I nostri Social

Calciomercato

NUMERO 14 – Il giocatore universale

Pubblicato

il

Tempo di lettura: 4 minuti

Madrid, Ottobre 1953. Il grigiore dell’autunno nella capitale spagnola fa da specchio ai cupi pensieri di Don Santiago Bernabeu, Presidente del Real. La sua squadra non ha più il prestigio di un tempo, i detestati rivali del Barcellona fanno incetta di titoli e la sua opera di ricostruzione non ha dato i frutti sperati. Come se tutto questo non bastasse è anche la vigilia della partita più importante e difficile della stagione, il temuto “Clasico” contro i catalani. L’ultima carta che ha da giocare è quel calciatore nuovo, che viene dalla Colombia: si chiama Alfredo Di Stefano e gioca nel ruolo di centravanti. E’ costato molto, tra spese di acquisto ed ingaggio, ma dimostra subito che ne è valsa la pena: a fine partita il Barcellona rientra negli spogliatoi con cinque reti sul groppone, di cui tre a firma dell’ultimo arrivato. Non ha dimostrato problemi di adattamento all’ambiente né timori reverenziali nei confronti degli avversari. Ha spaziato ovunque per il campo dimostrando di avere idee e talento a profusione. E’ stato, da dubito, un punto di riferimento per i suoi compagni. Non è solo un attaccante, è il giocatore universale.

Battaglia tra club

Portarlo in Spagna è stato difficoltoso, non solo per l’esborso economico. Di Stefano aveva lasciato il River Plate, la squadra in cui era cresciuto, per emigrare in Colombia e giocare nei Millonarios. In patria i calciatori erano ancora considerati dei dilettanti, dovevano accontentarsi dei premi partita. Il club di Bogotà lo aveva allettato con un cospicuo ingaggio anche se la nascita del campionato professionistico colombiano aveva provocato la sdegnata reazione della Fifa. Tutte le squadre militanti in quel torneo erano state radiate, i giocatori squalificati, i loro contratti annullati. Al momento di sottoscrivere l’accordo con il Real si scopre che la concorrenza già si è mossa. Il Barcellona ha concluso l’acquisto del giocatore con il River Plate, ancora legale detentore del suo cartellino, a Madrid non possono ingaggiarlo. Ne viene fuori un contenzioso legale risolto solo da un collegio arbitrale il cui Presidente è un uomo molto legato al Generalissimo Francisco Franco, dittatore alla guida del paese e noto tifoso del Real. I catalani sono costretti a ritirarsi dall’affare, Di Stefano può prendere residenza nella capitale e indossare la camiseta blanca. Il primo impatto con la sua nuova squadra, però, non è dei migliori. Memore dell’imprinting datogli dal suo primo allenatore Carlos Peucelle (“Il fùtbol si gioca sempre con la palla a terra e sempre di prima”) rimane disgustato di fronte al primitivo modo di giocare del Real, tutto lanci lunghi e contropiede. Lui è di avviso completamente diverso, l’amata pelota non può essere scalciata via come se fosse un peso di cui liberarsi al più presto. E’ il momento in cui deve entrare in scena il giocatore universale.

A sua immagine

La sua pazienza dura giusto una settimana, dopodiché impone un deciso cambio di registro agli allenamenti. Ne ha fin sopra i capelli di quegli zapatazos (“scarponi”) dei suoi compagni, è tempo di cambiare mentalità. Soppianta l’allenatore nel dirigere la seduta e inizia a insegnare il suo calcio agli sbalorditi astanti. Nel giro di un paio di mesi la lenta e monotona manovra di gioco dei blancos si trasforma in un flipper impazzito. Aboliti i prevedibili rinvii dalle retrovie, ancor di più gli insistiti traversoni dalle fasce. Ora la priorità è un sapiente controllo della sfera in abbinamento a una stupefacente rapidità di esecuzione. Chi ha il pallone tra i piedi sa già dove mandarlo, chi lo riceve si comporta allo stesso modo. Il tutto in poche frazioni di secondo. I ruoli tradizionali sono aboliti: un difensore può giostrare quando vuole nella metà campo avversaria, ha i mezzi per farlo. Nella stessa maniera un attaccante sa quando e come retrocedere e quale spazio occupare, sempre e comunque nell’interesse della squadra. Al centro di tutto c’è lui, lo stratega venuto dal Sudamerica per plasmare il gruppo a sua immagine. Di Stefano ha ormai completato la sua parabola tecnica sulle orme del suo maestro Pedernera: l’implacabile uomo d’area del River Plate si è evoluto nel polivalente trequartista dei Millonarios per poi definitivamente mutarsi nel regista a tutto campo del Real. Il giocatore universale.

Pubblicità

Discepoli e dissidenti

Una simile metamorfosi è stata resa possibile non solo da una superiore maestria tattica ma anche da un enorme ascendente sui compagni. Di Stefano è un capo naturale, il suo carisma gli consente di fare presa su tutti. E chi è al suo fianco non ha motivo di recriminare: il numero nove del Real è sempre in prima linea sia quando si tratta di spingersi in avanti che al momento di ripiegare per dare manforte in difesa. Il suo concetto ideale di squadra prevede un gruppo che non perde mai, neanche per un istante, la sua granitica omogeneità. Per dirla alla Helenio Herrera “se Pelè era il primo violino dell’orchestra, lui era l’orchestra”: il Real, guidato dal suo imprescindibile uomo ovunque, si muove sincronicamente sul campo da gioco producendo gol e vittorie a ritmo sinfonico. Persino un campione indolente come il geniale fantasista magiaro Ferenc Puskas, sedotto dalle magie dell’argentino, diventa un fedele seguace della sua filosofia del “tutti-per-uno”. Chi invece rimane arroccato sui suoi personalismi, anche se è un indiscutibile fuoriclasse come il brasiliano Didi, rimane tagliato fuori. Il furbo ungherese colleziona trofei a fianco di Di Stefano, il superbo califfo carioca passa solo un anno da isolato a Madrid prima di fare ritorno in patria con la coda tra le gambe. Non ci sono deroghe nel mondo del giocatore universale.

Di trionfo in trionfo

E’ persino ozioso enumerare la quantità di titoli, sia individuali che di squadra, collezionati da una simile macchina da guerra in maglietta e pantaloncini. Durante il suo periodo al Real Alfredo Di Stefano è stato capace di vincere otto campionati e una Coppa di Spagna, condendo il tutto con il titolo di capocannoniere per cinque volte. A livello internazionale il curriculum è ancora più corposo, con cinque Coppe dei Campioni (segnando almeno una rete in tutte le finali), due Coppe Latine e una Coppa Intercontinentale. Infine, nella sua bacheca , al posto d’onore, ci sono i due Palloni d’Oro  assegnatigli come miglior giocatore d’Europa nel 1957 e 1959. Una carriera ineguagliabile, degna di un giocatore che, a detta di molti, sarebbe stato il migliore di tutti per completezza tattica, tecnica ed agonistica. Il giocatore universale.

Pubblicità

in evidenza