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ZONA CESARINI – Aiace, leggenda di Roma

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Aiace, chiamato col patronimico Telamonio per distinguerlo da Aiace Oileo, è un personaggio della mitologia greca, che appare principalmente nell’Iliade.

Figlio di Telamone e Peribea, “nipote” di Zeus, in quanto benedetto dallo stesso per intercessione di Eracle, quindi non carnale che manco sarebbe tutta ‘sta cosa, poichè  all’epoca il Re degli Dei era un pò “er Borriello der Peloponneso” e impollinava tutto ciò che respirava.

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Comunque fu benedetto appunto ed infatti era considerato il più alto e robusto degli Achei, educato alla pugna dal centauro Chirone e dallo Zio Peleo. Infatti era pure cugino di Achille che se lo portò, appunto, nella Guerra di Troia e da qui l’antica espressione “nun me fa storce che chiamo mio cugino, anzi chiamo A mio cuggino”.

Sofocle riprenderà il personaggio raccontandone il suicidio quando, reso folle da Atena, si lanciò sulla spada di Ettore, vinta in duello.

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In era moderna il prode Aiace darà il nome  al club di calcio più vincente d’Europa, l’Ajax di Amsterdam (“prendi e porta a casa Achille! Chi è ora il cugino sfigato?!”)..e a un detersivo (“mai ‘na gioia”).

Dopo i fasti dell’Ajax di Cruyff, definita dagli esperti la più bella squadra della storia, oggi i lancieri sono una nobile decaduta, non tanto in patria, dove continuano a maramaldeggiare, ma non sono più reali di  Coppe. Negli ultimi anni, grazie all’ottimo lavoro di Ten Hag, sono una fucina di talenti che comunque ha collezionato una semifinale di Champions e una finale di Europa League, quindi di tutto rispetto.

Ora alla Roma toccano proprio gli olandesi nei quarti di Europa League in un confronto tutto da giocare, a viso aperto, come da caratteristiche fin qui evidenziate dai due club. Un confronto raro, poiché i giallorossi una sola volta hanno affrontato i biancorossi, nel 2002/2003, Champions: la Roma scudettata viene eliminata agli ottavi perdendo 2 a 1 ad Amsterdam e non andando oltre il pareggio casalingo.

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Ma gli incroci ci sono per altre vie, soprattutto di mercato. E’ storia che la Roma di Capello trattò a più riprese l’avvento di Ibrahimovic, per poi virare su colui che aveva osato lanciargli le forbici nello spogliatoio, il pennellone egiziano Mido. Il fatto che non lo avesse colpito doveva far riflettere sulla mira, infatti il ragazzo collezionò zero gol in maglia giallorossa ed è tuttora affetto da pinguedine.

Più felice l’arrivo di Cristian Chivu nel 2003. Quattro anni di grandi prestazioni, purtroppo intervallati da numerosi infortuni che gli portarono il soprannome di Swarosky o Crystal Chivu, ma parliamo di un signor giocatore.

In tempi recenti la deludente doppietta Stekelenburg/Kluivert: il portiere della nazionale Orange fece una sola stagione a Roma che definire agghiacciante è un eufemismo, tanto da perdere il posto con Zeman a favore del povero Goicoechea, che probabilmente portiere manco era; il tascabile figlio di Kluivert, arrivato con sciarpa “Io ci sono” (e non ci faccio) in un biennio capitolino passato a “sognare” il Barcellona, ancora dorme e non ha capito quale ruolo in campo abbia.

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(Foto: sito ufficiale Roma)

Eppure l’incrocio più bello e romantico fu quello che non avvenne..

Nel 1997 ad allenare la Roma arriva il guru argentino Carlos Bianchi, bello come il pagliaccio di McDonald e simpatico come la Isoardi all’Isola dei famosi. Lo sciamano sembra non sopportasse un giovane promettente (ma troppo romanamente indolente) del vivaio giallorosso e quasi convinse il riluttante Presidente Sensi a cederlo alla Samp.

Prima però c’era il Torneo Città di Roma, contro Moenchengladbach e l’Ajax del talento finlandese Litmanen, sogno dell’argentino, il quale consigliò a Sensi di approfittare del confronto per andare a vederlo, per poi tentarne l’acquisto.

Peccato che il “ragazzino” si chiamasse Francesco e a 21 anni splendette nel torneo annullando le due compagini straniere e facendoci scordare che Litmanen fosse in campo. Il resto è mito e leggenda come e più di Aiace, senza raccomandazioni di cugini famosi.

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Francesco diventerà Totti appunto e Bianchi, con la faccia da “Speravo de morì prima”, fu rispedito da Sensi in Sudamerica sull’aereo dei Pinguini di Madagascar.

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