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CORNER CAFE’ – Il sistema della Premier, il parallelismo al contrario con la Serie A

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Non sbagliava Rocco Commisso, quando diceva di voler arrivare ad un sistema, per la A, simile a quello della Premier League. E, stavolta, non si tratta solo di questioni economiche o di lustro calcistico. Si parla di tanto altro: di bontà d’animo, di comprensione della criticità, di gestione del proprio potenziale. Andando avanti senza lasciare indietro nessuno.

Perché, se da un lato è stato editorialmente necessario considerare il clima di terrore instaurato da Boris Johnson  – rinsavito, God’s sake, dall’altro è doveroso annotare come la massima lega calcistica inglese non si sia fatta prendere dall’allarmismo o dall’eccessiva burocratizzazione della faccenda – quanto dolore che, invece, provoca noi, ma ha deciso di farsi carico di decisioni forti, forse non condivise da tutti ma, diamine, di certo più corrette.

Perché, al momento, la Premier League non riprenderà. No, si è deciso di no: troppo importante la salute dei cittadini, meno necessario, invece, il calcio. Un calcio che non avrebbe spettatori, un calcio vuoto senza supporters; che, forse, non farà piacere alla capolista Liverpool, ma che è un “male necessario” per questioni che vengono prima.

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Perché la Premier ha deciso di tagliare il 30% degli stipendi. Cifre misere che però faranno contenti tutti: le società, che – se bisognose – potranno far fronte alla mancanza di attività; i calciatori, che non si sono visti derubare del proprio stipendio: sono pochi spiccioli, per i milioni guadagnati. Ogni club potrà contrattare con i propri giocatori, certo, ma il meccanismo è partito, è impossibile fermare la ruota.

Perché, con quei soldi, la Premier darà una mano alla sanità e alle leghe minori. Beneficenze, donazioni, gestioni delle criticità dalla English Football League alla National League: le società dalla seconda alla quinta divisione potranno usufruire di un tesoretto di 125 milioni di sterline messe a disposizione dalla Premier League. Un budget che permetterà ad aziende in crisi di pagare stipendi, a uomini di poter continuare a mantenere le proprie famiglie, alla piramide di non crollare. 

Tanto vicini, eppure tanto lontani: i parallelismi si sprecano. Di contro, non riesco a credere come l’Italia non abbia ancora preso una decisione, nemmeno una minima scelta: il campionato riprende, poi non riprende, poi riprende ma a porte chiuse, poi le porte si aprono ma non entra nessuno; si tergiversa, si stipulano incontri a cui non si presenta nessuno, si parla tanto ma si fa poco; la Serie C reclama vendetta, vendetta per la propria situazione, persone che non possono nemmeno sostenere le proprie famiglie economicamente lasciati a se stessi.

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E’ triste, ed è paradossale come, se da un lato c’è chi esalta il sistema sanitario nazionale italiano, dall’altra esiste una realtà ben più complicata e spesso nascosta: è facile parlare di Lukaku, del miliardo di Ronaldo: roba di tutti i giorni. Eppure, se vien chiesto di scavare più a fondo si prende tempo, si aspetta, si monitora la situazione; in realtà si ha solo paura, paura di dover lavorare ad un problema di cui non importa, e di cui si vorrebbe semplicemente fare a meno.

Da un lato, un sistema forte, capace e a cui tutti dovrebbero aspirare; dall’altro, una gestione gobba, infiacchita e stanca, che invece avrebbe tanto da cambiare.

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