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NUMERO 14 – L’Eldorado del calcio

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Bogotà, 9 Agosto 1949. All’aereoporto della capitale colombiana sbarcano due giovani argentini. Sono Alfredo Di Stefano e Nèstor “Pipo” Rossi, calciatori del River Plate. Ad attenderli un loro connazionale, Alfonso Pedernera, già da qualche mese in forza ai Millonarios, la formazione che sta dominando il campionato locale. Quello che, a breve, diverrà famoso come il luogo leggendario sede di incalcolabili ricchezze. L’Eldorado del calcio.

Rivendicazioni sindacali

La presenza di una leggenda del fùtbol argentino come Pedernera in Colombia non è casuale. Sei mesi prima un gruppo di calciatori, riunitosi in un sindacato denominato “Futbolistas Argentinos Agremiados”, aveva interrotto il campionato proclamando uno sciopero. Il motivo della protesta era la rivendicazione di migliori salari, in considerazione dei notevoli introiti delle società. Il governo argentino del Colonnello Juan Domingo Peròn non aveva gradito l’iniziativa, la Federcalcio aveva fatto spallucce, limitandosi a paventare squalifiche per chi avesse aderito allo sciopero. Pedernera, dall’alto del suo carisma, godeva di un trattamento di favore da parte del suo club e non aveva problemi economici. Tuttavia, ben consapevole che la maggior parte dei suoi colleghi era alle prese con stipendi da fame, aveva preso le redini del sindacato e, dopo lunghe trattative, era riuscito a strappare alcune condizioni di favore. Adesso i calciatori avrebbero avuto diritto a uno stipendio minimo e al diritto di svincolarsi dalle rispettive squadre. Il torneo riuscì, in questo modo, ad arrivare alla conclusione ma le prospettive per il futuro rimanevano oscure. Pedernera, fiutando il pericolo e ingolosito dalle allettanti proposte dei Millonarios, aveva fatto le valigie con destinazione Colombia, facendo da apripista ai giovani colleghi verso il loro inaspettato paradiso. L’Eldorado del calcio.

Nascita della Dimayor

Solo un anno prima, a Bogotà, era stata fondata da alcuni imprenditori la División Mayor del Fùtbol Colombiano, più brevemente Dimayor. Lo scopo dell’associazione era quello di organizzare il primo campionato professionistico del paese in accordo con la Federcalcio colombiana. Tuttavia, in seguito ad alcuni screzi, i dirigenti federali avevano cancellato l’affiliazione della Dimayor alla Lega sancendone, di fatto, l’eliminazione dalla mappa calcistica. A questo punto il presidente della squadra dei Millonarios, Alfonso Senior Quevedo, ebbe un’idea rivoluzionaria. Se la Federazione non li riconosceva più come squadre a lei affiliate allora potevano ugualmente organizzare un loro campionato senza più seguirne le regole. In particolare potevano ingaggiare qualsiasi calciatore trattando direttamente con lui, tagliando fuori la società di appartenenza. I dirigenti delle quattordici squadre consorziate nella Dimayor sposarono all’istante il progetto di Quevedo. Quest’ultimo, dal canto suo, non perse un istante nel recarsi a Buenos Aires e proporre un sontuoso ingaggio al più famoso giocatore dell’epoca, l’ormai trentenne Alfonso Pedernera. Il suo nome avrebbe dato lustro e visibilità al nuovo torneo e fatto da richiamo per tanti altri giovani calciatori,  attratti dalle prospettive di lauti guadagni nella nuova Mecca del fùtbol. L’Eldorado del calcio.

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L’arrivo della Saeta Rubia

Il debutto di Pedernera nella nuova Liga è un successo: 30.000 persone assiepate sugli spalti, la presenza in tribuna del sindaco della città e dell’ambasciatore argentino, una sonora vittoria dei Millonarios per 5 a 0. Pochi giorni dopo il campione argentino fa gli onori di casa al nuovo acquisto della squadra, la Saeta Rubia Alfredo Di Stefano, già suo erede al River Plate e suo sodale nelle battaglie sindacali. Il giovane centravanti ha rifiutato il passaggio al Torino per accettare la sfida dei Millonarios e ritrovare il suo fidato mentore. Che, esattamente come ai vecchi tempi, è prodigo di consigli nei confronti del pupillo. Di Stefano, infatti, favorito dalla sua costituzione fisica, si adegua senza problemi alle partite giocate ad altissima quota, determinandone l’esito come e quando vuole. In maniera perfino esagerata: dopo l’ennesima azione travolgente, in cui ha recuperato palla, scartato praticamente tutta la squadra avversaria e segnato con un bolide da trentacinque metri, viene simpaticamente redarguito da un attento Pedernera: “Alfredo, con questo gioco diamo da mangiare a tanta gente. Bada a dargli credibilità”. Di Stefano, pur non troppo convinto, annuisce. E i Millonarios, secondo le nuove direttive, si guadagnano il soprannome di “Cinco y baile” : dopo aver segnato il quinto gol si fermano per non infierire troppo sugli avversari, limitandosi a un elegante balletto di pura accademia, fatto di eleganti passaggi a metà campo. Il risultato è garantito, lo spettacolo pure, gli incassi altrettanto. L’Eldorado del calcio.

Gli anni de La Violencia

Le altre squadre della Dimayor non stanno a guardare e cercano di essere all’altezza dei Millonarios ingaggiando a loro volta, e a peso doro, altri celebrati calciatori da vari campionati.  In breve il campionato colombiano diventa un torneo di altissimo livello: stradi stracolmi, pubblico in delirio, rendiconti da capogiro. Il governo del paese supervisiona il fenomeno con discrezione, ben conscio che è il modo miglior per distrarre l’opinione pubblica dai problemi di politica interna. La Colombia, infatti, è una polveriera: il brutale assassinio di Jorge Eliécer Gaitán, leader del Partido Liberal, e i disordini che ne sono seguiti ha dato ai governativi il pretesto per una violenta repressione nei confronti dei dissidenti politici. Le manifestazioni di protesta sono all’ordine del giorno, le cariche della polizia pure, non è raro che ci scappi il morto. Neanche le nuove elezioni riescono a dare stabilità al paese che, ben presto, finisce sull’orlo di una guerra civile: da una parte i gruppi guerriglieri antigovernativi dall’altra la polizia di Stato, in mezzo la popolazione civile. Il periodo conosciuto come “La Violencia” termina solo nel 1953, quando il Generale Gustavo Rojas Pinilla prende il potere con un golpe e proclama una amnistia generale per i ribelli. L’effetto è immediato, con il ritorno ad una apparente calma, ma è anche la fine dell’Eldorado del calcio.

Quel volo per Madrid

Di Stefano ha vissuto solo di riflesso gli anni de La Violencia. I dirigenti colombiani sono stati ben attenti a salvaguardare l’incolumità delle loro stelle, ben sapendo che, al minimo sentore di pericolo, avrebbero perso le loro galline dalle uova d’oro. Lui e gli altri campioni della Dimayor sono stati tenuti all’oscuro di tutto e ben foraggiati affinché pensassero solo alla prossima partita da disputare. Ma i suoi numeri impressionanti (Tre campionati su quattro vinti, 267 reti messe a segno in 292 incontri) hanno varcato i confini del paese e suscitato l’interesse di diversi club europei. Fatale è un invito al torneo per festeggiare il 50esimo anniversario della fondazione del Real Madrid. I Millonarios partecipano in sostituzione del River Plate, Di Stefano fa faville, segnando una doppietta nella finale vinta per 4 a 2 contro i padroni di casa. Don Santiago Bernabeu, presidente del Real, non ha dubbi: vuole a tutti i costi quel favoloso attaccante con la maglia della sua squadra sulle spalle. A qualsiasi costo e a qualsiasi cifra. Il problema è che i suoi diretti rivali del Barcellona hanno giocato d’anticipo e acquistato il giocatore dal River Plate (ancora legale detentore del suo cartellino) per 200.000 dollari. Di conseguenza l’accordo che ha raggiunto con Di Stefano è nullo, il calciatore non può prendere il volo per Madrid. La vertenza tra i due club viene risolta con un accordo salomonico davanti ad un collegio arbitrale della Fifa: il calciatore giocherà per due anni con il Barcellona e per i rimanenti due con il Real. I catalani, a questo punto, si ritirano sdegnati dall’affare: Di Stefano è libero di accettare l’offerta di Bernabeu. La sua partenza dalla Colombia è un segnale emblematico: l’Eldorado del calcio ha terminato la sua esistenza.

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