato anche la direzione tecnica, dopo aver esonerato l’allenatore. Il motivo? Non proponeva un calcio abbastanza offensivo e spettacolare per i suoi gusti. La soluzione? Agire in prima persona e dare corpo ai suoi punti di vista. Dietro la panchina.

Trasformare un nessuno in un profeta

A dispetto dei suoi sforzi il Milan non ingrana per nulla. A farne le spese è l’allenatore con un precoce esonero. Viene sostituito dal suo giovane assistente Fabio Capello ma è solo una soluzione temporanea. La squadra dei suoi sogni ha bisogno di un timoniere di ben altro spessore, Berlusconi estrae dal suo cilindro un nome che nessuno si aspetta. Il prescelto è uno sconosciuto tecnico romagnolo dal curriculum pressoché inesistente. Si chiama Arrigo Sacchi, ha l’aria da professorino saccente, teorizza un calcio mai visto finora, fatto di pressing ossessivo e ripartenze fulminanti. La stampa lo accoglie con toni sarcastici, i giocatori sono straniti dai suoi carichi di lavoro, molti sentenziano che verrà cacciato ancora prima che venga Natale. Il Presidente rossonero è, tuttavia, convinto della sua scelta e lo difende a spada tratta, anche quando inizia a serpeggiare nella squadra l’idea di una rivolta contro l’autoritarismo dell’allenatore. Sacchi resta ben aggrappato alla tolda di comando e ripaga la fiducia concessagli con uno scudetto vinto al fotofinish sul Napoli. Berlusconi è raggiante: il Signor Nessuno è ora il Profeta di Fusignano. E ha trionfato grazie alla sua sagacia e ai suoi suggerimenti. Dietro la panchina.

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Dalla scrivania al campo

E’ l’inizio di un periodo scintillante: il Milan fa incetta di titoli, anche in campo internazionale. Ma il perfezionismo bulimico di Sacchi logora irrimediabilmente il suo rapporto con il gruppo. Nessuno è più disposto a sopportare il ritmo ossessivo dei suoi allenamenti. Berlusconi è chiamato a scegliere tra rifondare completamente la squadra o affidarla ad un nuovo tecnico. Opta per quest’ultima soluzione e richiama in servizio il vice di Liedholm, Fabio Capello. Negli ultimi anni è stato fuori dal calcio, si è occupato d’altro. Ha seguito corsi da manager, ha svolto funzioni da dirigente in varie polisportive. La critica non risparmia commenti ironici, si dice che il Presidente abbia messo il suo maggiordomo in panchina, pronto a seguire alla lettera le sue indicazioni. Il nuovo allenatore, invece, dimostra di avere idee proprie e piglio da condottiero: rivitalizza i senatori, fa della squadra una formidabile macchina da gioco, raccoglie successi. La nuova scommessa del patron rossonero è vinta: il trapianto di Capello dalla scrivania al campo è l’ennesima ciambella uscita con il buco. Si può vincere anche senza profeti invasati, basta avere le intuizioni giuste. Dietro la panchina.

Nostalgia e nuove suggestioni

Il quadriennio di Capello si chiude con una polemica. L’allenatore friulano non accetta che la sua conferma sia legata obbligatoriamente ad una vittoria. Dopo avere messo in tasca un ulteriore scudetto saluta la compagnia e si accasa al Real Madrid. Berlusconi si affida ad un altro veggente, l’uruguayano Oscar Tabarez ma si ritrova le sue dimissioni sulla scrivania dopo pochi mesi. Tenta di rimediare mettendo in piedi una difficile operazione nostalgia: torna  Arrigo Sacchi. Ma l’ormai ex Profeta ha perso il suo tocco magico, il Milan non ha più il tremendismo atletico degli anni migliori, la classifica langue. Nemmeno l’ulteriore ritorno di Fabio Capello riesce a risollevare la situazione. Urge tentare strade mai battute in precedenza, stavolta l’eletto è un tecnico proveniente dalla provincia, Alberto Zaccheroni. Ha grinta, capacità e porta nuove suggestioni. Dicono che sia di sinistra ma, quando centra al primo tentativo il tricolore, questo diventa un dettaglio insignificante. Ma poi, nel biennio successivo, gli scarsi risultati conseguiti e una certa impermeabilità ai diktat presidenziali, lo fanno scendere di molto nell’indice di gradimento. Torna ad essere “il comunista”, viene tacciato di incompetenza, la naturale conclusione del rapporto è il divorzio. Non si può restare in Paradiso a dispetto dei Santi, né al Milan senza la benedizione del Presidente. Dietro la panchina.

Il presunto Vate e il figlio prodigo

Si riparte con un inconsueto Vate, il turco Fatih Terim. Ha fama di trascinatore di masse, ostenta un comportamento da generale, suscita più antipatia che ammirazione. Non lega con la squadra, ancor meno con la dirigenza. Dopo poche settimane leva le tende per far spazio ad una vecchia conoscenza. Carlo Ancelotti, già pilastro del Milan di Sacchi da giocatore, torna sul campetto  di Milanello nelle vesti di coach. E’ uno di famiglia, è come accogliere un figliol prodigo. Con lui si torna a vincere anche in Europa ed è anche abbastanza smaliziato da saper tenere a bada  il suo Presidente. Berlusconi non risparmia suggerimenti e strategie, Carletto ascolta ed annuisce. Alla fine decide da solo ma non ha problemi a dividere i  meriti del successo con il patron rossonero. Che fa sempre e comunque la sua parte. Dietro la panchina.

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