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NUMERO 14 – Ettore e non Achille

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Dannato telefono.
Se non fosse l’unico modo di parlare con lei lo avrebbe già fatto a pezzi.
Esattamente come l’armadio della sua stanza durante il suo primo anno a Cagliari.
Non aveva ancora vent’anni ed era arrivato in Sardegna per forza di cose: i 37 milioni pagati dal club isolano per il suo cartellino erano stati indispensabili per la sopravvivenza economica del Legnano, la sua squadra precedente.
Sguardo indecifrabile e parole misurate con il bilancino del farmacista: al primo impatto il ragazzo venuto dalla Padania non era risultato molto simpatico ai nuovi compagni di squadra.
Non che gliene importasse molto. Si riteneva di passaggio in quei luoghi.
Giusto un anno e poi, finito il contratto, avrebbe fatto ritorno a casa.
Ma la cifra spesa indicava che la società aveva investito su un futuro campione.
Ed era entrato a far parte di un progetto a lungo termine.
I rimbrotti dell’allenatore, oltre ai mobili fracassati per la rabbia da sfogare, avevano avuto effetti benefici anche sull’efficacia del suo tremendo sinistro: primo campionato da titolare in serie B, otto gol all’attivo e contributo importante alla promozione dei sardi in serie A.
Da allora il rapporto tra Gigi Riva e il Cagliari era stato simbiotico e la loro crescita simultanea ed esponenziale.
Il giocatore si era trasformato in una autentica macchina da goal e le sue reti avevano trascinato la squadra nelle zone nobili della classifica: piazzamento d’onore l’anno precedente alle spalle della Fiorentina e uno storico primo posto alcune settimane prima, con uno scudetto di cui aveva gioito tutta l’isola.
Un sogno che era divenuto realtà e di cui lui era stato il principale artefice.
Adesso, smessa la casacca del Cagliari e indossata quella azzurra della Nazionale, era proiettato su un altro obiettivo.
Il più grande di tutti. Il Campionato del Mondo in Messico del 1970.
Riva è il pilastro della squadra: ha debuttato in azzurro cinque anni prima e il suo curriculum annovera diciannove goal in appena sedici gare.
E’ stato lui a spianarci la strada verso il Mondiale: in quattro gare del girone di qualificazione ha segnato sette reti.
E ora tutti si aspettano che siano le sue prodezze a portarci verso un titolo che ci manca dal Mondiale del 1938, dai tempi di Piola e Meazza.
Il sogno di un paese intero è anche il suo. Non ha dimenticato l’intensa emozione di due anni prima, a Roma, quando una sua rete ha siglato la vittoria nel Campionato Europeo, al termine della finale-bis contro la coriacea Jugoslavia.
Campione d’Europa e ora aspirante Campione del Mondo.
Ma non sono i 40 giorni di ritiro in altura a pesargli, adesso, né la lontananza da casa oppure la durezza degli allenamenti.
Sono altri i tarli che gli divorano l’anima.
La donna con cui passa le notti al telefono non è la sua donna.
Non potrebbe esserlo: è sposata con un altro ed è madre di un bambino.
Sul caso l’ordinamento non ha dubbi: è un reato secondo l’art. 559 del Codice penale.
Si chiama Adulterio. Solo nel caso in cui sia la donna a rendersene colpevole, però.
Disparità di trattamento? Il dubbio esiste e il quesito è stato posto all’attenzione della Corte Costituzionale che, tuttavia, non è di questo parere e ha riconosciuto, con una sentenza di nove anni prima, la legittimità dell’articolo in questione.
Le motivazioni della Consulta? Per loro una condotta infedele della moglie è più grave di quella del marito in quanto un suo tradimento compromette la stabilità della coppia molto di più rispetto a delle “isolate infedeltà del coniuge”.
In altre parole, secondo i giudici, l’unità di una famiglia è davvero in pericolo se è la donna ad avere un altro uomo mentre in caso contrario la situazione viene considerata reversibile.
Il fatto che la stessa Corte abbia poi mutato orientamento e abrogato l’articolo con una successiva sentenza non ha impedito che il marito della donna la denunciasse e che la faccenda finisse sui giornali.
Che ci hanno marciato sopra di brutto: lei è una poco di buono e lui è un arrogante che ritiene di poter fare tutto, anche prendersi la donna di un altro come se nulla fosse.
Da idolo delle folle a rovinafamiglie nel giro di un attimo.
In una situazione del genere Gigi non può fare a meno di pensare a suo padre Ugo, veterano di tre guerre e medaglia al valore conquistata nell’ultima.
Quante volte era scampato ai proiettili dei nemici in battaglia per poi subire la beffarda sorte di morire a causa di un maledetto pezzo di ferro sparatogli nello stomaco dalla pressa nella fabbrica dove lavorava.
La sua morte aveva decretato l’entrata in filanda per sua madre per necessità economiche e il suo conseguente internamento in collegio.
Il periodo peggiore della sua vita: il Destino si era preso per tre anni la sua libertà di bambino felice dopo avergli sottratto l’affetto della famiglia.
In collegio, per consolarsi, ricordava quanto suo padre, appassionato di ciclismo e tifoso di Fausto Coppi, amasse leggergli ad alta voce gli articoli sul suo idolo.
E ricordava bene che Coppi, colpevole come lui di essersi innamorato di una donna sposata, aveva subito lo stesso trattamento dall’opinione pubblica.
Al diavolo, che dicessero quello che gli pare di lui ma lascino in pace lei.
Non è colpa di Gianna se il suo Mondiale è iniziato in sordina.
Tre partite giocate, zero gol per lui e una qualificazione afferrata per un soffio.
Nervoso, irascibile, poco incisivo. Non è il Riva che ci si aspettava.
Per alcuni patisce il gioco in altura. Come se il ritiro non fosse servito a nulla.
Ma per molti altri è il suo cuore ferito il problema.
Sembra che si sia ritirato in isolamento, offeso per le critiche ricevute.
Incluse quelle per la sua condotta fuori dal campo.
Ma in lui non c’è traccia di sdegno. E non sarà mai un Achille.
Se avesse cercato solo la gloria personale, alla maniera del borioso guerriero greco, avrebbe già da tempo lasciato Cagliari per approdare su altri lidi e con altre ambizioni.
Non aspettavano altro: Juve, Inter e Milan lo avevano tentato a lungo, sin dai suoi primi campionati giocati a Cagliari.
Troppo forte quel guerriero per lasciarlo invecchiare sull’isola.
Almeno secondo i loro parametri di giudizio.
Perché Riva è nato per essere Ettore. E non diventerà mai Achille.
Si tengano gli altri il loro blasone, i loro soldi e anche i traguardi che sognano di raggiungere facendogli indossare la loro maglia.
Lui, esattamente come il principe troiano, ha stabilito che le priorità sono altre.
L’amore per la propria terra e la propria gente.
Si, è vero, non è nato in Sardegna ma non significa nulla.
Quello che conta davvero è l’affetto reciproco che è nato tra di lui e quella gente umile ed orgogliosa che popola l’isola.
Un sentimento che ne ha fatto un figlio legittimo di quella terra.
A Cagliari e al Cagliari ha dedicato tutta la sua carriera e quello scudetto è il suo modo per ringraziare la sua gente per tutto quello che gli ha dato.
Perché Riva ha scelto di essere Ettore. E non sarà mai Achille.
Il suo giorno libero ama trascorrerlo nei paesi dell’entroterra, assieme ai contadini e i pastori. Mangia alla loro tavola, ascolta i loro racconti.
In silenzio. Riva non ha mai sprecato parole.
Ettore offriva sacrifici agli Dei a capo scoperto mentre Achille profanava con sadismo i templi delle divinità.
Riva rende onore al suo popolo con le reti sul campo e la condivisione totale della loro esistenza quando non indossa la divisa da gioco.
Adesso è il tempo della riscossa: ha segnato una doppietta contro il Messico nei quarti e una delle reti con cui si è sconfitta di misura la Germania nell’epica semifinale.
La vittoria finale, la grande impresa è a un passo.
Anche se si ha di fronte il Brasile del grande Pelè si può sognare il trionfo.
Con Riva in campo si può, eccome.
Lui immagina, a fine partita, di scambiare la maglia con il più grande di sempre e poi di tornare a casa con la Coppa.
A casa. Da lei.
Perché Riva è comunque Ettore. E non può essere Achille.
Se il guerriero acheo amava solo la sua armatura e considerava le donne solo come dei passatempi da alcova tra una battaglia e l’altra lui, come il condottiero troiano, ha scelto di vivere la sua vita con una sola donna.
E, dopo l’ultima partita, dopo la finale al suo ritorno in Italia c’è lei ad aspettarlo.
Gianna-Andromaca finalmente può riabbracciare quello che ora è il suo uomo.
Perché Gigi Riva è stato sempre e solo Ettore. E mai Achille.

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