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ESCLUSIVA #LBDV – De Nicola a #ACasaConVlad: “Napoli? Spero in una proposta ma non posso attendere all’infinito”

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Un ospite d’eccezione, oggi, per il nostro appuntamento social quotidiano #ACasaConVlad.

Parliamo del dottor Alfonso De Nicola, che ha rilasciato alcune dichiarazioni nel corso della diretta Instagram in compagnia dell’editore Francesco Romano.

Di seguito riportiamo l’intervista completa all’ex medico sociale del Napoli. 

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Sull’emergenza Coronavirus:

All’inizio tutti hanno cercato di sdramatizzare. Alcuni scienziati dicevano che questo virus non fosse realmente pericoloso. Altri invece lo descrivevano come un problema incontrollabile. In questo modo, diventa difficile dare credibilità ad una voce piuttosto che ad un’altra. L’impostazione della Gran Bretagna? Penso che in Italia non sia ammissibile una cosa del genere. Siamo abituati a diversi modi di relazionarci e siamo, allo stesso tempo, coscienti del pericolo che si corre”. 

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Il calcio vive un momento complicato in relazione a questa emergenza. Mettiamo il caso che si riprenda a giocare: un atleta che è stato fermo come si riattiva?

“Il problema serio è che il cervello rimane settato sull’ultima attività svolta, inattività compresa. Per un atleta, quindi, sono fondamentali i venti giorni di preparazione e, se il processo non viene metabolizzato, si rischia di chiedere troppo al corpo e di conseguenza di aumentare il rischio di infortunio. Purtroppo e per fortuna, tutti saranno in questa situazione e nessuna squadra sarà avvantaggiata o penalizzata”.

Rugby e calcio due mondi diversi:

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“C’è una grande differenza. I calciatori sono ritenuti fighettini, anche se non è proprio così. Nel rugby, con uno strappo o con un risentimento muscolare, si gioca comunque, senza attribuirvi tanto peso. Spesso, mi hanno supplicato di ricorrere a trattamenti estremi, ma sono casi molto rari ed il mio consiglio è di non sollecitare ulteriormente la parte già compromessa”.

Come nasce il rapporto De Nicola – Calcio?

È stato un colpo di fortuna incredibile perché, nel ‘90, mi specializzavo nel mio settore e venne da me Costanzo Iannotti dicendomi che c’erano alcuni calciatori della nazionale rumena in cerca di supporto. Vennero a Telese, e due giocatori ebbero problemi, tra cui Petrescu. Erano calciatori importanti e il medico era dubbioso sul loro impiego. Loro provenivano da un regime molto difficile e le conoscenze possedute erano leggermente più arretrate rispetto alle nostre. Io dissi: “Ce la faranno, applicando certe metodologie”. La Romania in quel Mondiale superò il primo turno e fu ad un passo dalla sfida con l’Italia, ma perse ai rigori contro l’EIRE”.

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Sul Bari:

Conobbi Matarrese dopo l’esperienza con la Romania. Venne a casa, insieme al cognato, a parlare con me e mio padre. Nello stesso tempo, mi cercava anche il Parma, ma il Bari fu la scelta rivelatasi, col tempo, giusta. Con la formazione in fisiatria, mi ero sempre occupato di riabilitazione degli atleti, ma mi resi conto di quanto fosse indispensabile la qualifica in Medicina dello Sport, anche grazie ad alcuni suggerimenti ricevuti. Fu il presidente Matarrese stesso, infatti, ad iscrivermi. Nel ‘96 venni chiamato per la primissima parentesi a Napoli, dove incontrai tante belle persone. Poi, per un anno, sono stato fermo e molti amici, in quel frangente, mi hanno comunque consentito di restare in qualche modo nel mondo del calcio”.

Su Cassano:

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L’ho incrociato nella mia esperienza in Puglia. Era un ragazzo con una situazione non semplice alle spalle. Matarrese lo ha aiutato sempre. Non so perché, ma Antonio non ha un rapporto fluido con le persone di una certa età. Tende ad essere ribelle e ad imporre il suo modo di pensare. Nel 2001 lo incontrai in aeroporto e mi disse: “Dottore, io ormai faccio quello che voglio, ho la fortuna di essermi realizzato”, mentre mi mostrava un Rolex su un polso e un Rolex sull’altro. Se c’è una cosa che gli ho insegnato, quando abbiamo lavorato insieme, è stata quella di chiedere scusa. Una sera, infatti, cadde dal motorino ed il giorno dopo si sarebbe disputato il derby contro il Lecce. Mi chiamò chiedendomi se potevamo attribuire la causa di quel suo infortunio ad un inconveniente accaduto durante l’allenamento, ma io gli suggerii di dire la verità, parlandone sia con lui che con la madre. E così fece. Durante una cena, si presentò e coi Dirigenti si pose così come gli avevo suggerito di fare. Mi fece molto piacere, soprattutto per lui. Fascetti e Regalia, da buoni uomini navigati di calcio, erano consapevoli del suo carattere”. 

Sul Napoli:

Il calore della gente di Napoli non l’ho trovato in nessun altro luogo. Ho avuto anche chiamate da squadre importanti del Nord, ma sono comunque rimasto in un contesto che mi è sempre piaciuto. A Napoli, ti fanno stare bene e ci sono stato volientieri. Abbiamo raggiunto risultati importanti perché abbiamo lavorato sempre in un certo modo. Quello che ho imparato nel corso dei miei studi, durante il periodo universitario, è che per prima cosa bisogna acquisire la metodologia di lavoro. De Laurentiis chiamò me perché nella finale playoff aveva perso contro l’Avellino, contando ben otto indisponibili. Stava per mollare ma, a quel punto, si rivelò molto abile Pierpaolo Marino, che lo convinse a restare. Dopo Marino, arrivò Fassone, che mi chiese un progetto scritto. Così, misi giù le idee presentate già in precedenza. Sia nel settore giovanile che nella prima squadra, bisognava formare gli atleti per renderli consapevoli delle proprie forze. Per far parte di questo gruppo, c’era bisogno di persone laureate/laureande in fisiatria e lo staff di oggi è, infatti, composto da gente competente e titolata. Sia il presidente che chi lavora con lui mi appoggiarono nella realizzazione di questo progetto, dandomi carta bianca. Nel giro di qualche anno, siamo riusciti infatti a limitare i numeri relativi agli infortuni fisici. Il tutto era basato sul concetto della prevenzione. Si analizzavano gli infortuni prevalenti e si lavorava per prevenire quel tipo di problematica”.

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Su Cavani:

Edi è un grande atleta, cosi come tanti altri. Ma lui è unico, in qualche modo, ineguagliabile. È uno che ha una resistenza al lavoro incredibile. Era nello stesso tempo abile, agile e resistente, non lo vedevi mai stanco. Una volta, a Torino, arrivò tardi a causa di un impegno con la Nazionale e Mazzarri gli comunicò di non giocare. Quella sera, rientrò nel secondo tempo e ci fece vincere con una doppietta. Anche durante le partite di allenamento, se non segnava, usciva dal campo arrabbiato. Con il PSG non lo vedo così, con quel tipo di energia rabbiosa. Nell’ultima partita in cui è tornato a Napoli l’ho visto addirittura compassato al momento dell’uscita, e non è da lui”.

Su Hamsik: 

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Marek è venuto a Napoli che aveva diciannove anni. Nel primo anno prese nove chili di sola massa muscolare. Nello spogliatoio, considerato il rapporto che si era instaurato tra noi, ci prendevano bonariamente in giro, chiamandoci padre e figlio. Marek è un atleta completo. Mi raccontava tutto e si confrontava con me per ogni cosa, accogliendo i miei consigli con stima e ammirazione. Una volta, decise di accompagnarmi ad un convegno in una scuola media, e ricordo ancora l’entusiasmo dei ragazzi quando lo videro con me. Marek è un esempio per tanti giovani, un modello di comportamento. Ogni tanto lo sento, l’ultima volta proprio un paio di giorni fa. È molto dispiaciuto della situazione attuale perché non può stare con i figli, a cui è legato tantissimo”.

Quanto manca un Marek Hamsik a Napoli?

Semplicemente gli dissi che quando sarebbe andato via lui, me ne sarei andato anch’io. Perché immaginavo una fase di declino dopo la sua partenza. Non avevo più voglia di rimanere, ho faticato. Il girone di ritorno dello scorso anno sono rimasto perché dovevo starci. Non mi aspettavo un suo addio, così come non mi aspettavo che mandassero via me, o prima ancora Paolo Cannavaro. Persone come lui o come Marek avrebbero dovuto essere confermate comunque, per lo spessore umano e per l’attaccamento mostrato alla maglia”.

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Perché il Napoli, dunque, tende a non far rimanere persone che hanno un certo attaccamento alla causa azzurra?

“Il Napoli viene da un fallimento e chi ha prelevato la Società da quella situazione si concentra principalmente sull’evitare un fallimento”.

È possibile che certi personaggi possano mettere in ombra il Presidente?

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“Non credo, ma penso si tratti principalmente di scelte mirate a far funzionare meglio l’azienda. Forse è presumibile pensare che inserire nel progetto più napoletani sia una scelta poco aziendale. In generale, la carriera di un calciatore è fatta di tre/quattro contratti, di cui il secondo deve presupporre una relazione con il terzo; quello che si riesce a guadagnare è soprattutto in questa fase. Su questo, purtroppo, speculano molto alcuni procuratori. Con altri invece si lavora bene”.

Su Benitez:

Mi ha dato una sicurezza incredibile nel mio lavoro, soprattutto quando Insigne subì l’infortunio al ginocchio. Lui, all’epoca, disse: “Non tornerà prima di un anno”, ma dopo quattro mesi, invece, Lorenzo tornò in campo. Anche quando è andato via da Napoli, Benitez mi ha chiesto consigli per altri suoi calciatori”.

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Su Ghoulam:

“È un grande personaggio, veramente di cuore. Una volta mi disse che era suo desiderio profondo aiutare chi aveva bisogno. Così, comprò duecento magliette e le regalò ai ragazzi disabili del centro riabilitativo. Una cosa del genere la fecero anche Cavani e Gargano. Un ragazzo tetraplegico che era stanco di fare le terapie, dopo averli incontrati, mostrò una forza d’animo che commosse lo stesso Edi. Se Faouzi può tornare ai suoi livelli? L’anno scorso fu recuperato perfettamente. Non credo che i suoi problemi attuali risalgono ai precedenti infortuni ma, ad oggi, di più non saprei”.

Il Presidente nutre profonda stima nei suoi confronti. 

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“Questo lo so e mi fa molto piacere. Sono arrivate molte proposte da altri club, e non so quanto posso attendere ancora. Ma la mia speranza è di poter ritornare a Napoli”.

Su Mertens:

Dries è un napoletano acquisito, lo sanno tutti. Si è fatto da solo nell’ambiente, quando arrivò non era nessuno. È uno di quei pochi calciatori nel Napoli che può risolvere le partite dal nulla”. 

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Quanto è importante la fiducia di un calciatore nei confronti del proprio medico?

“Spesso capita che i calciatori vadano da medici esterni perché essi si propongono in certi modi, soprattutto tramite gli amici dei ragazzi che, in alcuni casi, rivestono un ruolo fondamentale. I calciatori, in considerazione del fatto che vanno via da casa molto giovani e lasciano presto il nucleo familiare, tendono infatti a costruire da subito legami esterni molto forti quando si trasferiscono in un posto nuovo”.

Sul rapporto tra calcio e sesso:

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Ci sono alcuni calciatori che ne hanno bisogno prima della prestazione sportiva, considerato anche il rilascio di endorfina. Alcuni, invece, possono essere soggetti ad ansia da prestazione. Molti mi hanno chiesto addirittura come gestire la vita sessuale con la propria partner e ribadisco che si tratta di una questione soggettiva”.

Sulla sua passione per i motori: 

È una delle mie passioni, la più importante dopo quella per il calcio. L’ho condivisa con calciatori come Maggio ed Hamsik. È una passione nata da quando ero ragazzo”.

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Su Sarri:

È una persona molto affettuosa. L’ultima volta che ci siamo rivisti mi ha salutato con molto calore, tanto che rimasi addirittura sorpreso”.

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