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Thuram: “All’Inter sono veramente migliorato”

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Thuram Inter
Tempo di lettura: 6 minuti

L’attaccante dell’Inter, Marcus Thuram, ha rilasciato un’intervista a DAZN.

Tra i temi trattati, si è parlato di questi primi mesi in nerazzurro.

Pensava di poter aver un impatto così con l’Inter?
“Quando sono arrivato non ho pensato all’impatto che potevo avere nella squadra, ma ho provato a inserirmi il meglio possibile, conoscere i compagni. Sapevo già l’italiano e quindi questo mi ha facilitato, venivo in una squadra che avevo giocato la finale di Champions, aveva vinto due coppe. Insomma, una squadra fortissima. Volevo veramente inserirmi con i compagni nei movimenti: con Lauti, con i centrocampisti, con i difensori. Nei dettagli, nella tattica mi sono veramente migliorato da quando sono qui”.

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Come descriverebbe il gol contro il Milan?
“Mi ricordo che era una ripartenza, Lauti manda Denzel in profondità, vado a recuperare la palla all’incrocio e vedo che Thiaw non mi attacca subito, quindi ho tempo di girarmi, lo punto, ho il tempo di tirare e gol. Mi piace sapere contro chi gioco, se è veloce, se è aggressivo”.

Quello è il primo frame che le viene in mente del derby?
“No, penso a quando entriamo sul campo, le due coreografie. Era un momento speciale. La settimana è stata normale, non penso tanto alle partite, ma a lavorare ed allenarmi. Avevo chiesto qualcosa a Mkhitaryan, che mi aveva spiegato un po’, ma non voleva dirmi troppo e mi disse: ‘Vedrai questo weekend’”.

Come nasce la sua esultanza?
“Al primo gol contro la Fiorentina è la prima cosa che mi è venuta in mente perché tutte le gare a San Siro senti un rumore incredibile dei tifosi e volevo fare una cosa in comune con loro”.

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Qual è stato il gol che si è goduto di più?
“Penso a quella contro la Roma. Per l’atmosfera? Sì, era una partita un po’ particolare. Ho preso veramente il tempo per godermi l’esultanza”.

Invece perché ha imitato l’esultanza di Dimarco? Anche Mané lo fa con i compagni.
“No, non è per Mane. Quella di Dimash l’avevo vista quando giocavo al ‘Gladbach ed era bella, mi è rimasta e, quando mi ha fatto l’assist, volevo farla con lui perché è una bella esultanza”.

Ha provato ad imitare anche quella di Lautaro, ma non gli è piaciuta.
“No, non gli è piaciuta. Dopo mi ha detto qualcosa, ma niente di particolare”.

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Ha fatto anche un’altra esultanza diversa, contro il Benfica. Perché?
“In quella settimana ho parlato con il figlio di Henry e gli dissi che se avessi segnato avrei esultato come lui. Me la fece vedere e l’ho fatta”.

Che ricordi ha della finale del Mondiale?
“È una partita spettacolare, questo è ciò che mi dice la gente da fuori, ma io non l’ho vissuta così da dentro. È la vita, le partite si vincono e si perdono, ma la cosa più importante è imparare”.

Ci ha mai ripensato a quella gara?
“Sì, ci penso spesso, ma non posso cambiare niente. Ho giocato una finale di un Mondiale, abbiamo perso, vogliamo ritornarci, speriamo… Ci penso, ma non posso cambiare niente”.

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Finale che giocò contro Lautaro. Si immaginava di essere insieme a lui oggi?
“No, no. Però ha vinto. Ne abbiamo parlato…”.

Nel suo modo di giocare da 9, quanto c’è di Benzema? Ha sempre detto di essere un suo grande amico.
“100% perché è il 9 che mi piace di più. Lui gioca da 9, ma anche da 10, sull’esterno. Gioca dappertutto e ovunque vada può portare una soluzione alla squadra, è il 9 che voglio essere”.

Qual è il consiglio più importante che le ha dato Benzema?
“Ce ne sono tanti, ma il più importante è quello di rispettare il gioco: se devi fare il passaggio va fatto, se devi tirare pure. Ogni situazione nel campo devi dare una risposta e deve essere quella giusta”.

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Quanto ha aiutato Lautaro? Quanto c’è di lei nei suoi gol?
“Non lo so perché Lautaro non penso abbia bisogno di qualcuno per fare gol”.

Lautaro è stato il primo a scriverle?
“No, il primo è stato Dimash. Mi ha detto che sarei stato il benvenuto e che mi aspettava da 2 anni”.

Perché ha scelto l’Inter?
“Era veramente un feeling che avevo dentro. 2 anni prima mi ero fatto male e dovevo andare all’Inter, questo mi ha fatto malissimo perché mi ero già immaginato di vestire quella maglia, di giocare in quello stadio. Due anni dopo mi è rimasto e volevo venire qua”.

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Che momento è stato l’infortunio?
“Era uno degli ultimi giorni di mercato, avevo parlato con l’Inter tutta la settimana, pensavo di andare lì dopo quella partita, ma il primo tempo mi feci male e fui costretto ad uscire. Così sono rimasto al ‘Gladbach”.

Si accorse subito che fosse qualcosa di grave?
“No, non subito perché ho continuato a giocare 5 minuti. Poi ho smesso perché mi faceva veramente male, ma non pensavo fosse grave grave”.

L’Inter ha provato comunque a starle vicino?
“Sì, sempre. Sono persone molto brave e rispettose, per questo due anni dopo è stata una scelta ovvio. L’anno scorso è stata la mia prima stagione da 9, Piero Ausilio mi ci aveva visto 2 anni prima, significa che mi conosce veramente bene. Mi ha aiutato questo a fare la scelta. Penso che il mio percorso e come ho giocato mi ha aiutato ad essere il 9 che sono oggi: non sono un 9 tipico che non si muove, ma mi piace muovermi, giocare con i compagni, fare gol, fare assist. Mi piacciono tante cose ed è grazie al fatto che prima ero esterno”.

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Cosa si ricorda dei 10 anni che ha vissuto in Italia?
“Tante cose. Sono andato a scuola a Parma, poi a Torino, avevo amici, giocavo nel parco, al Delle Alpi andavo a vedere papà. Era bellissimo vivere in Italia da bambino. Ho anche una foto con Chiesa, ma ero troppo piccolo, non ricordo. Poi ho un bel rapporto anche con Weah”.

Gli mostrano un’immagine del papà con la Coppa del Mondo.
“Vinse il Mondiale nel ’98, la finale fu il 12 luglio e io non avevo ancora un anno essendo nato ad agosto ’97. Ero a letto, ma per lui fu incredibile. A quell’età non sapevo chi fosse, l’ho capito a 10-11 anni, ma io non vedevo Lilian Thuram, non pensavo a quello che faceva o aveva fatto sul campo, pensavo a mio padre”.

Preferiva che diventasse un calciatore o no?
“Prima non voleva: ho fatto piscina e tutto quanto, ma non calcio. Poi, quando ha visto che amavo veramente questo sport, mi ha fatto iniziare ed ha capito che mi piaceva veramente”.

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Lei e suo fratello aveva mai pensato di fare il difensore?
“No, non mi piaceva. Volevo avere la palla tra i piedi e rendere la gente contenta, mentre i difensori lo impediscono e dico sempre che non rendono felici le persone”.

Che cosa le ha insegnato la sua famiglia?
“Che il rispetto è la chiave di tutto e tutto passa per il lavoro, senza lavoro è difficile avere successo. Questo è l’insegnamento più importante che ho avuto”.

La aiuta a studiare i difensori avversari?
“Sì, sempre dopo le gare. Guardo le partite con mio padre, è lui che fa le critiche, ma mi piace molto perché imparo velocemente”.

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È severo nelle analisi?
“Molto, molto, molto severo. Ma è meglio così perché quello che ho fatto bene lo so, mi deve dire ciò che ho fatto male. Quando faccio gol esco sorridendo dalla partita e mi dice: ‘Calmati, in macchina ti spiego due o tre cose’. Mi calma sempre”.

Ci sono ex calciatori amici di suo padre con cui si confronta?
“Sì, Henry. Tutti i giorni, forse più con lui che con papà. Sono tutti i giorni al telefono con lui perché era attaccante. Papà sa delle cose che gli attaccanti potevano fare e che gli davano fastidio, ma Henry va ancora più lontano, veramente l’ha vissuto. Può darmi dei feeling che papà non può darmi”.

Ha chiamato Fabio Cannavaro “nonno”. Come mai?
“Lui e papà hanno un gioco che, ogni volta che segno un gol, loro dicono che se fossero stati loro sul campo io non esisterei. E io li chiamo ‘nonni’ perché sono vecchi. Fabio dice sempre che non avrei fatto gol con lui e io gli rispondo: ‘Nonno calmati e rimani davanti alla tv’”.

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Ci racconta l’allenamento con il Barcellona di Messi?
“Avevo 10 anni e un giorno andai all’allenamento. Messi aveva 19-20 anni, era giovane ed avevo dimenticato le mie scarpe per allenarmi con la squadra. Dopo la seduta alcuni bambini potevano andare con loro sul campo. Messi era il più vicino alla mia misura, aveva un 40-41 di piede e io un 38. Io me le misi, giocai e dopo mi disse di prenderle e di portarle a casa. Io sapevo che Messi era un giocatore del Barcellona in quel momento, ma non sapevo quanto fosse importante. Il giorno dopo andai a calcio, do le scarpe al mio amico e gliele regalai. Io le avevo a casa”.

Si è mai pentito di questa cosa?
“Sì, tutti i giorni. Ero giovane e non sapevo”.

Ronaldo il Fenomeno che figura è stata nella sua carriera?
“L’idolo. Quando ero piccolo avevo una coperta che non volevo mai lasciare, anche quando andavo a scuola. Mia madre me la voleva levare e io piangevo. Lei mi disse di averla data a Ronaldo, ma non è vero. Non so dov’è, la sto ancora cercando”.

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(Foto: Depositphotos)

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