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SILENT CHECK – A ciascuno il suo

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E’ stolto chi si ostina ad occupare un posto che sa di non meritare”.

In fondo basterebbe scolpire queste parole nella pietra d’un qualsiasi ingresso monumentale d’un qualsivoglia luogo di comando per scuotere le coscienze di donne e uomini a volte chiamati a ruoli e contesti dei quali, troppo tardi, capiscono di non essere all’altezza.

Gli antichi romani attribuivano grande valore alle parole e credevano nel loro potere intrinseco.

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Alla fortuna assegnavano una grande importanza e non mancavano mai di rivolgerle preghiere anche per quanto accadeva nei fatti quotidiani, senza disdegnare il ricorso a riti scaramantici.

La carriera, poi, passava attraverso il cosiddetto “cursus honorum”, vale a dire l’ordine sequenziale degli uffici pubblici, delle cariche sia politiche che militari.

Giammai, infatti, i romani videro un tribuno della plebe che non era stato questore o un console che non era stato prima pretore.

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Perché certi ruoli e certi palcoscenici si conquistano e certe posizioni… bisognerebbe imparare a meritarsele.

Vale nella vita, ma vale – anche e soprattutto – nello sport. Nel calcio, poi, improvvisazione e pressappochismo quasi mai pagano, poiché più spesso puniscono.

E tra tutti, si sa, l’esperienza è l’insegnante più difficile. Come diceva qualcuno “prima ti fa l’esame e poi ti spiega la lezione”.

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Quattro partite, dirà qualcuno, rappresentano una parentesi quasi insignificante per la serie A 2020/2021, specie se si tiene conto che nei 7 punti del Verona e negli 8 della Juventus c’è una vittoria “a tavolino” ed al Torino che chiude la classifica manca una partita col Genoa rinviata per motivi fin troppo noti.

C’è però già un messaggio interessante da comprendere nei 12 punti con un solo gol subito da parte del Milan, nei 10 punti del bel Sassuolo di Roberto De Zerbi, nei 9 punti di una super-Atalanta capace di segnare 13 gol in 3 partite e poi subirne 4 in poco più di 20 minuti al S. Paolo, ma anche nei 6 punti (raccolti in casa e fuori casa) di Benevento e Sampdoria. Per non parlare del Napoli, che ha 8 punti in 4 partite, pur avendone giocate 3 e realizzati 9 (con 4 gol di media a partita). Misteri della matematica applicata al calcio D.C. (durante Covid), quando a quest’ultimo si applicano regole che sbeffeggiano (per ora, s’intende) i principi che regolano l’ordinamento giuridico di riferimento.

Nella vita, d’altronde, c’è sempre chi fa il lavoro e chi, invece, se ne prende il merito.

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Ecco perché tutti parlano (non a torto) della ritrovata verve di Lozano e della profondità di Osimhen, ma dimenticano l’ardire di Gattuso nell’affrontare la bella Dea bergamasca con 4 uomini d’attacco. Come pure idolatrano l’eterna capacità del numero 11 rossonero di essere ancora Zlatan Ibrahimovic, senza sottolineare il lavoro prezioso in panchina d’un allenatore come Pioli, che troppo presto ha rischiato d’esser messo da parte, ed il resto d’una squadra che sta cominciando a percepirsi capace d’ogni impresa.

Ci sono poi coloro per i quali, rispetto all’anno scorso, suona già qualche piccolo allarme. Parlando, infatti, di Lazio, Fiorentina, Parma e Bologna, se le prime due son destinate a riprendersi (ai viola sembrano esserci tutti gli ingredienti per risalire velocemente, magari cambiando allenatore), per le emiliane il rischio è davvero alto e sarà tanto meglio provare a risollevarsi in fretta.

Verona, Spezia, Lazio e Cagliari, poi, dovranno nell’ordine necessariamente portare 12 punti in un mese alla Juventus, che doveva esser soprattutto di Ronaldo e Dybala, ma che sabato sera è stata di Frabotta e Portanova, senza squilli di Chiesa e Kulusevski. D’altronde l’ “esperienza è il nome che ciascuno dà ai propri errori” è certamente il mantra ripetuto da Andrea Agnelli ai suoi recitando Oscar Wilde dopo aver dato il benservito a Sarri ed aver chiamato, direttamente dall’Under 23, nientepopodimeno che… Andrea Pirlo. Solo che, talvolta, merito e buona fortuna non sono strettamente legati, specie quando manca esperienza e quando si pensa di risolvere un evidente problema a centrocampo vendendo Pjanic e provando a rimpiazzare con McKennie ed un Arthur ancora un po’ spaesato.

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Non s’improvvisa, dunque, questo è sicuro.

E davvero male non sarebbe se, copiando un po’ i romani, la smettessimo d’inventare e cominciassimo a ricordare.
Dando occasioni a chi se le conquista e nel tempo se le merita.

Perché a seder su una panchina possono più o meno tutti. Ma, usando massimo rispetto, allenare è un’altra cosa e non basta una tesina.

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Ad indossare una maglia e calcare un prato verde, poi, tutti più o meno son capaci, ma per certi colori ci vorrebbe almeno un bel po’ d’allenamento e qualche decina di partite di preparazione.
Perché scommettere sui giovani è indubbiamente interessante, ma fa un po’ specie vederlo fare senza costrutto o prospettiva.

Bisognerebbe – ogni tanto – prender spunto da chi ha imparato lezioni a menadito, distribuendo saggi di come si possa far correre la palla muovendosi in avanti e cercandosi a memoria. E’ l’orchestra nero-verde di De Zerbi, che in Berardi e Caputo ha trovato la sintesi migliore d’uno spartito che, per ora, intona, rapisce ed appassiona, mettendo pure in mostra tante buone individualità.

C’è poi la Roma di Fonseca, ancora troppo molle e perforata in difesa, ma assai bella da vedere là davanti. Nella contraddizione, si sa, c’è la saggezza dei popoli, ma Milan e Fiorentina alle prossime due diranno molto sul campionato che attende i giallorossi.

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Un mese di A, dunque, è già passato. E ciascuno, in qualche modo, il suo l’ha avuto.

Adesso, Covid permettendo, arriva il meglio. Non potendo, per ora, guardarlo dallo stadio, il divano è già prenotato.

Con l’augurio sempre uguale: perché giocare senza tifosi è come ballare senza musica e… non sarà mai lo stesso.

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