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ZONA CESARINI – C’Eire una volta Micheal Collins…e ancora c’è

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Era il dicembre del 1921, quando Micheal Collins entrava al Parlamento di Dublino a certificare l’indipendenza irlandese dagli inglesi. Dopo anni di rivolta, decenni e secoli di soprusi, la piccola (neanche troppo) isola britannica si liberava dei suoi tiranni e li rispediva a casa. Nasceva lo Stato Libero D’Irlanda, liberamente tradotto dal gaelico Saorstát Éireann, altrimenti detto EIRE (parola evoluta da Eriu, divinità celtica della terra).

IRLANDA 2011

Ricordo bene, in un viaggio on the road nel 2011, tante cose ma tre  in particolare e distintamente.

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Ricordo la guida a sinistra, che non crea poi tanti problemi una volta abituati, ma provate ad imboccare una rotonda al contrario senza inchiodare prima. In una settimana, il mio cervello non andava in automatico e ogni rotonda doveva essere “ragionata”.

Ricordo un’altra guida, stavolta la signorina al Parlamento irlandese, dopo un’ora di giro e di nozioni storiche, con un sogghigno di grande soddisfazione, ci raccontava il giorno dell’indipendenza e la storica conversazione di Collins con l’ufficiale inglese (che potete trovare nel non riuscitissimo biopic omonimo del 1996 con Liam Neeson):

“Siete in ritardo di sette minuti, Signore”

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“Gli irlandesi hanno aspettato settecento anni…voi potete aspettare sette minuti”.

Troppo simpatici, gli irlandesi. Popolo semplice ma fiero, sempre alticci ma mai molesti, sempre allegri, sempre capaci di adattarsi e arrabattarsi con un tasso di macrocriminalità così basso che neanche nel più piccolo paesino inglese troveresti. Quanta musica fuori dai pub, quanti canti e quanta allegria. E l’ “antipatia” per gli inglesi, che personalmente condivido.

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Non c’è animale più pericoloso dell’uomo” disse Savonarola. “E non c’è uomo più pericoloso dell’inglese” proseguono gli irlandesi.

Il contributo inglese all’era moderna è indubbio in campo musicale, dai Beatles in poi, ma personalmente non faccio a meno solo dei Monty Python.

Il resto della loro storia è di dominazioni, eccidi e moderne integrazioni razziali, che oggi ci sbattono in faccia, bagnate di sangue nelle colonie.

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La penso un pò come Otto in un Pesce di nome Wanda, capolavoro del 1988 (se non lo avete visto, fustigatevi col rosario e sfruttate la quarantena). Oggi poi col loro atteggiamento nei confronti della pandemia, non si aiutano.

MA N’ERANO TRE COSE?

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Giusto. Più o meno alla fine del viaggio tra le Cliffs of Moher e direzione Galway, pranziamo in un pub della ridente Limerick, ridente già dal nome che significa “filastrocca”. Nel pub ci sono una quindicina di persone intente a vedere una specie di ibrido tra calcio e pallamano, su un campo regolamentare dove si porta il pallone avanti con le mani, ma si deve calciare al volo per SEGNARE. Affascinante. A un certo punto il canale vira sulla Premier League ed è in corso una “avvincentissima” Norwich-Stoke City.

I romanisti lo Stoke City lo conoscono solo per due motivi: un fallo da arresto in un’amichevole estiva, che rischiò di chiudere la carriera (e la capacità di camminare) a Damiano Tommasi, poi ripresosi da uomo di carattere qual è, e il successivo tentativo di redenzione, attraverso l’acquisto definitivo delle imbarazzanti prestazioni sportive di Bojan Krkic.

A un certo punto, comunque, segna il Norwich (De Laet, 37′) e il pub esplode come la curva sud. Tutti a festeggiare e brindare con enormi pinte. Mi domando: “Cosa diamine gliene cale?”.

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Nel prosieguo del match arriverà un rigore sbagliato dagli Stokes accompagnato sempre dalle urla dei clienti. Sempre a bere, sempre allegri, tanto che mi fanno appassionare a una indegna partita e, quasi quasi, tifare Norwich mentre assaporo un mega bisunto mezzo chilo di Fish & Chips.

MA ECCHEDECHE’…

Al 90′ l’imponderabile.

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Pareggia lo Stoke (Kenwyne Jones di testa ndr) e il pub riesplode nuovamente come la curva sud. Ricomincio a tentennare. Cerco di capire se prima non avevo notato altre persone, ma no, sono gli stessi quindici di prima. Pinte in mano a festeggiare anche il gol avversario.

Spaesato, mi guardo intorno e il mio sguardo si incrocia con il padrone del pub, intento ad asciugare le pinte vuote. Con una sequenza di primi piano da film americano, mi vede e sogghigna, capendo che sono in cerca di sicurezze. Alza il sopracciglio e con l’occhio mi porta su una grande bandiera indipendentista irlandese e in quello sguardo c’è un’intera conversazione.

Dovete sapere che mentre per chiedere ad un inglese un espresso , ci sono novantanove intonazioni diverse (compreso l’indicare la scritta sopra il bancone), ma l’unica giusta sarà la numero cento che lo stesso inglese con sufficienza ti pronuncerà con lo stesso tono con cui ti direbbe “brutto ritardato di un plebeo”. Invece in Italia, ed evidentemente anche in Irlanda, basta un gesto e ci puoi scrivere un libro. Quindi, cosa mi ha detto il barista? Più o meno l’ho tradotto così:

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“Caro avventore straniero, ti vedo trasecolare e vo a spiegarti quanto accade. In Irlanda, soprattutto nelle piccole province, amiamo guardare il campionato inglese ed esultare quando arriva un gol. E lo facciamo perchè nel momento in cui una squadra segna probabilmente un inglese è contento ma sicuramente ce n’è uno che se la piglia in culo

PROSIT

VIVA L’IRLANDA

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