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Roma, Zaniolo: “A Roma sto bene. Inter? Non ero pronto”

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In attesa del nuovo anno e del suo ritorno in campo, Nicolò Zaniolo ha rilasciato un’intervista esclusiva alla Gazzetta dello Sport. Ecco le sue dichiarazioni, in modo integrale:

Primo ricordo di calcio“«Quando mio papà, in Carrarese-Viterbese, segnò in rovesciata un gol importante e vidi tutte le persone che si alzavano in piedi per applaudirlo. Provai anch’io una sensazione forte, di emozione e di orgoglio, da lì decisi di iscrivermi alla scuola calcio e trovai subito piacere a giocare col pallone. Avevo 7 anni. Così iniziò la mia carriera”.

Sul televisore spaccato da bambino: “Sì, giocavamo io e mio nonno, gli allungai la palla nel corridoio. Mio nonno era un po’ più lento di me, io volevo fare la scivolata, solo che l’ho fatta un po’ più lunga del dovuto e sono andato contro il televisore che mi è cascato in testa. Mi sono messo due o tre punti”.

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Sul periodo a Firenze: “Sono andato a Firenze a 12 anni, facevo la seconda media. Abitavo a Spezia e facevo tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, avanti e indietro col pulmino. Avevo ottenuto il permesso dalla preside e uscivo alle 12.50 invece che alle 13.10. Il pulmino mi portava al campo a Firenze e poi tornavo alle 9.30 di sera a casa. Tutta la settimana così, per due anni. Poi finalmente sono arrivati i 14 anni e mi sono stabilito a Firenze in convitto”.

Vivere da solo a 14 anni: “È stata dura, sono molto attaccato alla famiglia. I primi 2-3 mesi sono stati terribili. Quando stavo a casa pensavo che fosse bello andare via con gli amici e giocare al calcio. In convitto magari ti divertivi il giorno sul campo ma quando andavi a
dormire pensavi: “Sono lontano da casa, mi mancano mamma e papà”. I primi 3-4 mesi piangevo ogni sera, li chiamavo e loro mi dicevano “stai tranquillo che ti abitui e poi non ci chiamerai più”. Rispondevo ok. E piangevo. Però è andata proprio così, alla fine erano loro a chiamarmi per sapere come stavo…”.

Nuovamente sul periodo a Firenze: “Ero all’ultimo anno di Primavera, sono stato in ritiro con loro e pensavo mi tenessero. L’ultimo giorno di mercato mi ha chiamato il direttore e mi ha detto: “Non c’è spazio per te, abbiamo altri piani, non rientri nel progetto, dovresti trovarti una squadra”. È stata la svolta, ero preoccupato di non giocare, sentivo che sprecare dodici mesi sarebbe stato un errore. Ho
scelto l’Entella e da lì è andato tutto a crescere. Sembrava un passo indietro, invece era un passo in avanti”.

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Il passaggio all’Inter: “L’Inter penso abbia sempre bisogno di giocatori già pronti, già formati e io magari in quel momento non lo ero. Sono state scelte loro, li ringrazio perché poi, cedendomi alla Roma, mi hanno fatto arrivare in una città splendida come questa e in una
società solida. Giocare qui è bellissimo, per i tifosi, per la città. Sono felicissimo di essere in giallorosso”.

Sul suo esordio tra i grandi: “Il vero esordio è essere arrivato alla Roma. Il giorno in cui sono entrato a Trigoria è stato meraviglioso, perché vedere tutti questi campioni – De Rossi, Kolarov, Dzeko, Pastore – per me, che giocavo in Primavera l’anno prima, è stata un’emozione incredibile. Poi è arrivato il gran giorno, mai me lo sarei aspettato: l’esordio al Bernabeu in Champions. Di Francesco alle 11 di mattina fece la riunione, mi fermò e mi disse: “Sei pronto stasera per giocare?” E io ho detto: “Sì”. Però era un sì incosciente. Dopo averlo detto ho cominciato a tremare. Sono salito in camera e fino alle 19.45, orario di partenza del pullman, non ho dormito per niente,
non mi sono riposato. Ero teso, non ho neanche chiamato i miei, ero pietrificato. Giocare con il Real Madrid al Bernabeu come esordio tra i professionisti era una bella responsabilità. Ma devo ringraziare i miei compagni che mi hanno fatto subito sentire a mio agio. Quando sono entrato in campo per me esisteva solo il Bernabeu, la partita. Non pensavo e non sentivo nulla all’esterno, fuori dal rettangolo di gioco. Alla fine è andata bene”.

La prima convocazione: “Ero a casa con amici a Spezia perché ci avevano dato dei giorni liberi a Roma. Sono in camera, apro Sky, vado sul canale 200 e vedo i convocati di Mancini. C’era scritto anche il mio nome, c’era scritto Zaniolo. Ho pensato: “Ma come è possibile? Di sicuro hanno sbagliato perché io sono Under 21 o Under 20”. Dopo venti minuti mi arriva la chiamata del manager della Nazionale che mi dice: “Nicolò, volevo farti i complimenti. Ti aspettiamo lunedì a Coverciano”. Ho chiamato i miei genitori e sono scoppiato in lacrime”.

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Sugli episodi con Kean: “Con Di Biagio abbiamo fatto un paio di ritardi nella riunione e il mister giustamente si è arrabbiato. Riconosco di aver sbagliato, ho fatto una cavolata. Il mister doveva dare un segnale al gruppo e ha fatto la scelta giusta nel metterci fuori rosa perché devi rispettare le regole, non conta come ti chiami. Prima viene il gruppo e  poi te. Con Mancini sono sempre stati errori di ritardi: non tanto gravi, ma non si devono fare. Ci sono le regole del gruppo e le devi rispettare. Ora per fortuna non ci sta più capitando, ci stiamo concentrando solo sul lavoro, siamo maturati. Prima eravamo più ragazzini, non capivamo bene dove eravamo. Ora sappiamo dove siamo e sappiamo di volerci restare”.

Il primo infortunio: “Il primo incidente è stato del tutto inaspettato. Vedevo gli altri giocatori che si rompevano il ginocchio ma non mi sarei mai aspettato che succedesse a me. Quando è successo è stata una mazzata incredibile. Appena ho appoggiato il piede in terra è come se avessi già capito che mi ero rotto. È stato un dolore terribile. Anche ora, a pensarci, mi vengono i brividi. Mi è crollato il mondo addosso, tutto in una volta. Stavo facendo bene, era una grandissima annata, mi sentivo in forma. Una mazzata dura, un colpo da k.o.. Ma poi mi sono reso conto che gli infortuni, nel lavoro che facciamo, bisogna metterli in preventivo. Ho cercato le energie dentro di me, mi sono tirato su le maniche, ho lavorato duro e sono tornato in campo”.

Lo stato d’animo a seguito degli infortuni: “È stato peggio il secondo incidente. Quando è successo è scesa la notte. Ero rientrato contro il Napoli dal primo infortunio e mi sentivo bene, ho fatto anche due gol. Mancini mi schiera per la prima volta come titolare in Nazionale, contro l’Olanda. A un certo punto sento lo stesso dolore, con lo stesso movimento interno nell’altro ginocchio e tutto precipita.
Non nascondo che per una settimana sono stato nel letto a piangere, senza parlare, a mangiare poco. Quel crack è stato una batosta incredibile e anche per questo ho scelto di cambiare chirurgo. Mariani aveva fatto un lavoro perfetto, il ginocchio destro infatti ora sta benissimo ma ora volevo introdurre un elemento di novità, per non ripiombare in qualcosa che mi sembrava di aver già vissuto, di conoscere”.

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La conseguenza agli infortuni: “Questi due infortuni mi sono serviti molto. Professionalmente e umanamente. Mi hanno fatto male, fuori e dentro, però mi sono serviti. Prima magari in palestra ci andavo ma solo perché dovevo, ora dal lavoro che faccio lì dipende la
mia carriera, il mio futuro. Ora vado un’ora prima al campo per allenarmi di più e meglio. Prima magari mangiavi una schifezza in più, adesso ne mangi una in meno. Questi infortuni, non sembri paradossale, mi hanno consentito di crescere, di maturare. Come uomo e come calciatore”.

Sul cambiamento che ha fatto: “Prima ero un ragazzino inconsapevole che giocava a pallone. Ora penso di più agli infortuni, al corpo, a mangiare e dormire bene. Prima era tutto un po’ una festa, ora è un lavoro. Duro e bellissimo. E non vedo l’ora di ricominciare”.

Se si è mai sentito solo in questo periodo: “No, solo mai, grazie alla mia famiglia. Devo ringraziarla, nei momenti più brutti sono sempre stati presenti, hanno preso la macchina lo stesso giorno dell’incidente e sono venuti a Roma. Non mi hanno mai lasciato, per amore sono venuti con me. A causa del Covid in clinica non mi hanno mai visto. Ma stavano lì lo stesso e mi incontravano un’ora al giorno.
Non mi hanno mai lasciato solo. Altrimenti non so come l’avrei presa, la seconda operazione”.

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Sullo slittamento degli Europei: “Il primo infortunio è stato meno pesante. La coincidenza con il lockdown ha fatto sì che perdessi poche gare. Dovevo curarmi ma il campionato era fermo. Con il secondo ho preso la mazzata forte. Gli Europei sono stati spostati e restano un mio traguardo”.

Sul suo rientro: “Non ho fretta, sto lavorando bene. Ogni giorno vengo a Trigoria, dopo l’ultima visita a Innsbruck ora si aumenterà il carico e quando la gamba destra e la sinistra avranno la stessa forza e la mia testa sarà pronta, con calma rientrerò. Ho una carriera davanti, non bisogna forzare, farsi prendere dalla voglia di giocare 2-3 partite. È in ballo la carriera, il futuro”.

In previsione per la primavera: “Più o meno aprile. Al massimo. In tempo per gli Europei”.

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Un 2020 difficile: “Infatti io a papà dico sempre resistiamo ancora qualche giorno e poi andiamo in un altro anno, voltiamo pagina”.

Sulla scelta di vaccinarsi: “Se ci sarà l’opportunità sì, certo”.

Sulle possibilità della Roma di vincere lo scudetto: “Siamo partiti benissimo, la squadra c’è, siamo forti, non ci manca niente. Ora, partita dopo partita, guardiamo come andrà. Il percorso del campionato è lungo, ci possono essere degli episodi, non si sa mai. Però noi ce la metteremo tutta, per fare il massimo”.

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Su Fonseca: “È deciso, molto bravo, preparato, sta facendo bene. Ed è una persona molto leale, ti dice le cose in faccia. Che siano positive o negative e questo l’apprezzo molto. Lui e il suo staff sono molto capaci e ogni partita è preparata bene. Penso sia un grande allenatore”.

Il paragone con Totti: “Francesco è una leggenda, solo a vederlo ti vengono i brividi per quello che ha fatto, per ciò che ha dato. Totti a Roma, ma anche in Italia e nel mondo, è un campione assoluto. Anche come persona è speciale. Dopo gli infortuni mi è stato vicino. Mi ha detto di stare tranquillo perché tutti aspettano il mio ritorno. Però mi ha suggerito di farlo con calma, perché nessuno mi corre dietro”.

Sul rimprovero più grande da parte di un allenatore: “I rimproveri li ricevi da qualsiasi allenatore e cerchi di correggerti, se non sei presuntuoso. All’inizio non ero molto propenso a fare la fase difensiva e in questo devo ringraziare Fonseca. Nelle prime partite, l’anno
scorso, non mi faceva giocare per questo. Fonseca mi ha completato”.

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Il goal contro il Sassuolo: “È stata un’azione che ricordo ancora: ho fatto una cavalcata sulla fascia, sono rientrato, ho visto che con la finta i due avversari erano caduti e l’unico modo per far passare la palla era provare il cucchiaio perché erano a terra, uno mi copriva il primo palo, l’altro mi copriva il portiere. E cucchiaio fu”.

Se dovesse scegliere una sola maglia tra le partite giocate: “Roma-Porto, la mia prima doppietta in Champions. Emozione indescrivibile: segnare con lo stadio pieno che urla il tuo nome… Non ho dormito per due o tre giorni, ero sempre euforico, non mi rendevo conto di quello che avevo fatto”.

Sulla Roma. Punto d’arrivo o transizione: “A Roma sto benissimo, sono in una grande squadra, in una società importante. Sto benissimo, sono amato dai tifosi e io amo loro, la società mi sostiene e non penso a cambiare aria. Non ci sarebbe motivo”.

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Sui mondiali 2006: “Ero in Francia a Disneyland Paris. C’era Francia-Italiaelì non potevo esultare tanto. Ero in un McDonald’s nel parco. Volevo andare a fare le giostre ma nel frattempo c’era la partita e ci siamo fermati a vedere l’ultimo rigore di Grosso. Quando ha segnato siamo saltati per aria io, papà e mamma. Ci hanno guardato male, ma nulla di più”.

Cos’è il calcio per lui: “La mia vita, io vivo per il calcio. Le emozioni che provo non riesco a trovarle, a parte la famiglia e gli amici, in altre cose. Il calcio mi manca molto. E farò tutto il possibile per curare ogni minimo dettaglio e tornare presto al cento per cento”.

Fonte foto: twitter Roma

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