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Crisi Europea: I motivi del tonfo italiano in Champions League

Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, ma soprattutto non c’è peggior cieco di chi si fodera gli occhi di una “misera” Europa League alzata al cielo dopo 25 anni. Tifosi, addetti ai lavori e forse anche alcuni calciatori si sono illusi nel recente passato di essere tornati ai fasti di un tempo, prima di risvegliarsi dal sogno e scoprire la dura realtà.
Negli ultimi tre anni abbiamo esultato per successi di modesta importanza, illudendoci che fossero gioielli di grande valore, proprio come un orologio da 100 euro può sembrare un lusso a chi non ne ha mai visto uno. Senza renderci conto che quelli davvero pregiati valgono ben di più.
Dalla Conference alzata dalla Roma nel cielo di Tirana ad una casuale finale di Champions dell’Inter, ottenuta dopo aver clamorosamente rischiato ad Oporto agli ottavi ed avere avuto un tabellone senza big, fino alle due finali di Conference della Fiorentina e la finale di Europa League della Roma nel 2023. Casi sporadici nel buio assoluto.
Il grande vuoto lasciato dal 2010 in poi, anno dell’ultima Champions vinta, ci ha fatto rimanere assetati, il che ha significato accontentarci di una qualsiasi bevanda poco saporita pur di non boccheggiare.
L’analisi
La verità è che non siamo mai tornati. La carenza di qualità nel nostro campionato, l’incapacità di programmare e l’esasperazione di un tatticismo che ammazza qualsiasi forma di talento sono l’espressione di un paese che non vince una Champions League da 15 anni e non partecipa ad un Mondiale da 10. Tradotto: non siamo ridimensionati, ma piuttosto torniamo nella dimensione che ci compete per il livello che esprimono i nostri club giornalmente.
Alla base della debacle europea c’è la nostra spocchia che si poggia su fasti ormai lontani anni luce, mentre invece il resto d’Europa è andato avanti e ci ha superato. In termini atletici, fisici, e spesso anche tecnici. Nei nostri confini siamo soliti celebrare squadre modeste composte da calciatori modesti e il risultato è che basta un Bruges di turno, 24esimo nel girone unico, per essere strapazzati.
Il nostro calcio è da anni, o forse da sempre, schiavo del risultato. Ciò comporta squadre cortissime, costrette a dover battagliare facendo a sportellate per la conquista di un pallone conteso, perché schiavi di un tatticismo che in Europa non sanno nemmeno cosa sia. E l’eliminazione ai playoff di Atalanta, Juventus e Milan contro Bruges, PSV e Feyenoord si fonda proprio su questi presupposti.
Campionato poco allenante
Il giorno che capiremo che la Serie A costringe i nostri giocatori ad andare sotto ritmo avremo messo il primo tassello utile per la rinascita. E poco importa se ci sono tentativi rivoluzionari come quello dell’Atalanta di Gasperini, che in questi ultimi anni ha provato a dare respiro ad un certo modo di interpretare il calcio.
La verità è che non basta. Per la Dea è stato sufficiente un arbitro scarso all’andata e qualche palo al ritorno per essere umiliati in tutti gli aspetti, da quello fisico in primis, da una squadra seconda nel campionato belga a -8 dal Genk primo.
Fragili e presuntuosi. Prima ci toglieremo da dosso questa superbia che sfocia nella sufficienza e prima il vento girerà. E non sarà un’illusione come accaduto finora, ma una solida base su cui rinascere definitivamente.
Dea senza benzina
Nello specifico potremmo aprire capitoli diversi per spiegare i tonfi delle tre italiane impegnate nel playoff. L’Atalanta può avere il rimorso di non essere entrata nelle prime 8 per un punto, il che alimenta i rimpianti per non essere riuscita a conquistare la vittoria in casa contro il Celtic. A ciò va aggiunto che la squadra di Gasperini è arrivata allo spareggio nel peggior periodo possibile.
Troppa la benzina consumata nei primi 5 mesi di stagione, così come troppa è stata la considerazione che tanti di noi hanno avuto di una squadra che in realtà non è una big. Non ha il DNA europeo nonostante la vittoria dell’Europa League dello scorso anno.
Aspetto che dovrebbe far fare un bagno di umiltà a tutti noi che ci lasciamo ammaliare da qualcosa di straordinario che in realtà è tale solo perché non ordinario. La Dea è in Champions è stata sconfitta sul suo campo. Non il Gewiss ma piuttosto quello della corsa e dell’atletismo. E se a farlo sono i primi belgi che passano una riflessione va aperta.
Milan e Juve: fallimenti annunciati?
Non se l’è passata meglio il Milan che ha letteralmente regalato 90 minuti ad una squadra quinta nell’Eredivisie. Il Feyenoord, pur forte tra le mura amiche, ha costruito una parte della propria qualificazione grazie ad errori individuali e collettivi inaccettabili da parte di chi, come i calciatori rossoneri, sono stati decantati come potenziali fenomeni quando in realtà trattasi di buoni giocatori.
E se poi uno di questi compie una doppia follia al ritorno lasciando la squadra in 10 il disastro è completato. Il prodromo di tutto ciò è la clamorosa sconfitta contro la Dinamo Zagabria all’ultima partita di girone. Con una vittoria sarebbero stati ottavi e invece i croati surclassarono i rossoneri.
E se è vero che il dolce arriva in fondo stavolta si tratta di una torta amarissima andata a male. Il riferimento è infatti alla Juventus che ha abbandonato la coppa per mano di un PSV che, soprattutto al ritorno, è apparso superiore in tutto. Più corsa, più determinazione, più esperienza e soprattutto più abitudine a tenere certi ritmi.
La partita si è chiusa al 120′ ma se da un lato c’erano i bianconeri apparsi boccheggianti già al 90′, dall’altro gli olandesi sembrava potessero giocare un’altra ora.
Addio quinta squadra
Ci siamo vantati tanto lo scorso anno di essere stati primi nel ranking e di aver portato in Champions un Bologna in più. Doveva essere l’ennesima conferma della rinascita ma invece è stata, a posteriori, la conferma di come, tolta l’Inter, unica squadra ancora in corsa, le nostre squadre siano inadeguate alla coppa dalle grandi orecchie.
E allora, forse, non dovremmo nemmeno rammaricarci più di tanto per il fatto che l’anno prossima questa fatidica quinta squadra all’80% non l’avremo. Le fragorose eliminazioni recentemente avvenute aprono a riflessioni e chiudono invece al quinto posto utile per la Champions.
Sarà dunque meglio concentrarci sull’alzare il livello di quelle 4 che ci andranno, in modo da evitare che colori di maglie gloriose vengano umiliati da squadre modeste seppur organizzate.
La verità, che alcuni non vogliono accettare, è che oggi un Milan o una Juventus (9 Champions in due) non sono superiori ad Feyenoord e ad un PSV. Forse sarebbe stato meglio il derby italiano al playoff, quantomeno una l’avremmo portata avanti per forza.