Il diritto di fischiare : le solite fazioni
Molti, probabilmente troppi, hanno scritto molto, probabilmente troppo, sulle bizzarre vicissitudini del Napoli.
Lungi da me, quindi, avventurarmi nella ennesima caccia alle streghe, alla ricerca delle esatte percentuali di responsabilità da distribuire tra calciatori, Ancelotti e società, o delle reali, o presunte tali, motivazioni nascoste dietro il comportamento di questa o quell’altra componente.
Mi interessa molto di più, piuttosto, analizzare la ennesima dicotomia tra tifosi che fanno registrare i social: quella tra chi ritiene i fischi ai calciatori, in quanto rappresentanti della propria squadra del cuore, un vero e proprio abominio, perché “allo stadio si va per sostenere e basta”, e chi invece difende il proprio diritto a manifestare ai beniamini delle domeniche napoletane tutto il proprio disappunto.
La malattia del tifo
Da vecchio tifoso napoletano, ho riflettuto a lungo e mestamente sulle ultime vicende.
Ho continuato a guardare le partite, a tifare e a soffrire, come qualsiasi tifoso non sano di mente per definizione avrebbe fatto, anche dopo gli innumerevoli scempi consumati da calciatori, allenatore e società.
E, nonostante tutto, ho sempre sperato e spero ancora in un qualche miracolo, va bene anche se non è di San Gennaro, che risollevi le sorti della mia squadra del cuore.
Il diritto di fischiare
Malgrado sia evidentemente affetto da una forma grave di febbre a ’90, o forse proprio per questo, ho maturato e sto maturando un fortissimo disappunto nei confronti della gran parte dei calciatori azzurri, che non ho potuto manifestare allo stadio soltanto perchè, per alterne vicende, da molto non riesco ad andare al San Paolo.
Comprendo, quindi, e condivido tutti quelli che allo stadio hanno fischiato e fischiano.
Si può discutere, di certo, del momento del match in cui sia più o meno opportuno, ma trovo del tutto sacrosanto il diritto di ciascuno a fischiare.
La pretesa della verità assoluta
Eppure, per molta parte di tifosi, chi fischia non è tifoso.
L’equazione, ovviamente con il corollario della pretesa di detenere la verità assoluta e con l’aggiunta di un bel pò di retorica abbastanza melensa e stantia, sarebbe questa: fischi la tua squadra, invece di sostenerla “incondizionatamente”, dunque non sei un “vero” tifoso.
Nella migliore delle ipotesi, puoi essere al più declassato a tifoso “divanista” o tifoso “da tastiera”.
Il “vero” tifoso
Qualsiasi pretesa classificazione del tifo, esattamente come qualsiasi classificazione dell’amore, mi fa sempre sorridere, perchè si cerca di classificare l’inclassificabile.
Io rivendico il mio diritto a fischiare.
Nessuna contraddizione, nessun controsenso.
Io fischio il professionista, non la mia squadra del cuore.
Fischio la società, non il simbolo della mia passione.
Fischio l’indolenza e l’arrendevolezza, il nascondersi dietro un dito, la lontananza dalla realtà di un mondo ovattato, la non assunzione di responsabilità.
E non per questo mi sento un finto tifoso.
Continuerò a fischiare, con la speranza costante di potermi presto profondere in un applauso da standing ovation.