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ZONA CESARINI – The English Game

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C’è un momento in cui tutto inizia. Vale per la vita, per la morte, per il mutuo e, perché no, per il calcio. In questo caso un inizio indicativo e riconosciuto è quello del calcio così detto “professionistico”.

Se il soccer lo inventano gli inglesi, è però uno scozzese a dare il la a un primitivo calciomercato, senza il quale, in fondo non ci sarebbero i Di Marzio, i Maurizio Mosca e soprattutto questa testata e questo personale contributo.

Nel 1857 nasce a Glasgow Fergus Suter, piccolo scalpellino che inizia a giocare al calcio nella squadretta locale dell’omonimo borgo di Partick. Le sue doti di attaccante sono talmente roboanti che le voci arrivano nell’Inghilterra bene, dove già si disputano importanti tornei, soprattutto tra le squadre dell’alta nobiltà.

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Causa infortunio e costrizione casalinga, ho recuperato una serie precedentemente snobbata: “The English Game”, appunto. Attualmente su Netflix, è una miniserie di 6 puntate che racconta proprio quanto segue, chiaramente romanzando il tutto ed inserendovi dettagli di vita, di romanticismo e storie famigliari. Seppur un po’ sbrigativa, la serie comunque scorre ed ha un suo interesse.

Un imprenditore tessile, Walsh,  paga di tasca propria il nostro e il suo compagno di squadra, il gigante Jimmy Love. Essendo contro le regole, scritte dall’alta borghesia inglese, Fergus viene assunto come tessitore e diventa in poco tempo l’idolo del poverissimo borghetto di Darwen, nel Lancashire, distretto di Blackburn, arrivando a sfiorare un’inedita vittoria nella FA Cup. Inedita per una squadra di terroni operai.

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Eh sì, perché nel regno di Albione (così come in Francia) i “terroni” sono al nord, mentre al Sud si concentra il potere amministrativo ed economico. All’epoca ancora non c’erano cori tipo “Noi non siamo ‘Blackburnesi’ ” o simili, né vulcani con cui lavare nel fuoco gli abitanti di Hutton in the Forest. Ma la lotta di classe era la stessa. Suter, a seconda dei punti di vista, può essere il primo giocatore “pagato” o anche il primo “mercenario”. Infatti l’allora proprietario del Blackburn lo soffia al Darwen, insieme a Jimmy Love. Nascono i primi contrasti, soprattutto quando le due compagini si affrontano e scaturisce una rissa tra tifosi.

Alla fine il Blackburn trionferà contro gli arci-nemici dell’Old Etonians e sarà la prima squadra di operai a conquistare la FA Cup, cambiando di fatto il mondo del calcio, prima riservato ai ricchi.

A parte alcune inesattezze (a vincere la prima finale fu il Blackburn Olympic e non i Rovers, vincenti nel triennio successivo) la serie è ben fatta. Molto vera la visione che la piccola comunità operaia offre nel proprio rapporto viscerale con la squadra. Ben rappresentata la lotta di classe, nel rapporto tra il protagonista Fergus (Kevin Guthrie) e il capitano degli Etonians, Arthur Kinnaird (Edward Holcroft).

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Da subito grande rivalità e stima, oltre al grande amore per questo sport da parte del giovane figlio di un bancario, gli farà superare le diffidenze. Si accorgerà così di quanto la sua classe privilegiata abbia isolato questo gioco, con regole ad hoc (mi ricorda qualcosa).

Il “tradimento” di Fergus è trattato come motivo famigliare: servivano i soldi per la famiglia in Scozia, vessata dal classico padre ubriacone e violento. Bellissime le eleganti cene post partita dove le mogli sono costrette ad ascoltare le gesta sportive dei mariti. Bello il personaggio di Kinnaird che va contro i suoi amici ricordando i lunghi viaggi che devono fare per confrontarsi con loro e gli scarni pasti a cui sono costretti, contro i luculliani deschi altoborghesi.

Una frase è importante: “Se ci facciamo le regole a modo nostro, se non apriamo a tutti, questo sport è destinato a morire”.

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In fondo è sempre la stessa storia: il calcio prima che uno sport è un gioco, un gioco di tutti, ricchi e poveri; si gioca da soli o in cento, basta un pallone e due alberi per la porta. Oggi, come ieri a questo punto, il calcio è vittima dei soldi, non solo dei giocatori o procuratori, ma anche delle televisioni che saturano il mercato, non lasciando un giorno di riposo ai tifosi per paura di perderli. L’alta borghesia del calcio fa di tutto per prendersi i soldi dei tifosi, senza includerli nel gioco, trattandoli da schiavi paganti e schifandoli come criminali.

Non condivido tutto della storia del piccolo Fergus Suter, ma ha fatto una scelta e, romanzo o verità, arriva dalla povera Scozia nella grande Inghilterra, abituata a giocare in avanti con arroganza e verticalità, oltre che brutalità ammessa. Porta invece la calma, la classe e “allarga” il gioco anche in orizzontale; un’altra piccola rivoluzione al gioco odierno.

E poi, Dio solo sa quanto detesto gli inglesi: un piccolo scozzese che li rimette al loro posto è sempre una bella notizia.

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“Football isn’t complicated. Pass and move. And pass again. Space.”

 

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