Approfondimenti
Caro Ringhio ti scrivo

Luciano Spalletti non era il problema, Gennaro “Ringhio” Gattuso non è la soluzione.
Il calcio italiano è di nuovo in crisi. O meglio non ne è mai uscito. Nel 2017, all’indomani dello spareggio mondiale perso dall’Italia di Ventura contro la Svezia, avevamo parlato di anno zero. Ma ci eravamo sbagliati perché il fondo non era ancora stato toccato. Il peggio arrivò cinque anni dopo, nel 2022, quando a fallire il secondo Mondiale consecutivo fu l’Italia di Mancini per mano della Macedonia.
E ora un nuovo choc: il balletto imbarazzante dell’esonero di Spalletti annunciato dallo stesso CT prima della partita con la Moldova.
La Federcalcio non è solita licenziare un CT della nazionale a competizione in corso, ma caso mai in seguito al mancato raggiungimento di un determinato obiettivo. Questa volta si è deciso di seguire una procedura insolita, dato che l’Italia non è ancora fuori dal mondiale del 2026.
Spalletti ha sicuramente commesso degli errori, ha avuto rapporti conflittuali con qualche giocatore, non è riuscito a trasmettere alla nazionale la sua idea di calcio. Ma ha anche avuto tra le mani una generazione di calciatori davvero modesta, forse la più modesta della storia. Si sapeva che non lavorando tutti i giorni con la squadra, come avviene solitamente in un club, è molto più difficile incidere sul gioco e migliorare i giocatori. Era accaduto anche ad Arrigo Sacchi, probabilmente il più grande innovatore del calcio italiano.
Una volta deciso di esonerare Spalletti, è stato sbagliato e umiliante mandarlo in panchina contro la Moldova, soprattutto senza avere tra le mani il nome del sostituto.
E qui entra in scena il balletto, quello sì ridicolo, del casting per il nuovo CT.
Buffon avrebbe bocciato il ritorno di Mancini, che aveva lasciato l’Italia a Ferragosto 2023 sbattendo la porta per rispondere alla ricca chiamata dell’Arabia, notoriamente all’avanguardia del calcio planetario.
Poi la Federcalcio ha incassato il rifiuto di Claudio Ranieri, troppo impegnato con la Roma per poter gestire un doppio incarico in palese conflitto d’interessi in un mondo pieno di veleni come il calcio italiano. Troppo intelligente e troppo corretto il tecnico di San Saba per poter far finta di niente. Immaginate cosa sarebbe successo se il CT, pochi giorni di prima di una partita di cartello per la Roma, avesse deciso di risparmiare qualche giocatore giallorosso lasciando in campo per 90 minuti i futuri avversari della domenica successiva.
Alla fine la scelta è caduta di Gennaro Gattuso, campione del mondo nel 2006 in Germania proprio con Buffon, attuale uomo chiave della Nazionale. Scelta giusta se si pensa che Gattuso ha sempre dato tutto per la maglia azzurra. Scelta discutibile se si guarda alla carriera del nuovo CT, non esattamente ricca di trionfi. Ma tant’è, questo passava il convento, considerato che i due tecnici più indicati per il ruolo, Allegri e Ancelotti, erano già impegnati.
Che Nazionale si troverà quindi a gestire Gattuso? Una Nazionale poverissima di talenti, cioè la stessa che ha avuto tra le mani Spalletti.
E qui arriva il domandone: come mai il calcio italiano è ridotto così?
I motivi sono sempre gli stessi. La nostra serie A è invasa dagli stranieri, quasi il 70% dei giocatori arrivano dall’estero, così come i settori giovanili.
Le scuole calcio sono gestite con criteri commerciali e non tecnici, avendo come obiettivo principale quello di incassare più soldi possibili.
I nostri ragazzi vengono rimbambiti sin dalla tenera età da nozioni di tattica, anziché insegnare loro la tecnica individuale, che è alla base di tutto. Se non sai stoppare un pallone e fare un passaggio, con la tattica ci puoi fare ben poco, perché il pallone lo avranno sempre gli avversari.
La serie A è ormai un campionato di retroguardia in cui scambiamo giocatori normali per campioni o fuoriclasse. Poi, non appena mettono il naso in Europa, rimediamo delle figure imbarazzanti, tipo il 5 a 0 subito dall’Inter in finale di Champions League.
Da noi i giovani sono quasi un fastidio, vengono fatti “maturare” in campionati minori, non si dà loro la possibilità di fare esperienze e di commettere errori. In Italia anche un fenomeno come Yamal troverebbe probabilmente difficoltà a emergere. Del resto il sistema di reclutamento è non sempre cristallino, come sta emergendo da alcune inchieste giornalistiche. I procuratori fanno il bello e il cattivo tempo con la complicità di direttori sportivi e allenatori.
Oggi la serie A è diventata il cimitero degli elefanti: il Milan ingaggia Modric, 40 anni, la Fiorentina fa tornare in Italia Dzeko, 39 anni, la Lazio rinnova il contratto al trentottenne Pedro e via farneticando. I migliori invece, appena possono scappano all’estero. Non solo per una questione di soldi ma soprattutto di competitività.
La Lega di serie A è formata da dirigenti che vedono la Nazionale come fumo negli occhi perché si gioca troppo e spesso i calciatori, pagati dalle società, tornano dalle partite della squadra azzurra stanchi nella migliore delle ipotesi, infortunati nella peggiore.
Quindi la Nazionale è solo un disturbo di cui farebbero volentieri a meno.
E guai a parlare di riduzione del format della serie A da 20 a 18 squadre, che vorrebbe dire giocare quattro giornate in meno e magari effettuare qualche raduno della Nazionale. È un’idea troppo intelligente perché questa Lega la faccia propria.
Il nostro calcio andrebbe rifondato dalle radici, ricominciando da zero, che è più o meno il livello in cui si trova oggi. Invece di uscirsene, come ha fatto la Lega di A, con idee ridicole come quella di far disputare qualche partita del nostro campionato, tipo Milan-Como, a Perth, dietro l’angolo, in Australia. Un posto che si raggiunge facilmente con un solo giorno di viaggio e dal quale si torna facilmente con un altro giorno di aereo.
Nel frattempo i nostri stadi continuano a essere i peggiori tra i paesi calcisticamente evoluti, ma cosa volete che sia?
Ecco in quali mani è il calcio italiano. Speranze di uscire fuori da questa spirale di follia? Poche.
In realtà qualcuno di provò. Nel 2010, dopo la disfatta della Nazionale italiana al Mondiale in Sudafrica, Roberto Baggio, uno dei più grandi talenti del calcio mondiale, fu chiamato a ricoprire il ruolo di presidente del Settore Tecnico della Federcalcio. Nominato il 4 agosto 2010 su proposta del presidente FIGC Giancarlo Abete e con il consenso di Renzo Ulivieri, presidente dell’AIAC, Baggio presentò un ambizioso progetto di riforma: un documento di 900 pagine intitolato “Nuove attività del Settore Tecnico di Coverciano”.
Il documento, completato nel dicembre 2011, rappresentava un’analisi dettagliata dei problemi del calcio italiano e proponeva soluzioni innovative. Il piano mirava a rinnovare dalle fondamenta la formazione di chi insegna calcio ai bambini e ai ragazzi, con l’obiettivo di crescere buoni calciatori ma soprattutto buone persone. Tra i punti salienti emergono:
– Riforma della formazione tecnica: Baggio proponeva di migliorare la qualità degli istruttori federali, richiedendo una laurea, un passato da calciatori professionisti e competenze educative. L’obiettivo era creare una nuova generazione di allenatori capaci di insegnare tecnica, etica e valori sportivi.
– Scouting capillare: il piano divideva l’Italia in 100 distretti calcistici, ciascuno supervisionato da tre allenatori federali, per visionare 50.000 partite all’anno e individuare talenti precocemente. Questo sistema prevedeva un’interazione quotidiana con i settori giovanili dei club.
– Database multimediale: Baggio immaginava un sistema informatizzato per catalogare esercitazioni, test e partite filmate, creando un archivio nazionale per monitorare lo sviluppo dei giovani calciatori.
– Focus sul talento: il piano enfatizzava il “rapporto con la palla” e test misti (fisici e tecnici) per valutare i giovani, evitando un approccio basato solo sulla prestanza fisica, ritenuto “avulso dal contesto di gioco”.
– Gruppo di studio permanente: ricercatori federali e stagisti universitari avrebbero collaborato con allenatori sul campo per raccogliere dati e sviluppare metodologie innovative.
– Etica e valori: il progetto poneva l’educazione morale al centro, con l’obiettivo di formare non solo atleti, ma cittadini responsabili, un aspetto sempre caro a Baggio.
Il piano fu elaborato con il contributo di 50 collaboratori, tra cui consulenti esterni, e richiese un anno di lavoro. L’obiettivo era ridare centralità alla formazione tecnica e morale dei giovani calciatori per costruire un sistema di scouting moderno e rivitalizzare i vivai.
Un piano visionario che rimase lettera morta e portò il 23 gennaio 2013 alle dimissioni di Baggio con la motivazione che non gli era stato permesso di lavorare. Il sistema aveva vinto ancora una volta.
E allora, se questa è la situazione, cosa potrà fare Gattuso?
Ai posteri l’ardua sentenza.
(Foto: Depositphotos)