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NUMERO 14 – La favola senza lieto fine

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“Io non credo alle favole”. Quante volte avremo sentito dire questa frase? Infinite, di sicuro. Perché i tempi e i ritmi della vita odierna non lasciano spazio all’immaginazione, ci vuole un certo pragmatismo e le fiabe sono relegate a passatempo per l’infanzia. Eppure, a chi non piacerebbe fermarsi un attimo e ascoltare una storia ben raccontata? Oppure, meglio ancora, viverla in prima persona? A qualcuno, in una calda estate di più di trent’anni fa, è capitato proprio questo.

Dalla Sicilia con furore

Il nostro eroe non ha proprio nulla del classico protagonista delle fiabe: è basso, stempiato, di aspetto insignificante. A pensarci bene, però, per chi ha dimestichezza con questo tipo di narrazione, potrebbe essere il brutto anatroccolo in procinto di diventare cigno. Ed è esattamente quanto avvenuto a Salvatore Schillaci, 26enne palermitano, una vita spesa ad infilzare i portieri nelle categorie inferiori. Almeno fino ad un anno prima, quando il titolo di capocannoniere della Serie B con il Messina gli era valso la chiamata della Juventus. Primo anno in bianconero, quindici reti messe a segno e una meritata convocazione in Nazionale per il Mondiale da giocarsi in casa. Cosa potrebbe desiderare di più il parvenu siciliano, passato in breve dai polverosi campetti della terra natia alla ribalta nazionale? Forse di essere protagonista anche con la maglia azzurra? Un minimo di raziocinio suggerirebbe una certa prudenza, visto che la nutrita batteria di attaccanti convocati dal c. t. Vicini comprende il leader carismatico del gruppo azzurro (Gianluca Vialli), il suo partner prediletto anche nella Sampdoria (Roberto Mancini), colui che viene ritenuto la spalla ideale (Andrea Carnevale), un potente centravanti di sfondamento (Aldo Serena) e l’astro nascente del nostro calcio (Roberto Baggio). Di fronte ad una simile concorrenza i sogni di gloria del centravanti isolano appaiono delle illusioni. Il suo misero curriculum da ultimo arrivato, una presenza in una amichevole, non gli consentirebbe di coltivare nessuna aspirazione, specialmente in confronto alle credenziali dei suoi rivali. Ma il suo sangue siculo gli sussurra che questa è l’occasione che stava aspettando da sempre. La razionalità vada pure a farsi benedire, lui darà lo stesso il massimo in ogni allenamento. E dopo che avvenga quello che il Destino ha deciso.

Il fuoco negli occhi

L’impegno di Schillaci nelle partitelle a Coverciano non sfugge allo sguardo attento dell’allenatore. Il siciliano ha carattere e voglia. Tornerà utile, su questo non c’è dubbio. Intanto, nella partita inaugurale contro l’Austria, Vicini decide di partire con la collaudata coppia Vialli-Carnevale in attacco. Ma in panchina, come primo cambio, c’è proprio lui,  Schillaci. Pronto per qualsiasi evenienza. Gli azzurri giocano bene ma gli avversari si difendono con ordine e, a  un quarto d’ora dalla fine, il punteggio è ancora fermo sullo zero a zero. Vicini decide, quindi, di giocarsi l’ultima carta e manda in campo il centravanti della Juventus. E’ la scossa che ci si aspettava, il nostro si muove come un rapace e, dopo pochi minuti, è l’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto. Un cross di Vialli lo pesca nel cuore dell’area austriaca, prendere il tempo ai colossali difensori e mettere dentro il pallone è un attimo. Esplode sugli spalti dell’Olimpico la festa dei tifosi che celebrano, assieme al successo, la nascita di un nuovo eroe. Sguardo da invasato ed occhi che lanciano fiamme, sarà lui l’icona del nostro Mondiale.

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Una nuova coppia

Dopo l’exploit nella prima gara Schillaci torna in panchina. Per l’incontro con gli USA Vicini ha scelto di dare nuovamente fiducia agli attaccanti titolari. Ma la scelta non è felice: Vialli gioca male, sbaglia anche un rigore e Carnevale, al momento del cambio, rivolge un gestaccio polemico all’allenatore. Il suo Mondiale è finito, al suo posto, nella successiva gara con la Cecoslovacchia, c’è Schillaci. A suo fianco in attacco Roberto Baggio. Il nuovo duo azzurro si intende a meraviglia e firma le due reti del successo: il centravanti con un fulmineo colpo di testa e il fantasista con un irresistibile dribbling. Ormai si sono guadagnati sul campo il posto. Nella gara con l’Uruguay sono confermati come coppia d’attacco e il siciliano conferma il suo stato di grazia firmando la rete d’apertura con un diabolico sinistro al volo in corsa. Niente sembra più poterlo fermare, anche la partita successiva contro l’Irlanda è risolta da un suo gol di rapina. E’ il leader emotivo della squadra, è l’idolo di tutta una nazione, la vittoria finale deve necessariamente passare dai suoi piedi. Ora ci aspetta la semifinale a Napoli contro l’Argentina di Maradona. E’ un passaggio obbligato per il ritorno all’Olimpico a giocare la finale. Il c. t. è, però, lacerato dei dubbi: insistere sull’affiatata coppia Schillaci-Baggio o dare spazio al redivivo Vialli?

Fine del sogno

Alla fine prevale la politica del compromesso: Schillaci è regolarmente in campo ma gli è stato affiancato Vialli, con Baggio in panchina. Maradona, dal canto suo, non si fa scrupolo di usare qualsiasi mezzo per mettere in difficoltà gli avversari, anche prima di mettere piede in campo. Il polemico argentino provoca astutamente, insinuando il dubbio che gli italiani si ricordino dei napoletani solo in determinate occasioni per poi ignorarli per il resto dell’anno. I media danno risalto alle parole del campione sudamericano, l’opinione pubblica è divisa, i tifosi preferiscono mantenere il riserbo. Certo è che lo stadio San Paolo non è la bolgia traboccante amore per gli azzurri dell’Olimpico. C’è una atmosfera strana sugli spalti, quasi da tregua. L’astuto campione è riuscito nel suo intento, ora la pressione è tutta sulle spalle degli avversari. C’è più che mai bisogno dei guizzi del siciliano per venirne fuori. Lui non tradisce le attese: zampata svelta ad infilare il portiere avversario e squadra in vantaggio. Ora sembra tutto molto più facile: gestire la situazione e portare a casa il risultato sembra una impresa largamente alla portata. Ma l’orgoglio argentino porta a un clamoroso pareggio siglato da un beffardo colpo di testa di Caniggia. 1 a 1 e tutto di rifare per gli azzurri. Il punteggio resta immutato al novantesimo e anche dopo i supplementari. Tocca andare ai rigori, ma mezza squadra è afflitta dai crampi. Anche l’orgoglioso Schillaci non è in perfette condizioni e deve rinunciare a battere dal dischetto. Alla fine la lotteria degli undici metri premia gli argentini e infrange il sogno degli azzurri. L’inutile finale per il terzo posto contro L’Inghilterra serve solo per siglare il sesto gol del suo Mondiale e fregiarsi del titolo di capocannoniere della manifestazione. Magra consolazione, dal momento che l’Italia intera chiedeva al suo nuovo condottiero di condurla al titolo di campioni del Mondo. E la fine del Mondiale è anche la fine della splendida fiaba del piccolo attaccante siciliano. Non riuscirà mai più a ripetersi su quei livelli, nel giro di due anni sarà ripudiato prima dalla Nazionale e poi perfino dalla sua Juventus, che gli preferirà Vialli, proprio l’attaccante a cui aveva tolto il posto in azzurro. Non gli resta che esplorare nuove frontiere, luoghi dove la sua fama è ancora intatta. La fine ingloriosa della sua parabola sarà l’esilio in Giappone.

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