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ÇA VA SANS DIRE – Sos battor moros

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Giace nel Mare dei Rūm l’isola dei miracoli: i boschi rincorrono le saline, prosperano corallo rosso e murici della porpora, vene d’argento solcano il ventre nascosto. Ha la forma dell’orma d’un piede che i Greci direbbero Ichnos, e pertanto è Ichnusa.

Mujāhid al Āmirī, di stanza ad Al Andalus, manda per mare la milizia a conquistarla. Alla vista dei Mori, gli autoctoni riempiono vasi d’oro e d’argento: li lasciano sul porto e celano il tesoro nel soppalco della Chiesa Madre. Di quelli uno scende a lavarsi ed inciampa in un vassoio d’argento, poi tutti arraffano quanto più possono. Di quelli un altro varca la soglia della Cattedrale e, vista una colomba, le tira con l’arco. La manca, tuttavia trafigge il soffitto: un’asse cede ed è una pioggia di monete d’oro. Portano via tutto. Alcuni sventrano un gatto e lo riempiono di pietre preziose; altri dilaniano uomini, altri ancora stuprano donne. Quelli che riprendono il mare odono una voce: Annegali, o sommo Iddio! Annegano tutti fino all’ultimo, affogando per le cinture piene d’oro. Quelli che restano si stanziano a Cagliari ed impongono la Gizyah.

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Il Popolo d’Ichnusa ripiega nell’entroterra, si compatta, combatte. Affronta il Saraceno in battaglia, l’Isola è l’arena. E quando appare San Giorgio nelle vesti d’un cavaliere circonfuso di luce e crociato sul petto, il destino dei Barbareschi è segnato. Quattro dei più feroci capi vengono legati e bendati, affinché non schivino il linciaggio. Poi vengono decapitati, affinché al corpo smembrato fosse negato il Paradiso di Allah. Le teste mozzate dei quattro mori vengono esposte al Popolo ed impresse sul drappo con la croce di San Giorgio, simbolo eterno d’una gente che mai, mai più avrebbe tollerato la tirannìa d’un principe straniero.

I Danzatori delle Stelle, gli antichi S’Ard, hanno ciclicamente scacciato il nemico attraversando i secoli tra riti piromantici, miti nuragici, contaminazioni romane prima, cristiane poi.

I discendenti dei S’Ard hanno conservato l’indole e le effigi degli antenati: lo stemma coi quattro mori, fatalmente, finisce sulle divise di una squadra di calcio.

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I Padri Fondatori Inglesi spargono il prezioso seme del pallone pure in Sardegna. Si narra di una partita a Calangianus, alla fine del XIX secolo, tra operai e tecnici inglesi impegnati nella realizzazione della linea ferroviaria. La curiosità evolve in passione e Cagliari, col suo porto battuto da vascelli albionici, diventa la capitale isolana del football. Qualche partita di quartiere dapprima, via via i sodalizi ed infine i tempi sono maturi: è il 30 maggio 1920 quando Gaetano Fichera, medico catanese ammaliato dall’Isola, fonda il Cagliari Football Club.

È l’incipit di un romanzo in cui la gloria del palmares sfuma nella leggenda dei personaggi che l’hanno popolato.

Il Cagliari Calcio è, considerate le doverose eccezioni, la Nazionale dell’Isola d’Ichnusa. Lo scudetto del 1970 è la volta celeste che ne avvolge la storia e Gigi Riva la Stella Polare, ma le costellazioni che lo punteggiano scandiscono il racconto variopinto di un secolo di Sardegna. Un racconto in cui il risultato del campo è attore senz’altro e protagonista giammai.

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Il bene e il male s’inseguono, la gioia e il dolore s’alternano: vittorie indimenticabili, rovinose sconfitte. Il fulcro attorno al quale la storia si dipana e torna, circolare, è la gente di Cagliari, discendenti dei S’Ard, danzatori delle stelle che sulla Terra passano leggeri. Sventolano i quattro mori e custodiscono la costa affinché mai più sbarchi la tirannìa d’un principe straniero.

Era scritto, tuttavia, che un giorno un Principe sarebbe arrivato. Da un altro mare, da un altro mondo. Un Principe gentile, la cui classe abbaglierà le Genti di Sardegna.

A Parigi non s’è mai ambientato, El Principe. Poca gente allo stadio, poca fame di calcio: se la sconfitta non piega le gambe, non vale la pena. Meglio a Marsiglia, dove tra gli altri incanterà il piccolo Zinedine che, da grande, chiamerà il figlio Enzo in suo onore. Caspita. I Mondiali del ’90 vanno maluccio, ma decide di restare in Italia. Lo tentano le big, improbabile un suo passaggio ad una neopromossa. Eh, ma lui è il Principe degli Improbabili.

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Discontinuo, leggerino, poco socievole, egoista: Enzo Francescoli. In Sardegna, dove si va leggeri sulla Terra, si sarebbe esaltato. A modo suo, ovviamente.

Di sudamericano aveva poco, se non lo spirito rivoluzionario. Genio malinconico e campione cerebrale, ha dominato la scena col carisma dei suoi silenzi.

Lo vedevi relegato sulla fascia sinistra apatico, in attesa che il pallone rotolasse da quelle parti, ed a volte accadeva. Oh, se accedeva. Gli si incollava al piede, e cominciava il tango. Sinuosamente svogliato, ti dribblava col pensiero ed inventava tracce di calcio. Calciava la palla con morbida veemenza, guidandone la traiettoria cogli occhi. Le sue punizioni, melodia del movimento, precedevano di qualche attimo il tributo dell’inchino dei portieri avversari. Gli occhi dei Cagliaritani deliziati per tre anni.

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Così così, la prima stagione: aveva una tibia incrinata, ma non aveva interesse che si sapesse, anzi. Se desidera, Mister, mi faccio da parte. La voce veniva fuori lieve, discreta come il suo passo in mezzo al campo.

Poi la consacrazione, inevitabile. Maestro di autocontrollo, accomodante ed al tempo stesso intransigente, faceva la differenza coi tempi di gioco, decisivo in qualunque parte del campo decidesse di passeggiare. S’accendeva all’improvviso, mostrando la fisicità che non t’aspetti. Addomesticava la palla da consumato domatore di leoni, spiccava dove volano le aquile ed anziché inzuccarla la stoppava sensuale col petto, lasciandola scivolare come una languida amante giù per il tronco, fino alle cosce: il paso doble, la carezza d’interno, la gente in visibilio.

Ha indossato la maglia del Cagliari a pelle, anche d’inverno, per sentirsi addosso il Rosso, il Blù ed i quattro mori. Per tre anni ha camminato sulla terra leggero, come si conviene ai figli dei S’Ard. Con lui il Cagliari s’è qualificato in UEFA: risultato straordinario eppure un dettaglio, al cospetto di cotanta, delicata grandezza.

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Se il Rombo di Tuono continuerà imperituro ad assordare i Cagliaritani, pugno chiuso dritto  al mento di millenari patimenti, i silenzi di Enzo Francescoli sono la rappresentazione plastica del palmo che si apre, t’accarezza l’anima, ti concilia coll’Universo.

La Storia del Cagliari, del resto, è la Storia dei S’Ard.

Non racconta un secolo di vittorie, ma una Danza tra le Stelle.

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