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CORNER CAFE’ – Cuori spezzati

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Le immagini del bambino catalano seduto sul marciapiede, fuori al centro sportivo del Barcellona, hanno lasciato il magone un po’ a tutti. Persino la mascherina indosso, intonata ai colori della prima divisa della squadra. Sul retro, un numero ed un cognome: dieci; Messi. Eppure il suo campione non s’è presentato, preso com’è dalla guerra contro la società portata avanti insieme a stampa e compagni di squadra – persino ex, se si pensa a Puyol. Potrebbe dirsi che anche questo è calcio, nella sua accezione lata: quella strettamente legata al business. Il proprio, ovviamente. Retroscena, parole dette e taciute, scelte fatte e criticate, dissapori nati ed esacerbati. Poli opposti che non cooperano, e che in verità hanno smesso di parlarsi da un bel po’.

E mentre il Barcellona prova a tenere alta la propria reputazione, la Liga a preservare un “tesoro nazionale” con comunicati e muri legali, mentre Leo Messi riceve offerte e pensa alla prossima meta si perde quella che è l’essenza del calcio stesso. Passione, amore, attaccamento. Chiariamoci: cambia il mondo, cambia anche il calcio. Parlare di “bandiere” oggi avrebbe poco senso. I fotogrammi, però, catturano attimi. Attimi impercettibili nelle veloci dinamiche del tempo e dello spazio. Icone di una realtà, di un momento storico, per quanto frivolo possa essere. Il ragazzino catalano, senza nemmeno saperlo, nella storia ci è entrato. Ha aspettato, ha sperato che nell’auto ci fosse Leo per poi ricredersi vedendo Sergio Busquets. Si è seduto, ha pianto. Un numero ed un nome: Leo Messi, dieci. Perché un cuore spezzato fa più rumore di qualsiasi prima pagina.

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