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CALCIO E STORIA – Il Maracanazo

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Il maracanazo

Ci sono storie​ che non vorremmo mai raccontare, perché il calcio è un gioco bellissimo che trasmette emozioni forti, sensazioni corporee indescrivibili, dove pianto, gioia, paura, esaltazione, sconforto, si mescolano in una pozione magica che ci stordisce e ci “avvelena” il cuore per sempre.

Tuttavia​ quando il risultato non è quello sperato, si possono verificare delusioni fortissime, come quelle​ provate dai brasiliani il​ 16 luglio del 1950 nella finale mondiale al Maracanà dove avvenne il “maracanazo”, come fu chiamato da un giornalista argentino.

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Il calcio, si sa, non è una scienza esatta, ma quel giorno la sconfitta arrivò contro ogni pronostico.

Tutto era stato concepito e vissuto come un copione già scritto che vedeva il Brasile sicuro vincitore.

Già dall’inizio di quel mondiale il Brasile partiva come favorito.

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L’assenza di molte squadre europee, ancora alle prese con i problemi di ricostruzione legati alla fine della seconda guerra mondiale, aveva di fatto dimezzato il numero di aspiranti al titolo.

Il calcio in Brasile era in ascesa ma mancava ancora il trofeo più importante: la coppa Rimet.

Anche il governo brasiliano aspirava alla vittoria per dare un segnale di forza politica ed economica al mondo intero.

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Il Brasile, dopo aver superato la fase eliminatoria a suon di gol, si trovò a giocare la partita decisiva del girone finale con l’Uruguay, avendo due risultati a disposizione, mentre la celeste era obbligata a vincere.

Allo stadio Maracanà, lo stadio più grande del mondo e teatro dell’evento, accorsero più di 180 mila spettatori.

Tuttavia, più che per incitare la propria squadra, sembrava fossero andati allo stadio solo per celebrare la nazionale futura vincitrice.

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In barba alla scaramanzia c’erano striscioni celebrativi recanti la scritta “Brasil Campeao”, nelle strade di Rio già dal mattino venne organizzato un carnevale come antipasto della vittoria che sarebbe arrivata nel pomeriggio.

In questo clima ebbe inizio la partita.

Nel primo tempo, il Brasile comandò il gioco in lungo e largo ma non riuscì a sbloccare il punteggio.

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All’inizio della ripresa, il Brasile segnò il meritato vantaggio con Friaca nel tripudio generale.

Sembrava l’inizio di una festa, ma era solo il prologo di una tragedia.

L’Uruguay trovò prima il pareggio con Schiaffino e, a dieci minuti dalla fine, riuscì addirittura a portarsi in vantaggio con la seconda rete segnata da Ghiggia, il quale trafisse, con un tiro sul primo palo, il portiere brasiliano Barbosa che si aspettava un cross.

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I brasiliani non riuscirono a riacciuffare il pareggio, che pure li avrebbe resi campioni, e dovettero inchinarsi all’Uruguay.

Alla fine della partita, tra gli spettatori, si registrarono diversi infarti e due suicidi.

Suicidi che si verificarono in tutto il paese.

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Anche il giocatore brasiliano Danilo cercò di togliersi la vita.

La cerimonia di premiazione avvenne in un clima surreale: Jule Rimet si limitò ad una semplice stretta di mano.

Gli stessi giocatori della celeste sembravano dispiaciuti per aver trasformato, loro malgrado, un evento​ sportivo in qualcosa di funereo.

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Non ci fu neanche l’esecuzione dell’inno.

I componenti della banda, infatti, non avevano con sé lo spartito di quello uruguaiano, ma solo quello brasiliano.

​Per il Brasile e per tutti gli appassionati di calcio brasiliani fu una delusione che durò a lungo.

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Per cercare di cancellarlo, la federazione brasiliana cambiò la tradizionale maglia bianca con colletto blu, in una maglia tutta blu, colore che poi divenne successivamente giallo-oro.

Al portiere Barbosa, reo di aver incassato il secondo gol, nel​ 1993, dopo quasi mezzo secolo, venne impedito di entrare negli alloggi​ ​ del Brasile, per​ il timore che portasse sfortuna.

Quella nei confronti di​ Barbosa fu veramente un ostracismo da parte di tutto il paese brasiliano che andò al di là di ogni logica umana.

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I brasiliani, si sa, sono un popolo allegro ma anche profondamente legato a determinate credenze.

Per molti anni addirittura, il Brasile non schierò più un portiere di colore come lo era Barbosa.

Quello che spezzò tale tabù fu un certo Dida in tempi recenti.

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Il Maracanazo fu un evento, per fortuna, unico, ma quello che insegnò al mondo del calcio trascende il significato di vittoria o di sconfitta e soprattutto di pronostico.

Ricordatevelo la prossima volta, quando magari​ la vostra squadra sarà avanti 2-0​ e voi, direte: “ è fatta” e soprattutto, non sparate sul pianista, pardon sul portiere…

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