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Caso Acerbi – Juan Jesus: Non basta metterci una toppa

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Napoli Juan Jesus
Tempo di lettura: 5 minuti

La querelle che ha visto il presunto insulto razzista di Francesco Acerbi e Juan Jesus durante il match di serie a tra Napoli ed Inter è soltanto uno dei tanti episodi di questo stampo di cui il calcio italiano si è reso protagonista negli ultimi anni.

Nessuno incolpa nessuno e in tv sembrano davvero tutti santi, ma il razzismo sta diventando un vero e proprio fenomeno di costume sugli spalti della maggior parte dei nostri stadi, dove l’insulto razzista diventa goliardia davvero di cattivo gusto.

A nulla servono campagne della Uefa o della Lega, il fenomeno è troppo radicato. A testimonianza di questo riporteremo alla mente alcuni degli episodi più clamorosi accaduti nel nostro campionato negli ultimi anni.

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Zoro, il primo di una lunga serie

Stagione 2005 il Messina lotta per non retrocedere e per continuare la sua favola in Serie A. In un San Filippo gremito arriva l’Inter dell’Imperatore Adriano guidata da Roberto Mancini. Tra le fila dei siciliani milita Marc Andrè Zoro terzino ivoriano classe 1983 portato in Italia dalla Salernitana.

Zoro gioca con grande rabbia agonistica, con la voglia di chi ama il suo lavoro e cerca di raggiungere uno storico traguardo per la sua squadra, ma qualcosa dagli spalti colpisce la sua attenzione e con il passare del tempo la situazione diventa sempre più insostenibile.

Dal settore ospiti arriva qualsiasi tipo di insulto, gli mimano la scimmia, le banane e nel suo cuore la rabbia e la frustrazione crescono fino al minuto sessantasei dove in lacrime ed esasperato raccoglie il pallone da terra ferma la partita.

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E una furia, i compagni e gli avversari cercano di placarlo ma rivolgendosi all’arbitro Trefoloni dice “basta, stop”.  Adriano l’abbraccia lo consola, i tifosi del Messina sugli spalti inizialmente non si rendono conto della gravità della cosa, ma una volta capita la situazione si lasciano andare in un grande applauso di approvazione verso il proprio calciatore. La partita dopo pochi minuti riprenderà ma lo squarcio aperto dell’inciviltà da stadio resterà per lungo tempo, destinato ad allargarsi sempre di più:

“Mi sono saltati i nervi e mi dispiace. Io non voglio fare il personaggio. Ma non accetto che la gente venga nello stadio, in casa mia, per rivolgermi insulti razzisti. Ho accettato di tornare in campo solo per loro perché mi dispiaceva di far perdere la partita all’Inter o fare uno sgarbo a dei miei colleghi”.

Boateng, un’amichevole non proprio amichevole

Il caso di Zoro al tempo sensibilizzò molto l’opinione pubblica che nei primi anni del nuovo secolo manteneva un minimo di ritegno, fino a far diventare la parola divenire la parola razzismo un problema sociale.

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Tutto sembrava essere rientrato con parole dette o non dette, le prime discriminazioni territoriali soprattutto delle tifoserie del nord nei confronti di quelle del sud, ma il problema razzismo restava li subdolo pronto ad esplodere.

E così in una partita di quelle che generalmente si fanno in famiglia davanti a pochi intimi durante il periodo delle feste natalizie, si verifica il secondo significativo episodio di razzismo del nostro calcio.

Il 3 gennaio 2013 a Busto Arstizio il Milan si prepara a riprendere il campionato dopo i festeggiamenti natalizi, e organizza una partita amichevole con la Pro Patria. La partita comincia ma dopo trenta minuti dal fischio d’inizio, quello che in quel momento era uno dei leader tecnici dei rossoneri Kevin Prince Boateng, perde il controllo: ferma il pallone lo raccoglie e con estrema rabbia lo scaglia contro la tribunetta che ospitava i tifosi locali.

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Il capitano dei rossoneri Massimo Ambrosini decide di ritirare la squadra dal campo, anche per rispetto ad altri calciatori della rosa come Muntari ed Emanuelson che avevano già provato ad attirare l’attenzione dell’arbitro e dei dirigenti della squadra avversaria riguardo ad ululati razzisti e altri strani versi nei loro riguardi, senza avere alcun risultato.

Mario Balotelli, e la fatal Verona

Mario Balotelli cerca il rilancio in Serie A e per farlo sceglie Brescia, città dove è cresciuto da cittadino italiano. Il calciatore ex Inter comincia bene la sua avventura con le rondinelle tutto sembra andare per il meglio, addirittura lo sregolato talento di Super Mario sembra non fargli scherzi disciplinari.Ma durante il match di campionato tra il Verona e il Brescia l’ombra dell’ignoranza e del malcostume colpisce ancora.

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E il cinquantaquattresimo minuto della ripresa e l’attaccante del Brescia, preso di mira dai tifosi  dell’Hellas con ululati versi ed insulti irripetibili, interrompe l’azione di gioco che lo vedeva protagonista e calcia violentemente il pallone verso gli spalti minacciando di lasciare il campo.  La partita fù immediatamente interrotta dall’arbitro Mariani e, dopo l’annuncio dello speaker, il gioco è ripreso dopo uno stop di quattro minuti.

Riportiamo le parole di SuperMario al termine di quella sciagurata partita direttamente sulle stories del suo account Instagram:

“Grazie a tutti i colleghi in campo e non per la solidarietà espressa nei miei confronti e a tutti per i messaggi ricevuti da voi tifosi. Grazie di cuore. Avete dimostrato di essere veri uomini, non come chi nega l’evidenza. Alle ‘persone’ di questa Curva che hanno fatto il verso della scimmia… Vergognatevi (ripetuto tre volte, ndr.). Davanti ai vostri figli, alle vostre mogli, ai vostri genitori, ai vostri parenti e ad amici e conoscenti… Vergogna”.

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Maignan contro l’Udinese

Udinese e Milan giocano alla Dacia Arena un match davvero molto interessante sul piano sportivo, ma dal punto di vista del clima davvero ostile. I tifosi padroni di casa da circa una decina di minuti continuano ad insultare pesantemente il portiere francese del Milan Mike Maignan.

Fino al minuto venticinque quando Maignan si avvicina all’arbitro, mette il dito vicino all’orecchio e poi mima la scimmia. Si riprende a giocare sperando che quello scempio finisca, ma dopo appena sette minuti succede lo stesso, questa volta il portiere del Milan non ci sta, e offeso imbocca il tunnel degli spogliatoi, seguito da Adli, salvo poi fare ritorno in campo cinque minuti dopo, riaccolto dagli abbracci e dal sostegno dei suoi compagni di squadra.

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Nel primo tempo, quando sono andato a prendere il pallone dietro la porta, ho sentito i versi della scimmia e non ho detto nulla. Poi l’hanno rifatto, così ho chiamato il quarto uomo e ho spiegato cosa fosse successo. Così non si può giocare. Non è la prima volta, dobbiamo dare un messaggio importante. Un segnale”, ha spiegato lo stesso Maignan nelle interviste post partita.

“I veri tifosi vengono allo stadio per tifare, queste cose nel calcio non possono succedere. Non volevo rientrare, il nostro è un grande club e abbiamo un grande gruppo. Sono venuti tutti da me, e dopo siamo entrati in campo per vincere la partita. La risposta giusta era ottenere i tre punti”, ha proseguito il portiere.

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Non basta metterci una toppa…

Speravamo di non doverci più trovare a commentare episodi del genere, ma non avevamo tenuto conto che purtroppo non c’è mai limite al peggio, ed eccoci qua a parlare della querelle Juan Jesus – Acerbi.

La sensazione generale è che neanche gli organi competenti sappiano in che modo debellare questa stupida usanza. Prima di ogni match di Champions League osserviamo spot, striscioni lungo il campo che ci dicono “Not to racsim” Gli stessi calciatori mettendoci la faccia proclamano questo slogan, e Juan Jesus nelle coincitate scene succedute alla presunta offesa razzista da parte dell’esperto difensore dell’Inter, indicava proprio ad Acerbi la toppa che tutti i calciatori portano sulle loro maglie.

Bhe caro Juan Jesus, purtroppo non saranno i video, gli striscioni o le stesse chiacchiere da bar che faranno si che questo maledetto fenomeno non si verifichi più.

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Caro Juan Jesus non basterà stavolta metterci una toppa.

(Foto Depositphotos)

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