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Calcio Femminile

Nadia Nadim, una fuga per la vittoria durata 24 anni

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calcio femminile
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Quella di Nadia Nadim è una di quelle storie hard boiled, se vogliamo.

A metà tra una sceneggiatura di Frank Miller e la Julia di Giancarlo Berardi. Come tante, certo.

Più unica che rara, questa. Proprio come lei. Salita in questi giorni agli onori delle cronache sportive per essere approdata alla squadra di calcio femminile del Milan, della 36enne Nadia, originaria di Herat, c’è una storia immensa da raccontare e da non dimenticare.

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Afghana, specializzata in chirurgia, ha visto il padre (un generale dell’esercito afghano) ammazzato dai talebani quando aveva 11 anni, nel 2000. Non esattamente l’età migliore per metabolizzare un trauma del genere. Da lì scappa di campo profughi in campo profughi: dal Pakistan alla Danimarca, pensando di essere arrivata in Inghilterra.

Ed è proprio in Danimarca che Nadim, cittadinanza danese in tasca, impara a giocare a calcio in una squadra. La cosa le piace, la convince, lei se la cava, trova una squadra e si trova davanti ad un nuovo bivio: gli studi universitari (Medicina) o il calcio. Nadia, in realtà, non sceglie, prova a portarli avanti entrambi o sono entrambi i sogni che scelgono lei. E il tempo le dà ragione.

Nel 2017 viene ingaggiata dal Portland, negli States, e contemporaneamente inizia la carriera universitaria.

Due anni dopo dagli Usa si trasferisce in Inghilterra prima (a Manchester, sponda City) e in Francia poi, al Paris Saint Germain.

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Qui segna, si esibisce in prestazioni da urlo, gonfia le reti e pompa a mille sui libri, fino a laurearsi e a diventare una chirurga perché vuole mettersi al servizio delle persone, in particolare tornare in Afghanistan un domani ad alleviare quante più sofferenze possibili. Più traguardi vengono prodigiosamente toccati, il classico cielo con un dito.

Poi il ritorno in America per 3 stagioni con il Racing Louisville e l’approdo al Milan. Una storia a lieto fine. Un riscatto che si realizza anni dopo la fuga sofferta da una nazione martoriata dall’eterno ritorno dei talebani. Nel campo profughi dove è stata accolta e ha messo radici per la prima volta per più tempo, dopo essere fuggita, vedere quei bambini giocare a pallone, l’ha fatta volare in alto 3.000 metri sopra il cielo e innamorare del pallone.

Da un territorio ostile e discriminante, verso sogni e libertà delle donne, ad una nuova sorprendente opportunità, iniziata da una povertà assoluta, partita da una strada assolutamente in salita, piena di avversità ed ostacoli, e lanciata verso una vittoria. Già raggiunta, e da tempo, grazie alla sua determinazione.

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