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LEVA CALCISTICA ’68 – EURO ’80: Arcobaleno di Belgrado

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Arcobaleno sull’erba di Belgrado.

Questo era stato capace di dipingere quell’omaccione con baffoni spioventi e volto tagliato nella pietra. Si chiamava Antonin Panenka, ma procediamo con ordine.

L’Europeo proseguiva con l’incontro del 14 di giugno all’Olimpico di Roma. Grecia contro Cecoslovacchia. Una gara che certo non solleticava molto le curiosità, fatta eccezione per la presenza in campo di Toni Panenka, talentuoso boemo, perno principale del team dell’est Europa. La sorpresa fu nel fatto che le due squadre diedero vita ad una gara giocata a viso aperto. L’omone baffuto tenne fede alla sua fama ed aprì le danze con un bellissimo calcio di punizione tagliato.

Gli ellenici reagirono d’orgoglio e riuscirono a pareggiare con un colpo di testa di Anastopoulos, che sfiorò altre due volte, in seguito, il gol del vantaggio. Ma i greci, che già avevano evidenziato pecche difensive nella gara d’esordio a Napoli, non riuscirono a tenere botta al ritorno degli slavi, che, in qualità di Campioni in carica, non volevano ripetere un passo falso. Nuovo vantaggio Ceco con Vizek e gara che resta incerta fino a mezz’ora dalla fine quando Nehoda, astuto ed ottimo attaccante, siglò il tre a uno finale per la Cecoslovacchia. I Campioni si sarebbero giocate le residue speranze di arrivare in fondo contro l’Olanda.

Già, i Campioni.

1976

In piena guerra fredda un paese della Cortina di Ferro si presenta agli Europei di Belgrado come squadra sacrificale, soprattutto se si pensa alla presenza nella competizione delle due finaliste Mondiali di due anni prima, Germania Ovest e Olanda, e delle loro Leggende, Beckenbauer e Cruijff. I paesi del blocco sovietico non erano certo generosi di informazioni, quindi l’Occidente nulla conosceva del genio tattico di Vezek, dei polmoni di Pollack, della rapidità di Vesely e, soprattutto, nessuno conosceva la follia di Antonin Panenka.

La finale di quell’europeo contro i campioni del mondo della Germania Ovest termina in pareggio. Le due squadre, precedentemente, si erano accordate che in quel caso si sarebbero giocate il titolo ai calci di rigore anziché ripetere il match.

Antonino si era allenato due anni almeno per fare quello che aveva intenzione di fare e, nonostante i tentativi di dissuaderlo di alcuni compagni, lo fece.

Posizionò la sfera sul dischetto e si allontanò indietreggiando di molto, troppo. Forse quei metri in più gli servirono per assorbire la piena convinzione che si’, forse quella era l’unica e ultima occasione per passare all’incasso di un talento nascosto da assurde beghe politiche.

Sepp Maier, portiere e Totem tedesco aveva già battezzato il lato, ma mai avrebbe immaginato.

Antonino prese una lunghissima e velocissima rincorsa.

Impatto piede sfera.

Arcobaleno sull’erba di Belgrado.

Traiettoria arcuata al centro della porta.

Maier a terra.

Così nacque il “cucchiaio”.

Francesco Totti sarebbe nato qualche mese più tardi.

“Solo un Genio, o un Folle, avrebbe tirato un rigore così!”. 

Pelé

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