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ZONA CESARINI – Mi Chiamo Francesco

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Proseguono i miei stucchevoli tentativi di darmi un tono sulla critica cinematografica. La scorsa volta avevo recensito il documentario su Batistuta. Non mi bastava e volevo uccidere il mio spirito andando a vedere, doverosamente al cinema, il documentario sul MIO Capitano, Francesco Totti.

MI CHIAMO FRANCESCO TOTTI
Regista: Alex Infascelli
Genere: Documentario
Anno: 2020
Paese: Italia
Durata: 106 min
Distribuzione: Vision Distribution

Presentato al festival di Roma di quest’anno (ora su Prime), l’opera di Infascelli segue il percorso del libro, uscito scorso anno, ma soprattutto la regia si fa da parte per seguire la narrazione fatta dallo stesso protagonista.  Solo in alcuni momenti, più che altro l’incipit (bellissimo) e la fine (in verità un pò pacchiana), Infascelli mette un pò della sua teatralità cinematografica.

Francesco sceglie il “suo” linguaccio, romanesco, neanche prova a correggere la voce in nome di una dizione che avrebbe reso finto il tutto, anche qualora fosse riuscita. Molti avranno da commentare “il solito burino” (intanto il burino sta al cinema e voi sulle tastiere), mentre invece, almeno per noi, sembra di vedere un filmino di famiglia, raccontato da un parente.

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Perchè l’affetto per Totti non è solo un discorso sportivo ma, se hai vissuto il calcio come l’ho vissuto io, la cosa assurda nel rivedere questo documentario è che in ogni episodio raccontato ci sei tu.

In ogni momento rivisitato tu hai presente dove eri, geograficamente, mentalmente e socialmente. Sai in quel periodo che lavoro facevi, con chi stavi, che esperienze accumulavi. Sai in quale posto dello stadio eri seduto a Roma-Udinese e in quale postribolo seguivi Parma-Roma. Stai lì a guardare le immagini al Circo Massimo o al Corso per vedere se ti vedi.

Nei trent’anni raccontati c’è anche la tua storia, se hai vissuto quel momento. Chiaro che per i giovanissimi sarà diverso, magari lo vivranno con orgoglio, con lo spirito con cui io riguardavo le immagini di Di Bartolomei, che non ho vissuto appieno.

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Il documentario si spinge sull’autocompiacimento ma senza dimenticare da dove si è venuti e grazie a chi, con calore e senza divismi, dal “quartiere”. Col senno di poi, strazianti le inquadrature sullo “Sceriffo”, Papà Enzo, scomparso a pochi giorni dall’uscita.

Belli i passaggi su Mazzone e Zeman, per quel calcio ormai sparito, quel calcio da Pane e Mortadella (che proprio Enzo portava a Trigoria per la gioia di Pizarro che lo racconta sempre, impensabile oggi) annegato nei guardiolismi. Il Calcio dei ragazzini, degli allenatori protettivi, per cui non sei solo un trofeo da esporre ma un bene da tutelare, nutrire e rinforzare con intelligenza e valori. Il tributo doveroso a Vito Scala.

Non mancano poi i dolori, le tante stupidaggini fatte e soprattutto quell’ironia romana che lo contraddistingue (i passaggi su Cassano sono esilaranti).

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Ultimo piccolo miracolo del Capitano aver portato tanta gente al cinema, non i numeri che avrebbe fatto magari un anno fa ma in questo momento, importanti per i gestori, proprio prima dell’ennesima chiusura.

Non vado oltre, ma vi dico: non lo vedete, perchè se siete della Roma, è straziante aver avuto e perso, se non lo siete… avete solo perso.

Io personalmente lo rivedrò tra un pò di anni, magari con Riccardino, sperando di essere un pò più distaccato. Se no, sai che figuraccia a ripiagne a sessant’anni.

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