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NUMERO 14 – Il giorno e la notte

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Non avrebbero potuto essere più diversi. L’uno opposto dell’altro, sia dentro che fuori dal campo di gioco. Carattere, mentalità, modo di parare: non avevano niente in comune. Da una parte c’era un esuberante guascone, capace di sfoderare una partita da urlo dopo una nottata passata a giocare a carte, dall’altra un rigido perfezionista che non salta mai un allenamento per essere sempre reattivo tra i pali. Cosa mai possono avere da spartire due tipi del genere? Niente, a parte la convinzione di essere il migliore nel proprio ruolo e, di conseguenza, il naturale proprietario della maglia numero uno. Sia nel proprio club che in Nazionale.

Debutto precoce

Carriere parallele quelle del toscano Enrico “Ricky” Albertosi (classe 1939) e del friulano Dino Zoff (classe 1942), con frequenti incroci. C’è un esordio da giovanissimi per entrambi, a meno di vent’anni, per l’uno un anonimo zero a zero, per l’altro un incubo con cinque gol incassati. E poi una dura gavetta da fare prima di affermarsi: per il primo è una lunga anticamera alla Fiorentina, come riserva del titolare Giuliano Sarti, per il secondo è uno sfibrante praticantato nelle fila dell’Udinese, dove non sono pochi i dubbi sul suo effettivo valore. Il tempo, tuttavia, è galantuomo nei confronti di tutti e due: nel 1963 Sarti si trasferisce all’Inter lasciando ad Albertosi il posto di titolare tra i viola e, nello stesso anno, Zoff è ceduto al Mantova dove subentra ben presto al veterano Attilio Santarelli tra i pali.

Staffetta in Nazionale

Albertosi aveva conosciuto la Nazionale quando era ancora riserva alla Fiorentina. Aveva debuttato in azzurro, infatti, già nel 1961 in una amichevole per poi essere convocato come secondo portiere ai Mondiali in Cile del 1962. I timori del veterano Sarti, fin troppo ansioso a causa della presenza dello sfrontato, imberbe rivale, erano ampiamente giustificati. Ricky è tanto abile quanto ambizioso: la sicurezza che mostra in campo è assoluta, sa dare disposizioni a compagni ben più anziani, non ha timore di osare interventi acrobatici, gli errori non lo abbattono. Ai successivi Mondiali del 1996 in Inghilterra è lui il portiere titolare della squadra azzurra. Il torneo si risolve in una disfatta (cfr. “Turista per caso”) che impone un radicale rinnovamento della squadra. Tuttavia il giovane numero uno, esente da colpe, fa parte anche del gruppo del nuovo c.t. Valcareggi, impegnato nelle qualificazioni per l’Europeo del 1968. Albertosi mantiene il suo ruolo fino alla fase finale della manifestazione, le ultime partite si giocheranno in Italia. Alla vigilia dei quarti di finale contro la Bulgaria si presenta però al raduno in pessime condizioni, con una mano fratturata. Lui è costretto a marcar visita, l’allenatore ad una scelta. Il suo vice, Lido Vieri, è indisponibile, si impone un passaggio di testimone tra i pali. Valcareggi decide di dare fiducia all’esordiente Zoff, che avrà anche il pubblico della sua parte. La partita si gioca al San Paolo di Napoli e il 26enne friulano è, da un anno, il portiere della squadra partenopea. I tifosi impazziscono per questo ragazzone serio e posato, lo chiamano “Nembo Kid”. Al suo ingresso sul terreno di gioco lo accoglie un boato assordante, il suo entusiasmo è alle stelle, la sua freddezza pure. Il debuttante dimostra di avere la stoffa del veterano e si guadagna sul campo la fiducia della squadra, del  capitano Facchetti e la maglia da titolare. Sarà sua fino alla combattuta finale con la Jugoslavia e al trionfo finale con la conquista del titolo di Campione d’Europa.

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Mexico ’70

Smaltito l’infortunio Albertosi rientra nel giro azzurro. Comincia cosi un’alternanza tra i due numeri uno che sfocia presto in una aperta rivalità. L’obiettivo della Nazionale, adesso, è il Mondiale che si terrà in Messico nel 1970. Durante la fase delle qualificazioni Valcareggi schiera ora l’uno ora l’altro. Nessuno dei due si sente inferiore al rivale: Zoff punta tutto sul piazzamento, Albertosi è imbattibile nei tuffi. A fare la differenza è il curriculum: Ricky vince uno storico scudetto a Cagliari. A questo punto il c.t. decide di puntare sul blocco della squadra isolana (Riva, Cera, Domenghini, Niccolai) per formare il suo gruppo e piazza stabilmente Albertosi tra i pali, con Zoff confinato in panchina. La manifestazione per gli azzurri comincia in sordina: tra stentati pareggi, problemi personali del bomber Riva (cfr. “Ettore e non Achille”) e la difficile convivenza tra Rivera e Mazzola non si riesce a trovare un gioco convincente. In seguito gli exploit contro il Messico e la Germania Ovest spianano alla Nazionale la strada per la finalissima contro il Brasile. L’amara sconfitta contro i carioca sembra vanificare il brillante percorso della squadra che, al rientro in Italia, si vede riservare una accoglienza a base di contestazioni e lancio di pomodori.

L’apice e il declino

Valcareggi, sempre saldo al timone della Nazionale, rinnova i ranghi senza però precettare nuovi portieri. Zoff e Albertosi continuano ad alternarsi tra i pali finchè, alla vigilia dei Mondiali del 1974, viene fatta una scelta: il friulano titolare, il toscano suo vice. Una decisione che ha delle motivazioni precise: Ricky, a 35 anni suonati, si ritiene che abbia ormai dato il meglio mentre Dino, tre anni di meno, è all’apice della sua carriera. E’ il portiere titolare della Juventus, ha rimpinguato la sua bacheca con scudetti e finali di Coppe dei Campioni, è detentore di un impressionante record di imbattibilità in maglia azzurra, ha conquistato persino la copertina del noto magazine Newsweek come sportivo dell’anno. Ormai inamovibile nel suo club sulla scia dei risultati lo è anche in Nazionale, dove è stato protagonista anche nell’epica vittoria in casa dell’Inghilterra. Il suo rivale, sfumata la possibilità di andare alla Juventus, si è accasato al Milan ma può restare solo da dodicesimo. Il torneo in Germania non è fortunato per nessuno, con gli azzurri eliminati già al primo turno. Zoff rimane comunque nel gruppo anche dopo il repulisti voluto dal nuovo c. t.  Fulvio Bernardini e viene confermato anche dal suo successore Enzo Bearzot, che gli affida la fascia di capitano. Albertosi esce dal giro della nazionale per limiti di età.

L’ultimo incrocio

L’allenatore con la pipa ha, però, la memoria lunga: conosce il carisma di Ricky e, prima di partire per il Mondiale del 1978 in Argentina, pensa di richiamarlo. Uno come lui, anche come terzo portiere, può far comodo a una spedizione azzurra carica di entusiasmo ma con ben poca esperienza. Il diretto interessato sarebbe  anche disponibile ma è in arrivo una doccia fredda. Zoff non gradisce la presenza del suo eterno rivale e Bearzot, dal canto suo, non vuole minare la serenità del suo estremo difensore. Ricky incassa in silenzio ma, di fronte agli errori di Zoff, trafitto per ben quattro volte da quattro tiri dalla lunga distanza, non gli risparmia pubblici rimproveri per il suo rendimento incostante. L’ombroso friulano, da sempre refrattario alle critiche, si chiude in un ostinato silenzio. Ormai tra i due si è passati dall’indifferenza all’astio. La carriera di Albertosi ad alti livelli si chiuderà due anni dopo, nel 1980. Coinvolto nello scandalo del calcio scommesse sarà dapprima radiato e poi squalificato per quattro anni. La vicenda fa saltare il già perfezionato passaggio ai Cosmos di New York, Ricky aveva stabilito di chiudere la carriera nel remunerativo cimitero degli elefanti del campionato nordamericano, nella squadra che era stata di Pelè (cfr. “Un calcio alla Grande Mela”). Zoff, invece, riuscirà, con un grande colpo di coda, a chiudere la carriera alla grande con il suo personale canto del cigno, la vittoria a 40 anni nel Mondiale di Spagna del 1982.

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