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‘El Hombre del Mundial’ – Addio ‘Pablito’

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Per tanti amanti del calcio e diverse generazioni il suo nome è sinonimo di grande attaccante. Non per i brasiliani, per i quali, ancora oggi, Paolo Rossi è sinonimo di tragedia. Nel Paese che ha dato i natali a Pelé difficilmente dimenticheranno quel pomeriggio del 5 luglio 1982 allo Stadio Sarrià di Barcellona, che consacrò ‘Pablito’ come vero e proprio condottiero dell’Italia di Enzo Bearzot. In Brasile ancora piangono per la tripletta che l’attaccante azzurro rifilò alla Seleção.

“Una volta un tassista brasiliano dopo aver fatto con la sua auto un centinaio di metri mi riconobbe dallo specchietto retrovisore, frenò di colpo e urlando come un pazzo mi ordinò di scendere: ‘Lei è il carrasco do Brasil (tradotto in italiano significa il boia del Brasile)’ che mi ha fatto soffrire da matti e ha gettato nel dolore, in quella notte spagnola, un’intera nazione. Fuori da qui!’. Scesi dal taxi quasi tremando, ne chiamai un altro e mi feci portare in albergo. Questo episodio accadde a San Paolo, dove mi avevano invitato a giocare un torneo fra ex calciatori, e il bello è che risale al luglio del 1989, ovvero a distanza di ben sette anni dal mondiale di Spagna. Ma per i brasiliani quella sconfitta con l’Italia è ancora una ferita aperta…”.

Zico, Falcão, Socrates, Cerezo, Junior, la nazionale brasiliana probabilmente più forte di tutti i tempi messa in ginocchio da un esile, ma quel pomeriggio letteralmente enorme, attaccante. Rossi, che era rientrato dalla squalifica per calcioscommesse, visse quella gara come una resurrezione. Una dura battaglia che porterà poi l’Italia alla vittoria dei Mondiali e Pablito al titolo di capocannoniere del torneo prima ed al Pallone d’Oro poi.

Uno degli attaccanti più forti che l’Italia abbia mai avuto. Una carriera di grandi esaltazioni, ma anche di periodi difficili. La squalifica per il calcioscommesse, ma anche un problema alle ginocchia che gli imporrà il ritiro nel 1987 a quasi 31 anni.

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L’ALA PRIMA DEL GRANDE ATTACCANTE

Rossi alla sua prima esperienza alla Juventus

Nato a Prato il 23 settembre 1956 Paolo si innamora del pallone sin da quando muove i primi passi, iniziando a giocare nel Santa Lucia per poi passare all’Ambrosiana. A dodici anni va alla Cattolica Virtus. Due anni dopo di lui si innamora un giovane responsabile del Settore giovanile della Juventus, era Luciano Moggi. Paolo lo strega talmente tanto da convincere il dirigente bianconero Italo Allodi ad acquistarlo ad appena 16 anni nonostante le titubanze della famiglia che difronte ad un assegno da 14 milioni e mezzo di lire non può, però, che alzare le mani.

 

“Senza giocare a calcio avrei fatto il ragioniere. Quando ho iniziato a giocare, come tutti, avevo delle ambizioni: sognavo di diventare qualcuno che vedevo in tv, come i ragazzi di oggi guardano Messi o Ronaldo. Il mio mito all’epoca era Kurt Hamrin, uno svedese che giocava ala destra nella Fiorentina. Anch’io giocavo ala destra e rimasi in bianconero fino ai 20 anni”.

GLI ANNI IN BIANCONERO, GLI INFORTUNI E POI IL VICENZA

Quando la giovane ala destra sbarca a Torino nelle giovanili della Juventus, le aspettative sono molto alte. Si mette in mostra ma il suo fisico non sembra essere ancora pronto all’appuntamento con il calcio vero. Finisce, infatti, per ben tre volte sotto i ferri subendo l’asportazione di tre menischi.

“Allora, quell’operazione faceva perdere almeno 6 o 7 mesi di preparazione. L’ultima è stata nel 1974″.

La carriera del ragazzino rischia di compromettersi. Nel 1974, tuttavia, Rossi esordisce in Prima squadra in Coppa Italia.

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“L’allenatore della Primavera era Castano, un grandissimo personaggio nell’ambiente di quegli anni. Con lui sono diventato uomo e calciatore e grazie al suo aiuto ho esordito in Coppa Italia con la prima squadra. Ricordo che vincemmo a Cesena per 1-0, con gol di Musiello; esordii con Vycpálek ed ho avuto l’occasione di giocare con giocatori del calibro di Capello e Altafini, tanto per fare due nomi fra i più conosciuti. Fu una stagione eccezionale”.

Ma gli infortuni, appunto, lo limitano. La Juventus lo manda, quindi, in prestito al Como. La stagione si rivela, però, deludente. Solo sei presenze e zero le reti in Serie A.

MIRACOLO VICENZA E MONDIALI ‘78

Paolo con la maglia del Vicenza

Ma come ogni brutto anatroccolo Pablo ha la sua opportunità di riscatto: il Vicenza. I biancorossi militano in Serie B ed è nel torneo cadetto che nascerà la favola ‘Paolo Rossi’. Grazie ad una cessione – quella di Vitale – ed un’intuizione, quella del tecnico Fabbri che da ala lo sposta al centro dell’attacco. Risultato: 21 goal in 36 presenze di campionato, capocannoniere del torneo e Vicenza in Serie A.

L’anno successivo porta la propria squadra addirittura a giocarsi lo scudetto proprio con la sua ex squadra, la Juventus. Segna nello scontro scudetto ma ad avere la meglio sono i bianconeri con una doppietta di un irresistibile Bettega. In quell’anno il Vicenza ottiene un clamoroso secondo posto e Rossi il titolo di capocannoniere con 24 goal in 30 presenze.

 

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“Sono arrivato al Lanerossi Vicenza a 20 anni, e mi ero posto come obiettivo di aspettare ancora un anno: ‘O va quest’anno, e riesco a capire qual è il mio valore nella squadra, oppure posso tornare a fare altre cose’. Fino a 20 anni non sapevo se sarei diventato calciatore, nonostante si intuisse che avevo qualità: per sfondare nel mondo professionistico devi dimostrare di poterlo fare. Lo sport è una prova continua, fino a quando smetti sei sotto esame, sempre valutato”.

Rossi con Bearzot e Causio ai Mondiali del ’78

Poi arriva il debutto nella nazionale di Bearzot nel 1977. E nell’estate del 1978 farà coppia con Bettega al Mondiale in Argentina. Una delle Nazionali più belle di sempre che si deve però accontentare del quarto posto finale. Rossi segna tre gol e finisce nella Top11. Ad appena 22 anni Pablito si consacra tra i big del calcio italiano.

Nella stagione successiva ripaga lo sforzo economico di Farina per tenerlo al Vicenza con 17 gol in 32 presenze. Il presidente, infatti, nella contesa delle buste chiuse per la risoluzione della comproprietà del calciatore con la Juventus aveva offerto ben 2 miliardi 600 milioni e 510 mila lire contro gli appena 875 milioni dei bianconeri. Quella ‘follia’ però costa ai Lanerossi la retrocessione nella serie cadetta.

IL PERUGIA E LA SQUALIFICA PER CALCIOSCOMMESSE

Paolo durante l’esperienza al Perugia

Con il Vicenza in Serie B Rossi non può che essere ceduto. A prenderlo, stavolta, è il Perugia di D’Attoma che strappa al Vicenza un prestito biennale per un totale di 1 miliardo di lire più le cessioni di Redenghieri e Cacciatori. Questa nuova avventura segna, però, per Rossi un passo indietro in carriera. Saranno 13 i gol in campionato e 1 in Coppa UEFA. Ma a portarlo alla ribalta delle cronache di tutta Italia è ben altro. Rimane invischiato, infatti, nello scandalo calcioscommesse del 1980. Della Martira e Zecchini i calciatori perugini arrestati, Rossi è ritenuto loro complice. A Pablito gli cade letteralmente il mondo addosso. Saranno 3 gli anni di squalifica poi ridotti a 2. Rossi salterà l’Europeo ma farà appena in tempo per il Mondiale dell’82.

 

“Non sapevo nulla delle scommesse: pensavo al classico pareggio accettato da due squadre che non vogliono farsi male. Seguii il processo come qualcosa di irreale, come se ci fosse un altro al posto mio. Capii che era tutto vero quando tornai a casa e vidi le facce dei mie. Dopo che mi tolsero soltanto un anno, sono scappato a casa a Prato, e ho visto mio padre disperato e mia madre che piangeva: lì ho realizzato davvero cosa mi era capitato. Mi avevano tolto due anni di lavoro, due anni di vita. E ripensai alle parole di Simonetta, allora mia fidanzata: ‘Paolo, attento, ti vogliono incastrare’. Anche ora sono convinto di essere stato strumentalizzato. Federazione e giustizia sportiva hanno voluto usare la mano pesante: non potevano scagionare il più famoso e condannare gli altri”.

EL HOMBRE DEL MUNDIAL

Un momento del primo processo per calcioscommesse

Negli anni successivi all’80 Rossi dovrà, quindi, restare fermo, senza poter scendere in campo in partite ufficiali. Ma, come lui stesso ammette, a salvarlo sono la consapevolezza di essere innocente e la Juventus. Paolo, infatti, fu acquistato dai bianconeri per 3,3 miliardi di lire.

 

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“Quell’estate (del 1980, ndr) mi allenai qualche volta con il Vicenza (al Perugia era in prestito, ndr) ma senza voglia. Provavo disgusto per il calcio. Ho pensato di andar via dall’Italia, di smettere. Dissi: ‘Non mi vedrete più in nazionale’. La cosa peggiore era il sospetto della gente, quegli sguardi e le notti del sabato, sapendo che al risveglio non c’erano partite ad aspettarmi. Mi ha salvato la consapevolezza di essere innocente. E la Juve.

Boniperti mi chiamò: ‘Verrai con noi in ritiro, ti allenerai con gli altri, anzi più degli altri’. Mi sono sentito di nuovo calciatore. La lettera di convocazione adesso farebbe ridere. Diceva di presentarsi con i capelli corti, indicava cosa mangiare e cosa bere. Boniperti era un mago in queste cose. Quando arrivai mi disse: ‘Paolo, se ti sposi è meglio, così sei più tranquillo’. Mi sono sposato a settembre. L’avrei fatto lo stesso, diciamo che sono stato un pò spinto (ride, ndr). Comunque devo ringraziare lui, Trapattoni e Bearzot. Il Trap mi ha allenato con la sua grinta, ci ha messo molta dedizione, Bearzot mi chiamava spesso. Non mi faceva promesse ma mi incoraggiava a lavorare bene, perchè lui mi teneva sempre in considerazione. Fondamentale”.

Per Rossi è l’inizio di una vera e propria rinascita. Scontata la squalifica, il 2 maggio 1982 torna in campo da titolare contro l’Udinese e firma uno dei 5 goal che la Vecchia Signora rifila ai friulani.

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Non ricordavo più l’emozione di un partita vera. Due anni di silenzio mi hanno maturato. Proprio in questo momento mi dico: non c’è solo il calcio“. Trapattoni non ha dubbi: “È quello di un tempo”.

Pablito bacia la Coppa dopo la vittoria dei Mondiali ’82

A fine stagione la Juventus vincerà lo scudetto e Rossi convocato nell’Italia di Berazot per il Mondiale in Spagna. A farne le spese inaspettatamente Roberto Pruzzo, bomber degli ultimi 2 campionati di Serie A. Le critiche sono tante e ad alimentarle è anche una qualificazione al girone a tre dei quarti di finale arrivata a stento grazie alla miglior differenza reti con il Camerun. Rossi in campo sembra la brutta copia del calciatore ammirato ai Mondiali di 4 anni prima. L’Italia è data per spacciata. Inserita in un girone di ferro con Argentina e Brasile. Ma con l’Albiceleste di Maradona finisce 2-1. Poi tocca al Brasile soccombere dinanzi alla tripletta di un mitico Pablito. Le critiche lasciano spazio ai complimenti, nasce ufficialmente il mito di Pablito. Il numero 20 azzurro non si ferma più. Ne fa 2 in semifinale con la Polonia e 1 in finale con la Germania. È la notte della corsa di Tardelli, è l’11 luglio 1982. I tedeschi si piegano sul 3-1 e Rossi e l’Italia salgono sul tetto del Mondo.

 

“Il primo goal al Brasile, lo ricordo come il più bello della mia vita. Non ho avuto il tempo di pensare a nulla: ho sentito come un senso di liberazione. È incredibile come un episodio possa cambiarti radicalmente: niente più blocchi mentali e fisici. Dopo quel goal, tutto è arrivato con naturalezza. Pensavo: ‘Fermate il tempo, non può essere già finita, non vivrò più certi momenti’. E capii che la felicità, quella vera, dura solo attimi”.

Pablito è l’hombre del Mundial, con 6 goal è il capocannoniere del torneo e, a fine anno, vince anche il Pallone d’Oro, terzo italiano di sempre dopo Sivori e Rivera. L’incredibile evoluzione del brutto anatroccolo è compiuta.

LE VITTORIE ALLA JUVENTUS

Rossi decide la semifinale della Coppa delle Coppe

Pablito sa di avere un debito da scontare con la Juventus per aver creduto in lui. E allora nel 1982-83 realizza 18 reti in 43 presenze tra Campionato e coppe. Arriva la vittoria della Coppa Italia. L’anno successivo sono 13 i gol in Campionato e 2 decisivi nella Coppa delle Coppe che poi alzerà al cielo. Rossi decide di restare per un terzo anno e nonostante sia prolifico per i bianconeri con la vittoria dello Scudetto e della Coppa Campioni in quella tragica notte dell’Heysel, per Pablito l’incantesimo si spezza. Non è più il calciatore ammirato in precedenza ed il suo score lo conferma. Appena 3 gol in campionato, 2 in Coppa Campioni e 5 in Coppa Italia.

A fine anno decide di andar via.

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“In bianconero ho vissuto dei momenti molto belli, ma anche alcuni molto brutti. Ad un certo punto ero stufo di calcio, andavo agli allenamenti perché ero costretto. Mi sembrava che attorno a me mancasse totalmente la fiducia, quando dovevano sostituire un giocatore, toccava sempre a Rossi. Mi sembrava una scelta fatta a tavolino, ci restavo male. Con i tifosi juventini non mi sono mai trovato bene, forse ha rovinato il rapporto la faccenda dell’ingaggio, quando chiesi qualche soldo in più. Oltretutto nella Juventus giocavo in una posizione poco congeniale alle mie caratteristiche, ma mi sono adattato, anche sacrificandomi. Ho imparato tantissime cose, la società voleva confermarmi ma io, ormai, mi sentivo come un leone in gabbia. Meglio cambiare aria”.

LA FINE DI UN MITO

Paolo Rossi con la maglia del Milan

L’ex presidente del Vicenza, Farina, ora numero uno del Milan, decide di puntare ancora una volta su Pablito versando nelle casse bianconere 5 miliardi e 300 milioni di lire. Ma la stagione in rossonero è tutt’altro che esaltante. In Coppa Italia si infortuna alla caviglia e l’esordio in campionato slitta, quindi, a novembre. A fine anno avrà realizzato appena 3 gol in 26 presenze.

Gli unici 2 in campionato li fa nel Derby della Madonnina contro l’Inter. Rossi, a suo modo, riesce comunque a lasciare il segno.

 

“Mi sembrava di essere al Mundial. – rivela dopo la gara – Se l’Inter avesse avuto le maglie gialle come quelle del Brasile forse avrei fatto tre goal. Ma va bene così, non ricordo nemmeno io quando realizzai l’ultima doppietta”.

Rossi al Verona

Nonostante tutto, viene convocato anche per il Mondiale messicano dell’86 senza mai, però, scendere in campo. La stagione successiva è la sua ultima da calciatore. A Verona chiude il suo bottino con 7 gol in 27 presenze portando gli scaligeri al quarto posto in campionato e, quindi, alla qualificazione in Coppa UEFA. Competizione che però non disputerà. A causa delle sue ginocchia, infatti, decide di smettere all’età di quasi 31 anni.

Alla fine della sua carriera su 389 presenze saranno 154 le reti totali 20 delle quali nella sua amata Nazionale.

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Oggi ci lascia uno dei simboli più grandi del nostro calcio. Terzo italiano a ricevere il Pallone d’Oro dietro a Sivori e Rivera e miglior marcatore italiano ai Mondiali insieme a Baggio e Vieri.

Addio Pablito.

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