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NUMERO 14 – L’equilibrio nella follia

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All’anagrafe risulta come Paul John Gascoigne. E l’origine del doppio nome è direttamente collegata alla data di nascita. E’ il 27 Maggio 1967, il giorno prima i Beatles hanno presentato il loro nuovo disco, “Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band”. I suoi genitori, grandi fan dei Fab Four, hanno omaggiato entrambi i loro idoli McCartney e Lennon. Ma questa dualità getta l’ombra di una sinistra profezia sul futuro del neonato. Destinato ad oscillare sempre tra due poli opposti, una entusiasmante gioia di vivere alternata ad una vischiosa depressione.

Fuori dal ghetto

La sua famiglia fa parte della working class e risiede a Gateshade, un sobborgo di Newcastle. La loro abitazione è un bilocale in una casa popolare, il bagno è in comune con i vicini di pianerottolo. Non ci sono segreti nel condominio, tanto le cose vanno nella stessa maniera per tutti. E’ una vita scandita dai temuti ritorni a casa la sera del capofamiglia, spesso troppo ubriaco per mettersi a tavola ma sempre pronto a ripristinare l’ordine domestico con le cinghiate. E’ una situazione comune a molte famiglie della zona, almeno finchè l’autorità paterna si interrompe bruscamente, causa abbandono del padre padrone. A questo punto, quindi, la moglie, rimasta sola, deve rimboccarsi le maniche per garantire la sopravvivenza ai figli con la naturale conseguenza che la loro infanzia trascorre interamente per strada. Paul è un ragazzino paffutello che si divide tra le sue grandi passioni, il pallone e le barrette di cioccolato. Con il primo già dispensa meraviglie nelle infinite partitelle tra coetanei, la sovrabbondanza delle seconde rischia di minargli il fisico già dall’adolescenza. Cosa assolutamente da evitare per chi vuole diventare un calciatore professionista. E far uscire la sua famiglia da quel ghetto.

Due settimane

Ha 16 anni quando entra nella squadra giovanile del Newcastle. Tutti ammirano le sue invenzioni in allenamento, ben pochi possono vederle in partita. Gascoigne gioca finchè ne ha voglia dopodiché si estranea dalla partita. I compagni mugugnano, l’allenatore abbozza ma la domenica lo confina in panchina. Tuttavia il suo nome arriva a Jack Charlton, il nuovo tecnico del team. Il suo naso è enorme, il suo fiuto per il talento pure. Convoca il ragazzo e gli parla chiaro, dopo avergli accarezzato provocatoriamente la pancia (“Mi dicono che ci sia del buono sotto quella ciccia. Hai due settimane di tempo per farla sparire. Altrimenti sei fuori dalla squadra”). Il discorso ha effetti devastanti: Gascoigne esce in lacrime dall’ufficio dell’allenatore ma la sera stessa riprogramma il suo regime alimentare. Basta bibite gassate, basta fish and chips, basta hamburger. Anche le amatissime barrette Mars vanno a finire nel dimenticatoio. C’è il ballo il suo domani, non può andare tutto a rotoli per colpa di una stupida bilancia, lo strumento di controllo di  Charlton. Ogni giorno lo pesa, alla scadenza dell’ultimatum si è messo a regime. Dopo un mese è capitano della squadra juniores del Newcastle.

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Niente Manchester, si va a Londra

La titolarità lo rende uno dei candidati alla promozione in prima squadra. Charlton lo convoca e lo manda in campo con i grandi. Il suo primo campionato da professionista è trionfale: 31 presenze e 9 reti. Adesso non è più il ragazzino sovrappeso che i tifosi avversari chiamavano “fatman” (“ciccione”). Ora è diventato “Gazza”, l’idolo della città, l’uomo nuovo del calcio inglese. Tutti lo vorrebbero e il Newcastle, oberato dai debiti, è costretto a cederlo per ripianare il bilancio. Alex Ferguson, il leggendario allenatore del Manchester United, stravede per lui e raggiunge un accordo sulla parola: al rientro dalle ferie avrà la maglia dei Red Devils sulle spalle. Tuttavia il club londinese del Tottenham ha studiato a fondo il soggetto e sa come allettarlo. La loro offerta prevede, oltre a un ricco conguaglio al Newcastle, anche una serie di irresistibili benefits per il clan Gascoigne. Nell’ordine: uno stipendio mensile di 2.500 sterline per lui, una casa in centro, due Mercedes, un lettino abbronzante per la sorella e un lussuoso kit per la pesca, grande passione di tutta la famiglia. Come rifiutare? Nell’estate del 1988 Paul si trasferisce a Londra.

Mille paure

Il primo incontro con il suo nuovo allenatore, Terry Venables, dice tutto del personaggio. Paul si presenta al tecnico tenendo in braccio Teddy Ruxpin, un orsacchiotto di peluche, regalo del manager per i suoi 21 anni. E’ un dialogo muto tra i due, Paul tiene stretto Teddy che riproduce l’audio di una cassetta. Venables intuisce, ha di fronte un ragazzo che esorcizza lo squallore del suo passato con la maschera dell’allegria. Quel pupazzo è la sua coperta di Linus, ci si aggrappa allo stesso modo in cui è attaccato ai suoi amici d’infanzia, alle sue abitudini goliardiche. In campo è sfrontato e provocatorio, fuori è preda di mille paure. Va gestito con pazienza ed affetto. Il suo rifiuto di crescere è una rete di protezione contro i traumi della sua infanzia. Aveva 10 anni, ha visto morire in un incidente stradale il fratello di un amichetto affidato alla sua sorveglianza. Non ha mai dimenticato quell’episodio, la paura angosciosa della morte lo tormenta di continuo. Solo quando è in campo, con il pallone tra i piedi, riesce a dimenticarla.

L’estate infinita

Altri rimedi contro l’ansia sono gli scherzi ai compagni di squadra, vero marchio di fabbrica di Gazza. Oppure le permanenze in albergo, autentica comfort zone dove è accudito come un bambino. Tiene sempre la luce accesa nella stanza, ha un timore atavico del buio. Che fa da pendant alla sua insaziabile voglia di stare sul campo. Sarebbe capace di prolungare ad oltranza gli allenamenti. Soprattutto perché, poi, fuori dal campo da gioco c’è la vita reale da affrontare. E lui non ha gli strumenti per farlo. Le sue gambe dettano legge in partita ma poi, al fischio finale, gli servono per sfuggire alle invadenti attenzioni dei giornalisti, altro suo tallone d’Achille. Ogni cosa che fa è una ghiotta opportunità per i tabloid. Che il fatto sia reale o inventato non importa. Gazza è popolare e fa vendere copie. Due ottimi motivi per tenerlo sempre sotto controllo. E’ facile fargli saltare i nervi e poi spacciarlo al pubblico come un hooligan, sempre con la bottiglia a portata di mano, in cerca di risse. Questa fama lo accompagna anche al suo primo, grande appuntamento internazionale, il Mondiale italiano del ’90, dove accompagna la sua Nazionale a un meritato quarto posto finale. Come sempre alterna prodezze e drammi. E fa breccia anche nel cuore del pubblico tricolore. E’ la sua estate perfetta, l’estate infinita.

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Arrivo a Roma

Dopo il suo brillante Mondiale ci sono varie società italiane sulle sue tracce. Tenta un approccio la Juventus ma è la Lazio di Calleri ad aggiudicarselo. Dovrebbe sbarcare a Roma nell’estate del 1991 ma, a causa di un grave infortunio, il suo arrivo nella Città Eterna è posticipato di un anno. Ed è un arrivo degno del suo stile: sbarca all’aeroporto circondato da una decina di bodyguard mentre il suo entourage sventola uno striscione con dei bellicosi propositi (“Gli amici di Gazza sono qui per svuotare i boccali e amare le donne”). Ovviamente la traduzione non è letterale ma parecchio edulcorata. La tifoseria è già pazza di lui mentre il compassato tecnico Zoff non nasconde perplessità, più sull’uomo che sull’atleta. Che, comunque, riesce a regalare qualche gioia al pubblico, a partire da un memorabile gol nel Derby. Il suo triennio romano trascorre tra giocate di fino e qualche infortunio di troppo, fino alla inevitabile separazione nel 1995. Ma  la sua classe e la sua genuinità gli garantiscono un posto fisso nel pantheon degli eroi in biancoceleste.

La perdita dell’equilibrio

Emigra in Scozia, ai Glasgow Rangers. Ha modo di farsi apprezzare sul campo, come sempre. Ma anche di ficcarsi in situazioni imbarazzanti, come sempre. Il guaio è che, stavolta, la situazione, oltre che imbarazzante, è anche pericolosa. Gazza ha l’infelice idea di festeggiare una rete mimando il suono di un flauto. Ignora che il gesto è fortemente provocatorio nei confronti del pubblico cattolico, quello del Celtic, la squadra rivale dei Rangers. La tifoseria avversaria lo prende di mira, la sua cassetta della posta si riempie di lettere contenenti minacce di morte. E’ terrorizzato oltre ogni limite, i suoi eccessi (cibo, alcool, medicinali) da rifugio divengono scorciatoie per delle sempre più frequenti fughe dalla realtà. Lascia la Scozia ed inizia a girovagare, strappando contratti all’estero e poi nelle serie minori. La sua carriera è al capolinea, i ricoveri in centri di disintossicazione per gli alcolisti sono ormai la norma. Spesso le spese per la degenza sono pagate grazie alla solidarietà di colleghi impietositi dalla situazione economica deficitaria dell’ex campione. Più volte è in pericolo di vita, i rotocalchi hanno sempre pronti gli articoli da pubblicare in caso di suo decesso. Ormai Paul, il ragazzo che combatteva le sue paure cercando di trovare un equilibrio nella follia, ha perso definitivamente il suo ribaldo sorriso. Al suo posto, una espressione di stupore e uno sguardo spento.

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