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NUMERO 14 – Dedicato a Mandela

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Questo premio lo dedico a Nelson Mandela. Penso che sia un grande uomo, ha idee giuste e sta portando avanti una battaglia molto importante. Per me sarebbe un immenso onore poterlo conoscere”. L’olandese Ruud Gullit, attaccante del Milan, al momento della consegna del Pallone d’Oro 1987 come miglior giocatore europeo, sceglie di richiamare l’attenzione dei media sulla lotta contro la segregazione razziale dell’attivista sudafricano.

Uomini contro

Mandela, in quel momento, sta scontando un ergastolo nel carcere di Pollsmoor,  vicino a Città del Capo. Le sua attività politica di opposizione all’apartheid (la restrizione dei diritti civili su base razzista operata dal governo del Sudafrica) gli è costata un processo al termine del quale è stato condannato per alto tradimento. Non ha mai rinnegato le sue convinzioni, neanche quando gli hanno proposto la commutazione della pena in libertà condizionata in cambio della rinuncia alla lotta contro il razzismo. La sua estrema coerenza lo ha trasformato in un simbolo di libertà, migliaia di giovani guardano a lui come un eroe, per il giovane Gullit è sempre stato un esempio. Non è stato facile neanche per lui, figlio illegittimo di un immigrato proveniente dal Suriname (ex-colonia olandese del Sudamerica, stato indipendente solo dal 1975), integrarsi come cittadino dei Paesi Bassi. E’ stato cresciuto dalla madre, ha potuto usare il nome del padre solo al compimento della maggiore età, la sua pelle scura gli ha precluso anche l’ingresso nelle giovanili dell’Ajax. La bocciatura al provino effettuato per la famosa squadra di Amsterdam diventa la prima, grande prova della sua vita. Ce la farà a diventare un professionista, a dispetto di ogni dannato pregiudizio razziale. Seguendo la strada tracciata dal suo idolo, Nelson “Madiba” Mandela.

Divorare il campo

Le qualità non gli mancano: è abituato, sin da ragazzino, a ricevere palla nella propria area per poi divorare di slancio tutto il campo fino a centrare con tremende bordate la rete degli avversari. E’ alto, è veloce, ha una energia infinita, non ha paura di nulla. Gli osservatori dell’Haarlem, squadra della prima divisione olandese, arrivano prima di tutti e gli fanno firmare il primo contratto da professionista. L’allenatore, il gallese Barry Hughes, stravede per quel ragazzone imponente e lo lascia libero di seguire il suo istinto. La sua prima stagione lo vede titolare nel ruolo di difensore centrale. In teoria sarebbe l’ultimo baluardo a difesa della propria porta, in pratica ogni pallone ricevuto da Gullit è buono per prodursi in una delle sue irresistibili cavalcate. Nella seconda stagione è spostato a centrocampo ma la sua filosofia calcistica non muta di una virgola. Il tecnico è al settimo cielo, i compagni ringraziano gli Dei di averlo a proprio fianco, lui macina gioco e reti come se non ci fosse un domani. Il passaggio al Feyenoord, la squadra dove milita il leggendario Johan Cruyff, è il nuovo step della sua carriera. Gioca come ala e cresce seguendo le idee ed i consigli del carismatico compagno. Al secondo anno vince sia il campionato che la Coppa d’Olanda.

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Obbligo di vincere

Le richieste per lui si moltiplicano e nel 1985 passa al PSV, prestigioso club di Eindhoven sponsorizzato dalla Philips. E’ un cambio di livello ma soprattutto di mentalità. Adesso vincere non è più una speranza, è divenuto un obbligo. I dirigenti della squadra pretendono trofei ad ogni stagione, i giocatori sono sottoposti ad immani pressioni. Gullit accetta con entusiasmo la suo nuova sfida: è ovunque sul campo e si fa in quattro anche fuori. Parla di tutto con i compagni, smussa le tensioni tra i veterani, si propone come guida per i giovani. In due campionati ad Eindhoven vince altrettanti scudetti. E conquista anche la maglia di titolare della Nazionale olandese. Ormai, per tutti, è il Tulipano nero, un motivo d’orgoglio per il paese.

Un presidente innamorato

La sua fama è ormai di rilievo internazionale. La Juventus vorrebbe ingaggiarlo ma il limite dei due stranieri per squadra gli imporrebbe, dopo la firma, un anno di prestito ad un club minore come l’Atalanta. Tuttavia l’Italia è nel suo destino, il luogo dell’incontro è Barcellona. Ad un torneo estivo organizzato nella città catalana l’olandese ha modo di esibirsi di fronte a degli spettatori molto interessati. Lui, secondo le sue abitudini, inizia partendo dalla difesa per poi spaziare ovunque, creando gioco ed occasioni da rete, a seconda della sua inventiva. L’allenatore del Milan, Nils Liedholm, ne rimane impressionato, per lui questa polivalenza lo rende simile al brasiliano Falcao. Il Presidente rossonero Silvio Berlusconi, ne è addirittura abbagliato. E’ un colpo di fulmine, decide subito che quello è l’uomo giusto per la sua squadra. Ha preso da poco in mano un Milan in crisi di risultati, vuole rilanciarlo trasformandolo nel club più blasonato al mondo. Gli serve assolutamente un calciatore che faccia anche da uomo immagine. Uno che sa farsi notare sia dentro che fuori dal campo.

Fatti l’uno per l’altro

Il colosso olandese ha tutte le carte in regola: la sua prestanza fisica lo rende non solo irresistibile per gli avversari ma anche personaggio da copertina. Le sue esibizioni come cantante di un complesso reggae gli garantiscono ospitate in vari programmi televisivi. Il suo impegno nel sociale gli fornisce una credibilità sui media ben superiore a quella dei suoi colleghi calciatori. La sua enorme visibilità personale si riflette sulla squadra dove gioca. Berlusconi intuisce immediatamente il suo potenziale come valore aggiunto e non bada a spese pur di aggiudicarselo. Ruud fiuta la convenienza dell’affare e, per 13 miliardi, diventa rossonero. Sa bene quello che gli si chiede e si mette d’impegno per realizzare il progetto del suo Presidente. Al suo primo campionato in Italia conquista lo scudetto come  leader a 360 gradi della squadra in campo e testimonial pubblicitario fuori. Ma il suo capolavoro è il messaggio lanciato su scala mondiale in favore di Mandela.

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Il fatidico incontro

Nel frattempo l’indomabile Madiba ha riacquistato la sua libertà. Le pressioni da parte di vari organismi internazionali hanno costretto il governo sudafricano a rilasciarlo. Il suo inattaccabile carisma lo porta, in breve, ad essere eletto Presidente nelle prime elezioni democratiche del Sudafrica. Mandela non ha dimenticato la solidarietà espressagli da Gullit qualche anno prima e lo invita a recarsi nel suo paese per conferirgli una medaglia. Poche settimane dopo la sua elezione, il primo uomo di colore a governare uno stato africano riceve in forma ufficiale un altro uomo di colore, di professione calciatore, per dargli una onorificenza riservata solitamente agli eroi di guerra. L’abbraccio tra il Presidente Mandela e il Cavaliere del Sudafrica Ruud Gullit è nella storia.

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