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ZONA CESARINI – Mò me ne vado

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Con queste parole ironiche – vuole leggenda – si spense il famoso poeta e Senatore a vita, anzi Senatore a morte si definì, poichè già malato al momento dell’onorificienza, arrivata venti giorni prima della sua dipartita, il 21 Dicembre 1950.

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Tanti sono gli anni da quel 26 Ottobre 1871. Quel giorno a Roma nasce Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri che pochi anni dopo, anagrammando il suo nome, renderà omaggio alla poesia e al dialetto romanesco col nome di Trilussa.

Terzo poeta dialettale romano per importanza (dopo Belli e Pascarella) fu scrittore e giornalista, indipendente, controcorrente e satirico contro la politica e la società, spesso nascondendo dietro animali o figure retoriche i suoi bersagli.

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Di Trilussa non ci sono marcati riferimenti a una passione per lo sport o il calcio, ma alcune cose fanno sì che i tifosi biancocelesti, nel tempo, lo inseriscano tra le loro fila.

Sicuramente la sua adesione alla Massoneria faceva sì che frequentasse molti dirigenti della Lazio che, all’epoca, ne facevano parte. Inoltre c’era l’amicizia col suo mentore, Giggi Zanazzo, poeta e commediografo, assiduo ospite nell’ambiente biancoceleste.

Sono di pochi anni fa inoltre delle foto: in una si intravede un giovane podista con la divisa della Polisportiva Lazio in tutto e per tutto uguale al nostro; nel novembre 2020 il Corriere della Sera pubblica ancora una foto di persona del tutto identica al poeta a fianco di un giocatore della Lazio.

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Curiosità

Il poeta fece da padrino al battesimo del primogenito della famiglia alto borghese romana dei Ciotti, il piccolo Alessandro, poi Sandro, che intraprese la carriera di calciatore, proprio nelle giovanili laziali, per poi diventare una delle voci più caratterizzate dello sport italiano.

Derby

In un famoso derby del 1989 gli Irriducibili esibirono quattro strofe sparse, contornate dalla bandiera raffigurante Trilussa: Te n’è costata de fatica… co’ le ragazze ‘sta resistenza nu’ la trovi mica”“Da dove sei sortito, dar bagajo de quarche salumaio?“, Er vecchio ciuccio che strascina er carico è sempre più amaro, come fatichi povero somaro”, Sfonna, spara, ammazza ma non sai intigne er biscotto ne la tazza”. 

Aquile e Lupe

Tanti i riferimenti poetici ai due simboli di Roma, soprattutto il primo. Spesso usati per sbeffeggiare il potere o per sottolineare il suo amore per Roma e il disprezzo per la sua decadenza: L’uguaglianza o l’Aquila per citarne un paio. Ma quella che racchiude un messaggio per Roma, attraverso il dialogo tra i due animali “imprigionati”, è quella che un pò rispecchia quello che il calcio rappresenta oggi, unico habitat dove zebre e serpi la fanno da padrone a casa di lupi e aquile:

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L’AQUILA ROMANA

L’antra mattina l’aquila romana

che ce ricorda, chiusa ne la gabbia,
le vittorie d’un’epoca lontana,
disse a la Lupa: — Scusa,
ma a te nun te fa rabbia
de sta’ sempre rinchiusa?
Io, francamente, nu’ ne posso più!
Quanno volavo io! Vedevo er monno!
M’avvicinavo ar sole! Invece, adesso,
così incastrata come m’hanno messo,
che voi che veda? l’ossa de tu’ nonno?
Quanno provo a volà trovo un intoppo,
più su d’un metro nun arivo mai… —
La Lupa disse: — È un volo basso assai,
ma pe’ l’idee moderne è puro troppo!
È mejo che t’accucci e stai tranquilla:
nun c’è che l’animale forastiere
che viè trattato come un cavajere
e se gode la pacchia d’ una villa!
L’urtimo Pappagallo de la Mecca,
appena ariva qua, se mette in mostra,
arza le penne e dice: Roma nostra…
E quer che trova becca.
Viva dunque la Scimmia der Brasile!
Viva la Sorca isterica
che ariva da l’America!
Noj antri? Semo bestie da cortile.
Pur’io, va’ là, ciò fatto un ber guadagno
a fa’ da balia a Romolo! Accicoria!
Se avessi da rifà la stessa storia
invece d’allattallo me lo magno!

In conclusione non so se Trilussa fosse della Lazio, ma rimane un grande poeta da riscoprire sempre e qualora fosse, ce lo insegna anni dopo Billy Wilder nell’immortale A qualcuno piace Caldo (1959), che…

NESSUNO è PERFETTO

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