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NUMERO 14 – Tre per una maglia

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Estate 1987, tempo di addii alla Juventus. Dopo un paio d’anni al servizio della causa bianconera il poderoso centravanti Serena torna a Milano, sponda nerazzurra. Il mediano Manfredonia, invece, si accasa alla Roma con un sontuoso contratto triennale. Ma, soprattutto, il carismatico uomo squadra Michel Platini, raffinato regista-goleador, si ritira dall’agonismo a soli 32 anni.

Fine di un ciclo

La sua assenza lascia un vuoto incolmabile, non si tratta solo di depauperamento tecnico, è anche un problema di leadership perduta. Platini è capace sia di dettare i tempi a centrocampo che di puntare a rete in prima persona. Le statistiche, a riguardo, sono emblematiche (104 reti in complessive 224 presenze in bianconero) cosi come i titoli (due scudetti e svariate Coppe di contorno, oltre a tre titoli di capocannoniere e tre palloni d’oro). E’ palese una prevalenza determinante del campione transalpino nell’economia di gioco della squadra, il suo declino (appena due reti nell’ultimo torneo) ha inciso parecchio nelle fortune della Juventus. Il pacioso allenatore Rino Marchesi, confermato tra mille dubbi di un ambiente scettico, in pubblico ostenta fiducia nelle capacità dei nuovi acquisti ma, in privato, ha chiesto al suo presidente Boniperti di intervenire sul mercato per acquistare un regista di comprovata affidabilità.

Un onesto mestierante

La richiesta del tecnico ha lasciato perplesso Boniperti. Il massimo dirigente bianconero ha già provveduto, in prima persona, a scegliere l’uomo che dovrà raccogliere l’eredità di Platini. Si chiama Marino Magrin, ha 28 anni e proviene dall’Atalanta. E’ ancora giovane ma già rodato, è uno specialista dei calci piazzati e lo si ritiene dotato di personalità sufficiente per assolvere al compito assegnatogli. Lui, dal canto suo, al suo arrivo a Torino si schermisce nelle interviste, dice di non sentirsi l’erede di nessuno e si dichiara pronto a fornire il suo onesto contributo alla causa. I primi allenamenti con il gruppo sono la conferma dei sospetti dell’allenatore: Magrin è dotato di buoni fondamentali e di una discreta visione di gioco, nulla di più. Non è decisivo come Platini, né lo sarà mai. Si può provare ad affidargli le chiavi della manovra bianconera e vedere come se la cava ma certo non si può pretendere che sia il leader tecnico della squadra. Un consulto a tre tra Boniperti, Marchesi e lo stesso giocatore produce la saggia scelta di schierarlo in campo con un anonimo numero otto, come un mediano qualsiasi. Platini, nei suoi anni a Torino, ha fatto un simbolo del suo numero dieci, non si può, adesso, metterlo sulle spalle di un gregario.

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Un giovane di belle speranze

Il declassamento di Magrin (peraltro ben accetto dal diretto interessato, sin troppo saggio per accettare una missione impossibile) determina un nuovo problema. A chi, affidare, a questo punto, il talismanico numero dieci? Nessuno dei veterani del centrocampo bianconero (Mauro, Laudrup, Vignola) vuole sobbarcarsi l’incarico di esporsi ad impietosi confronti con il celebre predecessore. Né la dirigenza e il tecnico fanno pressioni in tal senso. Alla fine si decide di tentare un esperimento. In rosa è appena arrivato il  tornante Angelo Alessio. E’ giovanissimo (22 anni), viene da un feudo bianconero come Avellino, indossare la maglia della Juventus per lui è come toccare il cielo con un dito. Il suo entusiasmo e la sua incoscienza sono delle armi formidabili, può vestire anche la fatidica casacca con il dieci senza che nessuno parli di lesa maestà. Per tutto il precampionato e i primi scampoli di Coppa Italia è lui a mettersi quel numero, sfidando nostalgici e scettici. Non delude ma neanche solleva entusiasmi. Non è ancora pronto per essere un leader, solo il tempo dirà la verità sul suo conto. Per evitare appassimenti precoci la dirigenza gli impone di svestire il dieci. L’impresa sarà compito di qualcun altro.

L’uomo per tutte le stagioni

Alla prima di campionato Boniperti e Marchesi tirano fuori il coniglio dal cilindro. L’ormai famigerata maglia numero dieci è affidata a Luigi De Agostini, di professione terzino ma adesso reinventato mezzala. E’ ancora giovane (26 anni) ma la sua storia professionale è già densa. Prodotto del vivaio dell’Udinese, ha fatto la sua brava gavetta a Catanzaro per poi rientrare in Friuli ed esplodere con una brillante stagione a Verona. Sbarcato a Torino assieme al compagno Tricella è considerato un jolly per la sua versatilità tecnica: nasce terzino fluidificante, si disimpegna bene anche come esterno di centrocampo e, all’occorrenza, può tornare utile anche come mediano. La presenza sulla fascia sinistra dell’inamovibile capitano Antonio Cabrini gli preclude un utilizzo da titolare come terzino. Tuttavia le sue variegate doti sconsigliano di esiliarlo in panchina per cui si è deciso di impiegarlo in un ruolo inedito, risolvendo nel contempo un altro problema. Il neo numero 10 fa il suo dovere per intero nel corso del campionato, rivelandosi una ottima risorsa anche nei calci piazzati. Nessuno può pretendere da lui i numeri del campione francese, è sufficiente che faccia quello che il tecnico gli richiede. A fine stagione i risultati deludenti della squadra impongono un deciso cambio di rotta che investe anche il possessore della maglia numero dieci. Ma questa è un’altra storia.

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