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Un leader muore, un campione è nato

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Brasile, agosto 1914.

Torino e Pro Vercelli sbarcano in terra sudamericana. Il calcio ai Tropici è poca cosa ancora, ma la Liga Paulista fa carte false per attirare a sé le due esponenti di maggior spicco del pallone italiano. Giocano più per diletto, che per professionismo; alle selezioni si alternano visite, gite in barca, cene con i maggiori esponenti della borghesia del posto. Una tournee, quella, che prima ancora di cominciare aveva già ricevuto la notizia di Sarajevo. Era appena scoppiata la Guerra. Ma questo gli innumerevoli immigrati italiani, anelamente assiepati sulle rive di sbarco, non lo sapevano ancora. San Paolo, Rio, poi diritti in Argentina, Buenos Aires. La miccia, però, aveva preso fuoco.

Ibidem, 1893. 

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Nasce “Fanfulla”, “o jornal dos italianos”, per dar voce agli interessi nazionali degli immigrati. Ventun’ anni dopo, pubblica in prima pagina la lettera del sedicenne Vincenzo Ragognetti. Caro direttore della Fanfulla – si legge – I calciatori italiani che giocano bene sono a San Paolo. La richiesta è una, ed è semplice: far nascere una società calcistica in terra brasiliana. Calcistica, si ponga attenzione: altre società erano già presenti sul territorio, ma si occupano di paddle, di filodrammatica, di propaganda patriottica. Ma di calcio? No, il calcio non interessava. Non ancora, perlomeno.

Luigi Cervo, Luigi Marzo, Ezechiele Simone, Vincenzo Ragognetti: quattro esponenti, più altri 42 interessati, si radunano il 26 agosto 1914 a Rua do Riachuelo. Si fa tutto in una notte. Nasce, alla fine, “Palestra Italia”. Cervo promette di fare tutto il possibile per far sì che la squadra arrivi a primeggiare tra le sorelle calcistiche. Alla società si interessa addirittura il consolato italiano: occasione imperdibile per far proliferare la voce di una rappresentanza nazionale unita e compatta, con un proprio inno e dei colori propri.

1942. 

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Il Brasile si schiera con gli Alleati. Per Palestra Italia, involontaria – se può esser detto – sostenitrice di interessi filo-patriottici, vive giorni duri: il Bel Paese è dall’altro lato della barricata, con l’Asse. Le pressioni dello Stato cominciano a farsi sentire. Il presidente Vargas bandisce i nomi che ricordavano i nemici: Palestra Italia cambia in Palestra. Non basta. Il rischio è quello di perdere ogni bene societario, e l’espulsione da ogni campionato brasiliano di calcio. Palestra diventa Palmeiras. 

Ci fu chi non si arrese: il São Paulo. Rivendicava i beni di quella che non era più Palestra Italia, quei beni che erano stati oggetto di continue pressioni governative, quei beni che con le unghie e con i denti erano riusciti a approcciando ogni avversità che, col pallone, aveva poco a che fare. Ma la coincidenza è il modo di Dio per restare anonimo. Il venti di settembre si gioca la finale del Campionato Paulista. Proprio Palmeiras contro São Paulo. Finisce 3-1 per i verdão. Gli avversari ritirano la squadra dal campo. Quella cavalcata fu ribattezzata “Arrancada Heroica”. Il giorno dopo, sui quotidiani nazionali, spuntò un titolo tanto chiaro quanto incontestabile, persino dal governo centrale di Vargas: “un Leader muore, un campione è nato”.

Brasile, 30 gennaio 2021. 

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Nella notte italiana si consuma la finale di Libertadores. Il calcio, ottant’anni dopo, è un’altra storia. Il Brasile ha visto Pelè, ha vissuto i pentacampeones; il calcio lì va contro ogni logica, relegato in un angolo del puro divertimento. Ma la Libertadores, dicevamo. Breno segna al 99′, dopo nove minuti di recupero. Cose da pazzi. Il Palmeiras vince uno a zero contro il Santos. E’ campione del Sudamerica. In campo c’è anche Luiz Adriano, passato per Milano, esponente – insieme a Gustavo Gomez, sempre in rossonero – di un legame ormai sconosciuto ai più ma che non cessa di esistere. Un Leader muore, un campione è nato. C’è anche un po’ di tricolore, oggi, nella Libertadores.

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(Foto: Palmeiras Twitter)

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