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CORNER CAFE’ – Maschere di Carnevali

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Tredici giugno duemilaventi, data d’avvento. Qualcuno ha addirittura interpretato male, e la gente in giro si è lasciata sopraffare dal simbolismo, dando vita a veri e propri cori da tifo organizzato nella Casa del Signore. Checché però ne facciano i parroci ultrà – suvvia, è esso stesso marketing, il tredici giugno la Serie A dovrebbe ripartire. Dovrebbe. Perché, in realtà, nemmeno la Serie A sa davvero se scenderà o meno in campo. Tante teste, tanti pensieri e nemmeno uno concorde: lunedì si aprono i centri sportivi, e nessuno sa ancora se andrà o meno ad allenarsi. That’s Italia: polemiche costruite ad arte, castelli di carta e tanta, tanta dietrologia.

C’è addirittura chi si è stancato, di tutto questo. Ha dato loro dei pazzi, Giovanni Carnevali del Sassuolo, riferendosi – e nemmeno tanto sottilmente – a chi ancor’oggi procrastina il da farsi, nascondendosi dietro al dito di protocolli fantasiosi ed irriverenti. “Se non si torna sarà un disastro”: poche e semplici parole, da chi del resto conosce il calcio di provincia da più di qualche anno. Be’, certamente qualcuno dovrà spiegare – non il CTS, probabilmente – come risanare la perdita a bilancio di trecento e passa milioni di euro. Senza contare i fondi delle medie società, coi conti in rosso e dai tanti pensieri. Qualcuno dovrà anche spiegare perché a quarantaseimila operatori non è stato possibile tornare a fare la propria professione – Zazzaroni se ne fece portavoce in aprile. Professione che non è il calciatore, ma l’operatore video, lo steward o il fotografo. Quarantaseimila persone non sottoscrivono contratti aurei con abiti gessati e Montblanc in mano; che fanno un lavoraccio, che riescono a mantenere una famiglia fino alla fine del mese.

Forse bisognerebbe fermarsi a riflettere. Riflettere sul fatto che non sono solo le Pay TV, per molti speculatrici del nuovo millennio, a voler veder riprendere la Serie A; né lo sono solo i club, le cui ragioni a volte vanno oltre il semplice introito monetario. Forse, congelando per un momento le diatribe, ci si accorgerebbe anche di chi, nel silenzio, spera in meglio. Per sé, per altri, per tutto. Che però non può farsi sentire nemmeno urlando, tanto in basso si trova rispetto ai comodi scranni di Montecitorio, o di Via Rossellini 4. La verità, però, è che dialogare male fa comodo a tutti: si prende tempo, rimandando al futuro quello che può essere evitato oggi. Schivando abilmente languidi sguardi e bocche affamate, ché non sia mai si sporcasse il vestito in mezzo alla miseria. Indossando, giorno dopo giorno, una maschera nuova, quella che veste più comoda per l’occasione. Ché tanto, di questi tempi, se la si indossa si è dalla parte giusta.

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