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NUMERO 14 – Un campione per il regime

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Stadio “Louis II” del Principato di Monaco, 24 Febbraio 1987. Si disputa la finale di Supercoppa Europea, i sovietici della Dinamo Kiev contro i romeni dello Steaua di Bucarest. Alla fine dell’incontro sono quest’ultimi a vincere, con la rete decisiva dell’esordiente Gheorghe Hagi.  Un ragazzo che avrebbe dovuto giocare con lo  Steaua soltanto in quell’occasione, dato che era stato dato in prestito dal suo club esclusivamente per quella partita. Ma, al fischio finale, il dirigente Valentin Ceausescu (figlio adottivo del dittatore Niculae, padre padrone dell’intera nazione) reclama la giovane promessa per la sua squadra. Nessuno osa dirgli di no, a partire dallo stesso Hagi. Non è la prima volta che Ceausescu pretende di determinare la sua carriera con metodi autoritari. Può farlo, data la posizione di suo padre. E  lui teme di essere destinato, per tutta la vita, a soddisfare i suoi capricci.  Hagi sarà dunque, sempre e soltanto, un campione per il regime?

Origini da nomade

Non il massimo per uno come lui. E’ nato il 5 Febbraio del 1965 a Sacele, un paesino nel distretto di Costanza, sulle sponde del Mar Nero. Terra di confine, abitata da gente di origine rom, profughi duri ed orgogliosi, perlopiù dediti alla pastorizia. Gheorghe, sin da piccolo, ha l’oro incastonato nel suo piede sinistro. Nessuno tra i coetanei ha il suo tocco di palla, nessuno riesce a fare i numeri che a lui vengono spontanei. Che si tratti di battere a rete dalla distanza o di fornire un assist millimetrico al compagno meglio piazzato, Hagi trova sempre la soluzione migliore. Già a 10 anni incanta nelle giovanili del Farul Costanza: posizione di mezz’ala, reti a grappoli e trofei vinti in serie. Nel 1980 passa al Luceafarul Bucarest, un club-satellite dello Steaua, il laboratorio dove vengono fatti crescere i migliori talenti del paese. L’accademia dalla quale dovrebbe uscire con i galloni di eroe dello sport socialista, pronto a vestire la maglia della squadra del Ministero della Difesa.

Contrasti tra fratelli

Fa un breve ritorno al Farul, giusto in tempo per esordire in prima divisione a soli 17 anni e bagnare il suo debutto con 7 reti in 18 presenze. Più che sufficienti per guadagnarsi anche il debutto in nazionale, l’anno successivo, in una amichevole contro la Norvegia. A 18 anni è anche tempo di iscriversi all’Università, lo studente Hagi è matricola alla facoltà di Economia di Craiova. Oltre che tesserato, naturalmente, per il club del posto, l’Universitatea. Ma questa situazione non va per nulla a genio a Nicu Ceausescu, figlio naturale di Niculae, nemico giurato del fratellastro Valentin e gestore della Dinamo Bucarest, la squadra della Securitate, la polizia segreta rumena. Gheorghe è la maggior promessa della sua generazione, il suo talento non può avere altra destinazione se non la capitale. Entrambi i fratelli Ceausescu si muovono, secondo le loro abitudini, ma è Nicu ad avere la meglio. Attraverso i suoi contatti con il Ministero dell’Istruzione fa cancellare l’iscrizione di Hagi all’Università di Craiova, tramite sottrazione del suo fascicolo dalla segreteria della facoltà, e lo trasferisce d’ufficio a quella di Bucarest. Quindi, incurante del precontratto firmato dal giocatore con lo Steaua su pressione del fratello Valentin, lo ingaggia per lo Sportul Studentesc, altra società sotto il suo diretto controllo. Il tutto con il beneplacito di Mircea Lucescu, c. t. della nazionale, che ha già consigliato al suo protetto di non mettersi mai contro le decisioni dei gerarchi del regime. O, almeno, di non inimicarsi il più forte.

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La rivincita di Valentin Ceausescu

Il dirigente dello Steaua è furioso per lo smacco subito e giura vendetta al fratellastro. Dal canto suo Nicu fa spallucce. E’ l’erede diretto del padre ed è il secondo uomo più potente del paese. Ha già alle spalle vari episodi controversi, data la sua nota passione per le donne,  le scommesse e il gioco d’azzardo. Ma l’influenza del genitore ha sempre diffuso una cortina di silenzio sui suoi eccessi, consentendogli di mettere facilmente le mani su tutto quello che desidera. Hagi è soltanto il suo ultimo  sfizio, anche se si tratta del più forte calciatore rumeno in circolazione. I numeri, infatti, parlano chiaro: 20 gol al secondo campionato allo Sportul, addirittura 31 nel terzo. Due titoli di capocannoniere consecutivi per uno che gioca stabilmente a centrocampo sono un biglietto da visita molto eloquente. E anche se l’ombra di Nicu Ceausescu si staglia sulla seconda affermazione (il figlio del dittatore aveva scommesso una forte somma sulla sua vittoria) nessuno può mettere in discussione la sua classe cristallina. Il suo rapporto con lo Sportul si interrompe bruscamente nel febbraio 1987 per la citata finale di Supercoppa con la Dinamo Kiev. Doveva essere un “unicum”, finirà per diventare un trasferimento definitivo. Per espressa volontà di Valentin Ceausescu, tanto smanioso di rifarsi della beffa subita in passato quanto di avere finalmente alle sue dipendenze quello che ormai definiscono “Il Maradona dei Carpazi”.

La fine del regime

Il suo periodo allo Steaua è ricco di successi. Hagi è il perno di una squadra molto ben organizzata, capace di vincere tre campionati consecutivi ed altrettante Coppe di Romania. Inoltre, lo Steaua si afferma anche in campo continentale, arrivando a disputare, nel 1989 a Barcellona, la finale di Coppa dei Campioni contro il Milan di Arrigo Sacchi. Vengono sconfitti nettamente ma le doti del fantasista, ormai, gli hanno assicurato un posto fisso nel taccuino di tutti gli osservatori dei grandi club. Molti sarebbero disposti a svenarsi pur di avere il suo cartellino ma c’è da scontrarsi con la ferrea volontà del regime rumeno di non far espatriare i suoi talenti per nessun motivo al mondo. L’anno prima il dittatore si è vista recapitare una ricca offerta per il giocatore da parte della Juventus. La società torinese, pur di mettere sotto contratto Hagi, era disposta a garantire l’installazione di un impianto di produzione FIAT a Bucarest. Ceausescu aveva declinato l’offerta considerandolo un piano “troppo capitalistico”. Con buona pace di Hagi, al quale, ormai, stavano stretti i paletti imposti dal regime alla sua vita e alla sua carriera. Pensava di essere destinato a rimanere in patria per tutta la vita, almeno finché la caduta di Ceausescu gli apre nuove, interessanti prospettive. Dopo il Mondiale italiano del 1990, dove sfoggia il meglio del suo repertorio, Gheorghe Hagi, il ragazzo nomade da sempre ostaggio del regime, è libero di scegliersi la sua strada.

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