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ROSSETTO E CAMPIONATO – Teoria e pratica dell’emozione europea

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Noi ci siamo abbracciati nelle case fino a farci male alla schiena, ci siamo riversati in strada a guardare immagini che pensavamo di non saper più mettere in scena, abbiamo cantato di nuovo quel ritornello di mondiale memoria che in realtà ci accompagna sempre non appena varchiamo le frontiere dello Stivale. Ma come si fa a festeggiare un Europeo che hai vinto tu?

Come in più o meno tutte le cose della vita, nessuna emozione arriva con il libretto d’istruzioni. E probabilmente nemmeno Chiesa, Immobile o Locatelli potranno mai provare a dare una definizione ad un sentimento che ti capita quella volta nella vita, in cui il colore che porti addosso non è quello di un club: è radice vera, modo di essere, è chi siamo veramente.

Non c’è mai un modo giusto o sbagliato quando si parla di provare sentimenti, non c’è una guida che illustri come si affrontano le sconfitte nella vita, figurarsi le vittorie. Ognuno di noi in cuor suo ha pensato, nella splendida sera di Wembley, che se l’avessimo portata a casa qualcosa sarebbe cambiato. Che avremmo potuto far di tutto pur di vedere inciso il nome della nostra nazione su quella coppa, perché quando ci arrivi così vicino è pazzia anche solo pensare di dovertene allontanare.

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Poi succede che vinci. Che devi tornare a casa perché sessanta milioni di persone sanno chi sei e come li hai fatti sentire in quel momento. Sei sopraffatto dall’amore della gente, la stessa gente che probabilmente non saprà scollarsi mai di dosso quegli infiniti trenta secondi dell’ultima parata di Donnarumma. Torni a casa, riguardi in tv quello che è successo, non ci credi nemmeno. Ti ricordi quando dicevi a te stesso “se vinco l’Europeo, lo faccio”. Glielo dico, lo faccio, non aspetto nemmeno un minuto. Pare lui le abbia chiesto di sposarlo alle Bahamas, due anni prima, ma al cuore fin troppo malleabile di chi scrive piace pensare che Federico Bernardeschi e Veronica Ciardi se lo siano detti due giorni prima, vinco la coppa e ti sposo. O almeno, il destino se lo sarà detto di sicuro.

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Lo spazio per provare qualcosa non è mai abbastanza, e non è mai poco. Provateci, a mettere un matrimonio sulla vittoria di un trofeo continentale, con gli occhi ancora viola per le ore di sonno mancate, provateci a vivere. Marco Verratti e Jessica Aidi, sulla scia del matrimonio dell’attaccante bianconero, si sono detti sì davanti ad amici e parenti a Neuilly Sur Seine. Immaginate di avere  Ibrahimovich, Lavezzi e Mbappé tra gli invitati delle vostre nozze. Bene, ora svegliatevi e tornate pure a inviare la partecipazione allo zio di terzo grado di cui non ricordi il volto ma che tocca invitare perché altrimenti “sembra brutto”.

Insomma, c’è chi reagisce alle emozioni forti con altrettante forti emozioni. Ma in realtà, di più forte dei propri affetti non c’è davvero nulla. E se questi nascono, crescono e diventano un legame su un campo di calcio, state pur certi che ve li ritroverete davvero alle cene di Natale. Insigne e Immobile sono di quanto più bello, verace e genuino si possa vedere in questi giorni post vittoria sui social: ed è quasi tempo di ritiro precampionato, tra una puntatina al Lìo di Ibiza e una gita in moto d’acqua ci sta anche cominciare a rimettersi in sesto per Spalletti e Sarri.

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Se c’è uno che non riesce proprio a smettere di pensarci a quella coppa, è Leo Bonucci. Come dargli torto del resto. L’intervista densa di abbracci tra lui e Chiellini resterà nella storia, perché per quanto ci interessi conoscere gli ingaggi, i giorni di lavoro, gli allenamenti, questi restano dei ragazzi con dei sogni, esattamente come ognuno di noi. Ed esattamente come noi, della pastasciutta di mammà non possono veramente farne a meno.

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In Europa ormai non avranno più problemi con le ricette, basta citofonare Bonucci. Chissà se anche lui avrà fatto quella specie di promessa a sé stesso: se vinco…

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Chissà quanti di noi ne avranno fatta una.  Semmai vi servisse ancora una spintarella per prendere quel treno, dire quella parola, fare quella domanda, dovreste ricordare che Donnarumma ha parato l’ultimo rigore in una finale europea a 22 anni davanti a sessantamila inglesi fischianti.

Potete farcela.

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