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ÇA VA SANS DIRE – Aceleramos Juntos

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Pensi di avere un limite, provi a toccarlo. Accade qualcosa.

 Riesci a correre un po’ più forte,

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grazie al potere della tua mente, alla tua determinazione, al tuo istinto, all’esperienza.

Puoi volare molto in alto. A. S.

 

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Primo Fin de Semaine di giugno, 1984.

Le scale di Saint Devote, delicatamente incastonate tra le rocce dei Gaumates, riflettono al sole l’elegante candore. Fuori da Port de la Condamine il golfo scintilla, increspandosi sulla murata d’un catamarano che dondolandosi prende il largo. La brezza accompagna granelli di sabbia fina sui capelli di una diciottenne in bikini pastello: al Larvotto l’acqua di mare puoi berla.

A giugno, Montecarlo t’incanta. C’è il Gran Premio, il fior fiore di Francia è arrivato venerdì ad ammirare Monsieur Le Professeur, Alain Prost. Ha trovato il bel tempo, almeno fino alla domenica mattina.

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Il 3 giugno 1984 la brezza del giorno prima s’è fatta burrasca, quasi vengon giù le palme. Una coltre plumbea copre il cielo a perdita d’occhio, una cascata d’acqua sommerge le stradine del Principato. Non c’è una condizione di sicurezza che sia una perchè si svolga una corsa automobilistica, ma parbleu: Prost è in pole su McLaren, si corra!

La griglia di partenza è la quintessenza della nobiltà su quattro ruote: Mansell, Arnoux,  Lauda, Piquet. Nessuno lo ammette, ma tutti guardano il cielo: dovrà pur esserci uno spiraglio d’azzurro, il Tunnel è ormai allagato. La tempesta non concede scampo: quarantacinque minuti di ritardo, semaforo verde.

Nessuno lo immagina: quel GP di Montecarlo è la genesi di una leggenda.

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In condizioni proibitive per qualsiasi altro essere umano, tra colonne d’acqua sollevate dalle ruote posteriori, zigzagando fra gli altisonanti piloti che uno via l’altro vanno a sbattere, un ragazzino col casco giallo, all’esordio monegasco, sta letteralmente danzando tra i flutti.

Alla guida di una per niente competitiva Toleman-Hart, Ayrton Senna da Silva, nonni italiani e cuore senza macchia, come l’occhio del ciclone si nutre della tempesta e viene sospinto dalla pioggia. Partito in coda al gruppo, sconosciuto al grande pubblico, irradierà con la sua classe tutta la luce negata dalle nuvole. È l’epifania del Brasiliano più veloce del mondo: sfrontato, incosciente, o forse solo un fuoriclasse.

Nel pandemonio d’acqua, scatta in testa Mansell che va a muro prima a Beau Rivage e poi al Mirabeau, Lauda si gira al Casino, lo stesso Prost colpisce un Commissario di Gara. E Senna risale, risale: infila Rosberg in uscita dal Tunnel, supera Arnoux con una staccata senza senso, mortifica Lauda a Santa Devota. Una sinfonia. Davanti a lui rimane solo il Professore, adesso Prost ha paura. La strepitosa MP4-2 non lo salverà dal furore del ragazzino. Il vantaggio su Senna, pari a circa mezzo minuto nel corso del sedicesimo giro, al ventinovesimo s’è ridotto ad una manciata di secondi.

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La pioggia non smette. Prost si sbraccia dall’abitacolo della sua McLaren, invoca i Commissari: non si può continuare a correre. Senna non ci pensa nemmeno: ogni giro più veloce, sprezzante della cascata che picchia sulla visiera.

Trentunesimo giro: col vantaggio del Francese sotto i due secondi, improvvisa appare la bandiera rossa, seguita da quella a scacchi. I Giudici interrompono la gara: troppo rischioso, basta così, ha vinto Prost. È ovviamente l’unico modo per evitare che il re caschi dal trono, ma il vincitore riceve il premio ad occhi bassi. Senna si sdegna, ma è ormai destino: non puoi fermare il vento.

Il mondo s’accorge di Ayrton Senna, della cui carriera spero sappiate già tutto. Non è stato il più vincente: probabilmente il più spettacolare, senza dubbio il più amato. Poeta delicato ed in uno guerriero indomito, ha donato il sorriso ad un popolo che senza non può vivere.

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Il suo cuore coraggioso ha smesso di battere quand’era ancora al volante, contro uno scriteriato muretto che pochi anni prima, ad Imola, proprio Ayrton s’era permesso di denunciare. Il suo sacrificio ha riscritto le regole di sicurezza del meraviglioso, folle circo ch’è la Formula 1. Era il primo maggio 1994, e chiunque lo abbia amato ricorda esattamente cosa stesse facendo quando, funesta, giunse notizia che Ayrton Senna era clinicamente morto.

Una pioggia di lacrime venne giù dagli occhi di tutto il Brasile, e non solo. Copiosa quanto a Montecarlo, dieci anni prima. Se guardi i Brasiliani, li vedrai sorridere con quegli occhi nei quali, fatalmente, scorgi un velo di malinconia, ed al contrasto non puoi resistere. Quel giorno, capirono d’essere un po’ più soli: il Campione li aveva lasciati. Li aveva lasciati senza vincere il quarto titolo iridato.

Non li aveva lasciati la sua anima.

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Ventiquattro anni senza sollevare la Coppa del Mondo: a quelle latitudini è un’era geologica.

Due mesi e mezzo dopo la tragedia della Curva del Tamburello, la Nazionale di calcio VerdeOro – tre volte Campione del Mondo – nella caldera di Pasadena  gioca la finale dei Mondiali. Ci sono Dunga, Romario, Bebeto, Taffarel, Cafu e un giovanissimo Ronaldo con la 19, in panchina. Ma, una volta tanto, la vera stella gioca per gli avversari: ha la Numero Dieci, porta il Codino e con le sue magie ha eluso Sacchi e trascinato l’Italia fino all’ultimo atto.

La finale non è bella, e per la prima volta nella storia verrà assegnata ai rigori. Quello decisivo, per gli Azzurri, lo tira Roberto Baggio – e chi sennò?

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Non avevo mai calciato un rigore sopra la traversa.

Penso che quel giorno sia stato Ayrton Senna che, dal cielo, ha spinto il pallone verso l’alto.

E’ stato lui a far vincere il Brasile.

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Il Quarto Titolo Mondiale, che la sorte aveva strappato ad Ayrton in Italia, viene restituito al Popolo Brasiliano attraverso il calcio, proprio contro di noi.

Quella notte, negli occhi dei Brasiliani avresti scorso comunque il velo di tristezza, e però li avresti visti tutti sorridere. Sorridere e piangere, al tempo stesso.

L’anima di Ayrton era finalmente volata via, in cielo, portando con sé il rigore decisivo.

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