Si parte dai suoi esordi, ma soprattutto dalla sua passione per la pallavolo, mai avrebbe pensato che il calcio fosse un lavoro. Quasi per caso finisce ai Newell’s Old Boy dove, con grande difficoltà, dovrà dire a suo padre che non proseguirà gli studi a cui teneva. Arriva in Nazionale senza impegno (per sua stessa ammissione) in due anni, attraversando la “striscia di Gaza” River (1989) e Boca (1990). “Avevo grande potenza, ma zero tecnica”. In Nazionale arriva il sogno di venire in Italia, perchè ormai quello è un lavoro e il posto più bello dove farlo, nei 90, è l’Italia. L’amico procuratore gli fa una promessa: “Fai 5 gol in questa Coppa America e ti ci porto”. Detto fatto, 5 gol e Coppa all’ Albiceleste.
FIRENZE
Batistuta è Firenze. La sua vita è lì. Sulla Roma si fa un accenno (peraltro molto scenografico), perchè per Bati è il trofeo più importante della carriera, fortemente cercato e trovato con grandi sacrifici, non ultimo lasciare casa sua. Forse un romanista storcerà la bocca e penserà all’ingratitudine, ma preferisco gli uomini sinceri che non rinnegano la loro casa. Poi si ragionasse su un grande campione che mentre si festeggiava lo scudetto al Circo Massimo, invece della gloria di un palco, ha preferito parrucca e cappellone per stare in mezzo ai tifosi con la moglie (e Marcone Del Vecchio). Non è da tutti.
Immagini toccanti in giro per Firenze, nel centro sportivo, il golf con Antognoni. Se fossi fiorentino, morirei in quello spezzone, i ricordi dei dubbi con la moglie Irina, la paura di lasciare quell’amore, le conversazioni con Toldo. Ma Firenze non può dargli la sua ambizione e quando a questo si aggiungono alcune concessioni fuori dalle regole (a Edmundo fu permesso di andare al Carnevale di Rio, senza penalità), Bati decide e, per mia fortuna, decide bene.
Tutta la parte successiva relativa al calvario delle sue caviglie è straziante (anche Totti nel suo libro ricorda come Batigol soffrisse già quell’anno e spesso dovette fare infiltrazioni), tanto quanto è benefica la serenità che traspare dai luoghi dove si isola e dalla sua facenda, riempita dalla sua famiglia. Pensare a questo immenso giocatore che valutava la possibilità di tagliarsi i piedi dal dolore… Già ho detto troppo, andate a vederlo.
Non starò qui a proporre i suoi gol, perchè sono di uso comune, basta you tube per sognare, ma mai un acquisto della Roma mi provocò l’emozione che mi ha dato Bati, il Re Leone, campione e uomo. Dal documentario, oltre al mito appare quello, l’uomo, senza il quale il campione non può esistere. Per me Batistuta, già a Firenze sia chiaro, era il sinonimo di numero 9.