I nostri Social

Approfondimenti

#LBDV – Eric Cantona, il controverso “roi d’Angleterre”

Pubblicato

il

Tempo di lettura: 3 minuti

Venticinque gennaio ‘novantacinque, Inghilterra, Selhust Park. Si gioca Crystal Palace – Manchester United. Sul francese numero sette dei Red Devils viene messo, in marcatura stretta, Richard Shaw: uno dal carattere non semplice, che non dà tregua all’attaccante dello United. Comincia il secondo tempo, ed il sette decide di applicare la legge del taglione: lancio lungo, palla lontana, calcione a Shaw. Espulsione inevitabile. I rossi assediano l’arbitro, mentre il – non più – giovane francese esce, polemizzando, dal campo.

Un tifoso del Palace, però, dice qualcosa. Di troppo, probabilmente. Cantona decide di mimare quel vecchio film che aveva visto da ragazzino: Dalla Cina con furore; il supporter si becca un calcione a sua volta, che per un pelo non lo colpisce dritto in volto.

Ce ne vorranno tre, per fermare la furia di Eric. E se uno di questi è Peter Schmeichel, un metro e novantuno di rabbia agonistica e verve danese, anche l’osservatore meno attento può capire che il francese non era qualcuno con cui si scherza facilmente.

Pubblicità

Eric Cantona. The King. 

Non Le Roi: troppo poco elegante per poter sedersi sul trono lasciato vuoto da Michael Platini. Manca di grazia, Eric; è un uomo più da scazzottate che da Notre Dame. E in Francia lo sanno bene: proprio qualche anno prima l’avevano scaricato all’Inghilterra. Al Leeds. Che i tifosi manco sapevano chi fosse.

Eric chi?: pochi, nel West Yorkshire, avevano già sentito parlare di Cantona. I più esperti cominciarono a snocciolare dati: esordio in Nazionale a vent’anni, qundici goal in venti gare; tante, tantissime reti nel campionato francese in cinque anni di attività. Il problema, però, è che il Leeds l’aveva pescato ad un passo dal ritiro. A venticinque anni.

Pubblicità

In Francia non s’era fatto mancare nulla, Cantona: tra Auxerre, Bordeaux, Montpellier e Marsiglia aveva dato ricevuto tanto quanto un pugile sul ring. Forse la dannazione è stata proprio questa, una figura più simile ad un pugile che ad un calciatore: risse coi compagni, insulti ai dirigenti, magliette strappate e anche una doppia squalifica, prima per aver calciato un pallone contro l’arbitro e poi per aver insultato i commissari disciplinari. Un buon compagno di squadra per Vinnie Jones e la Crazy Gang, mica per un club che stava lottando per il titolo?

Lo sdegno dei Whites non dura molto: Cantona in campo si trasforma. Tanto invidiabile per tecnica quanto per struttura fisica, il francese si appropria di diritto del posto da titolare al fianco di Chapman, centravanti inglese per antonomasia. Il francese gioca, incanta e segna, segna tanto. Segna come solo lui sa fare.

Le beghe caratteriali però lo accompagnano anche in Inghilterra. Verrà ceduto nel ’93 allo United: Ferguson vuole puntarci su, e lui di uomini – da atteggiamenti problematici – se ne intende.

Pubblicità

Ferguson dà la sette, quella sette che fu prima di George Best, poi di Robson. Ora, indosso ad un francese: un affronto. Ma Cantona, in barba a tutti, vince di nuovo il campionato, primo tra tutti a raggiungere il traguardo con due club diversi in due anni consecutivi. Tra i Red Devils trova il suo posto, ne diventerà prima capitano, poi bandiera. Chiuderà lì la propria carriera, nel ’97, a soli trentuno anni. Si darà alla pittura, altra grande passione, ma non disdegnerà tornare all’Old Trafford.

Cantona è l’eccezione alla regola dell’enfant – mai – prodige, di quelli fortissimi di cui si perdono le tracce; di quelli talentuosi coi piedi, ma senza testa. Cantona è caduto e si è ripreso come pochi avrebbero saputo fare. Un pugile prima che un calciatore, roccioso centravanti dalla grazia sopraffina. Eric Cantona non si è mai risparmiato, ha vissuto sempre al massimo. Come direbbe Philippe Auclair: E’ stato ingenuo, imperfetto, arrogante, egocentrico, violento, egoista. Ma è stato anche il più generoso degli uomini perché ciò che ha dato, l’ha dato per il piacere di dare…”. 

Eric Cantona. Non Le Roi: non avrebbe mai potuto prendere il posto di Platini. Ma quello d’Angleterre, questo sì. O, in sole due parole: The King. 

Pubblicità

in evidenza