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NUMERO 14 – Uomo squadra

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Ancora adesso se debbo pensare al calciatore più utile ad una squadra, a quello da ingaggiare assolutamente, non penso a Pelè, a Di Stefano, a Cruijff, a Platini, a Maradona: o meglio, penso anche a loro, ma dopo avere pensato a Mazzola”. Questo l’illuminato parere di Giampiero Boniperti (giocatore e poi dirigente della Juventus) su chi sia stato il miglior uomo squadra nella storia del calcio. Non l’immenso campione brasiliano o il suo eterno rivale argentino. Nemmeno il profeta del calcio totale o il condottiero del Real Madrid più volte vincitore della Coppa dei Campioni. No, per Boniperti Valentino Mazzola era più determinante di loro nel determinare la personalità e il rendimento del team in cui giocava.

Da Venezia a Torino

Ma chi era questo formidabile atleta? Qual’era la sua storia? Valentino Mazzola nasce a Cassano d’Adda, provincia di Milano, il 26 Gennaio 1919. Tempi grami, è appena finita la Grande Guerra e le conseguenze del tremendo conflitto si avvertono in modo pesante. I Mazzola sono numerosi e poverissimi, otto persone che, per sfamarsi, possono fare affidamento solo sul saltuario lavoro di operaio edile del capofamiglia. Non c’è mai abbastanza cibo per tutti e Valentino deve dare il suo contributo al bilancio familiare già a dieci anni di età: prima garzone di fornaio e poi operaio in un linificio. Nel poco tempo libero gioca a pallone nella squadra del suo quartiere e con ottimi risultati. Talmente buoni che un suo concittadino, impressionato dalle sue doti, lo porta alla fabbrica dell’Alfa Romeo, in cui lavora come collaudatore. La ditta ha anche una squadra di calcio, militante in serie C, e uno come Mazzola può far comodo. Senza contare che far parte della squadra aziendale comporta anche un impiego come meccanico con la possibilità di imparare un mestiere e avere uno stipendio per vivere decentemente. Gioca un solo campionato con la squadra dell’Alfa poi è costretto a spostarsi a Venezia per il servizio militare. Durante la sua permanenza in laguna il marinaio Mazzola si distingue nelle sfide improvvisate tra gli equipaggi delle varie imbarcazioni. Un ufficiale, tifoso del Venezia, riesce a procurargli un provino con la squadra della città, allora militante in Serie A. Mazzola lo sostiene a piedi nudi, non vuole rovinare l’unico paio di scarpe che possiede. Viene inserito in rosa e disputa inizialmente il campionato riserve. In seguito, l’infortunio del centravanti titolare gli da la possibilità di debuttare in prima squadra. Mazzola esordisce e non esce più dalla formazione, per meriti acquisiti sul campo. L’allenatore ha l’idea di schierarlo come interno sinistro e in quella posizione da il meglio di sé. Gioca tre campionati con il Venezia con risultati strabilianti: trascina una formazione mediocre alla conquista della Coppa Italia e del terzo posto in campionato. Ormai ha attirato le attenzioni di tutte le grandi squadre ma è il Torino a spuntarla. Ferruccio Novo, il presidente granata, non bada a spese: un assegno di un milione e 250.000 lire al Venezia e Mazzola si trasferisce a Torino assieme al fidato compagno di reparto Ezio Loik.

Il Grande Torino

Al suo arrivo nella città sabauda Mazzola è già un calciatore completo, nonostante la giovane età. Ha voglia di sfondare e si impone di migliorarsi sempre, anche con sedute di allenamento supplementari e personalizzate. E’ un destro naturale ma, con la pratica, riesce a modellare anche il suo piede sinistro fino ad usare entrambi con la stessa naturalezza. Vuole essere un giocatore universale, in grado di occupare qualsiasi posizione in campo. Non è alto di statura ma la sua capacità di elevazione lo rendono anche un ottimo colpitore di testa. Le dure esperienze di vita gli hanno forgiato un carattere da leader, sa imporsi anche con compagni molto più anziani di lui. Ed è a Torino per prendere le redini della formazione granata. Si intende con uno sguardo con l’altra mezz’ala Loik e non impiega molto a diventare il fulcro del gioco della squadra. L’allenatore, riconosciuto il suo carisma, non ci pensa due volte a dargli la fascia da capitano. E’ l’investitura che gli serve per cambiare il volto della formazione e dell’intero calcio italiano. Mazzola è avanti anni luce rispetto al calciatore medio dell’epoca: tecnica individuale superiore ma sempre al servizio del collettivo, virtuosismi solo se funzionali alla causa e condizione atletica sempre al massimo. In teoria sarebbe la mezz’ala sinistra del Toro in pratica è il regista a tutto campo. Non ha un ruolo prestabilito, il suo senso tattico gli indica sempre cosa è meglio per se stesso e la squadra. Che si fida ciecamente di Capitan Valentino: non appena i granata vengono in possesso della sfera quest’ultima viene subito affidata a Mazzola. E’ sempre lui che determina i ritmi e i tempi di gioco. E’ lui che decide se allargare il gioco sugli esterni(sempre altissimi, altra cosa mai vista prima sui nostri campi) oppure partire in progressione in coppia con il gemello Loik. E, spesso, dopo aver iniziato l’azione è lui che la conclude in prima persona, di piede o di testa. Tutto questo senza mai perdere di vista gli equilibri in campo: se c’è da pressare l’avversario o rientrare in difesa Capitan Valentino è il primo a farlo. Esempio e guida per il gruppo, sempre e comunque.

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La tragedia di Superga

Con un condottiero del genere, con una mentalità del genere il Torino domina incontrastato le scene per cinque anni di fila, vincendo altrettanti campionati, con una sfilza di record battuti per contorno. Nella primavera del 1949 Valentino Mazzola è il calciatore più famoso d’Europa, al punto che i granata vengono invitati in Brasile per giocare alcuni incontri amichevoli con le più prestigiose squadre locali. La squadra, guidata dal suo capitano, manda in visibilio i tifosi carioca che non vedono l’ora di rivederli all’opera l’anno successivo, quando il paese sudamericano ospiterà i Mondiali. Mazzola, leader anche della Nazionale azzurra, avrà il compito di guidare la squadra alla vittoria della terza Coppa Rimet, dopo i due titoli del 1934 e 1938. Ma il Destino ha altri piani per lui ed i granata. La generosità di Mazzola gli è fatale: il suo grande amico Ferreira, capitano della nazionale portoghese, vuole che Mazzola giochi nella sua partita d’addio al calcio, a Lisbona. Avere come ospite il Grande Torino assicurerebbe una nutrita presenza sulle tribune e un cospicuo incasso. Il che farebbe molto comodo a Ferreira, avrebbe un discreto gruzzolo da investire per la sua nuova attività dopo il ritiro. Mazzola non si sente di negargli questo favore e si impunta con il Presidente Novo per andare in Portogallo. Non ci sarà ritorno da questo viaggio, la parabola del Grande Torino finirà con lo schianto sulla Basilica di Superga.

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