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NUMERO 14 – La maledizione dell’ebreo errante

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Vienna, 23 Maggio 1990. Alla vigilia della finale di Coppa dei Campioni da disputare contro il Milan, l’ex calciatore Eusebio, leggenda del calcio portoghese e attuale dirigente accompagnatore del Benfica, si reca in visita al cimitero ebraico di Wigner Zentralfriedhof. Si ferma davanti ad una tomba e depone un mazzo di fiori. La persona che riposa in quel luogo è Bela Guttmann, il suo allenatore in Portogallo quasi trent’anni prima. Un geniale girovago di origini magiare che, al momento del suo polemico addio al club lusitano, ha lanciato un tremendo anatema sulla squadra. Eusebio ha reso omaggio al tumulo del suo vecchio maestro e gli ha fatto una richiesta. Ha pregato affinché sia sciolta la maledizione dell’ebreo errante.

Calcio a passo di danza

Guttmann era nato a Budapest il 27 Gennaio 1899. I suoi genitori erano entrambi ballerini e gli avevano trasmesso la passione ed il mestiere. A 16 anni l’adolescente Bela poteva già vantare la qualifica di istruttore di danza. Eleganza ed agilità non gli facevano certo difetto ma la sua vera passione era il calcio. Dopo la consueta trafila nelle giovanili nel 1917 esordisce nella Serie A ungherese con la maglia del Torekves. E’ un trequartista di talento, tanto raffinato quanto incisivo. Due campionati di buon livello gli valgono il trasferimento al MTK Budapest, ricca società finanziata dall’alta borghesia ebraica, dove viene impostato come centromediano metodista. E’ l’ago della bilancia del centrocampo della squadra, nessuno sa impostare il gioco come lui. Il suo club vince due campionati di fila e per lui arriva anche la convocazione nella nazionale magiara, debuttando con una rete nella vittoria contro la Germania.

Fuga dalla dittatura

L’ostacolo maggiore per la sua carriera è l’ascesa al potere, nel 1920, dell’ammiraglio Miklós Horthy. Il nuovo Reggente d’Ungheria instaura subito un regime dittatoriale nel paese, con forti venature antisemite. Il giovane Bela capisce immediatamente che, in un clima del genere, le sue origini ebree sono divenute un marchio d’infamia. Decide di fuggire dall’intolleranza e firma un contratto con la squadra austriaca dell’Hakoah di Vienna. La scelta non è casuale, il suo nuovo club è il fiore all’occhiello della causa sionista e gioca con la stella di Davide sul petto. Diventa immediatamente la star del gruppo e pretende di essere trattato come tale. La sua divisa da gioco deve essere rigorosamente una maglietta di seta e, quando in Austria il campionato diventa professionistico, il suo ingaggio equivale ad un quarto dell’intero bilancio finanziario stagionale. Intanto, trova anche il tempo di frequentare l’Università e di laurearsi in Psicologia. Dopo aver trionfato in campionato l’Hakoah, nell’estate successiva, effettua una tournee di dieci incontri negli Stati Uniti. Inizialmente il pubblico americano è scettico nei confronti dei calcio, visto come una pallida imitazione del football ma, alla fine, viene conquistato dalla classe di Guttman e compagni. Alla fine del tour promozionale decide di accettare la proposta dei New York Giants e si trasferisce in America.

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Quel maledetto Venerdì

Il nuovo contratto gli costa la maglia della nazionale ma non è un gran dispiacere. Il dittatore Horthy ha infiltrato i suoi uomini ovunque, anche i dirigenti dell’Ungheria sono ai suoi comandi. Guttmann e i suoi compagni, esasperati dalle continue vessazioni dello staff dirigenziale, si ammutinano e concludono la loro esperienza con la Federazione con l’uccisione dei topi che circolavano liberamente nelle stanze dell’albergo che ospitava il ritiro dei nazionali magiari. I cadaveri dei roditori, appesi sulle porte delle loro stanze, sono il beffardo saluto di Bela agli strafottenti gerarchi federali. La sua esperienza negli States è ricca di soddisfazioni professionali ed economiche, almeno fino al crollo della Borsa di Wall Street. Il famigerato 24 Ottobre 1929, il “Venerdì nero”, segna l’inizio della Grande Depressione e la fine del sogno americano di Guttmann. Al coriaceo giramondo magiaro non resta che “fare dei buchi neri sugli occhi di Abramo Lincoln sull’ultima banconota da cinque dollari” e ricominciare ancora daccapo, tornando in Europa.

Sopravvivere all’Olocausto

Ormai ha 34 anni, è alla fine della carriera. Il suo vecchio club, l’Hakoah Vienna, gli offre la panchina. La sua esperienza e il suo acume gli consentono di trovarsi subito a suo agio come tecnico, i primi risultati giustificano appieno le sue ricche pretese di ingaggio. Ma siamo, ormai, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, l’antisemitismo imperante dilaga e la squadra austriaca viene sciolta dalla prepotenza degli invasori tedeschi dopo l’Anschluss del 1938. Bela ripara in Ungheria, dove diventa l’allenatore dell’Ujpest di Budapest. Vince sia il campionato che la Mitropa Cup ma i persecutori nazisti ormai rastrellano l’intero continente. Non c’è tregua per lui, deve scappare ancora: stavolta l’essere arrestato comporterebbe l’internamento in un campo di lavoro  e la morte. Guttman prova a raggiungere la neutrale Svizzera ma viene preso e caricato su un convoglio diretto ad Auschwitz. Sarebbe la fine per lui se non riuscisse, in qualche modo, a fuggire e a far perdere le sue tracce fino alla fine dalla guerra, vivendo in completo anonimato. Suo padre, suo fratello e i suoi zii, invece, saranno vittime dell’Olocausto.

Lo zingaro della panchina

Riemerge dal nulla a conflitto finito, nel 1945. Nel frattempo ha preso moglie. Girovaga tra Romania ed Ungheria fino ad arrivare sulla panchina del Kipest, la futura l’Honved, dove già brilla il talento dell’attaccante Ferenc Puskas. E’ l’indiscusso leader del team, l’uomo di cui Bela, fine psicologo, deve avere il controllo per gestire a suo piacimento l’intero gruppo. L’intesa tra i due sembra funzionare sino al giorno in cui Puskas lo contesta davanti all’intera squadra. Bela, compreso che il suo tempo all’Honved è finito, emigra verso l’Italia.  Inizialmente è il tecnico di squadre minori come Padova e Triestina. Prova a insegnare un nuovo tipo di calcio tecnico e veloce, votato all’attacco. Ma le idee tradizionaliste dei suoi dirigenti gli fanno terra bruciata attorno. Dopo un breve ritorno in Ungheria per collaborare con la Federazione in vista dei Mondiali del 1954 viene ingaggiato dal Milan. E’ un team di alto livello, pieno di giocatori di valore, si può puntare al titolo. Ma le alte aspettative compromettono la valutazione del buon lavoro di Bela, esonerato dall’incarico dopo sole 10 giornate di campionato. Una ulteriore parentesi italiana a Vicenza è macchiata dall’infamante accusa di omicidio colposo in seguito ad un sinistro stradale.

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Al di là dell’Oceano

C’è l’ennesimo ritorno in Ungheria per allenare la Honved e l’ennesima beffa ai suoi danni da parte della Storia. Durante una tournee in Brasile, nel 1956, i sovietici invadono la nazione. Bela, per evitare di essere coinvolto nella repressione che segue la rivoluzione studentesca anti URSS, decide di restare in Sudamerica e diventa l’allenatore del San Paolo. Conduce subito la squadra alla conquista del titolo adottando un innovativo modulo tattico mutuato dalla grande Ungheria di Puskas (il 4-2-4) che poi sarà di ispirazione al C. T. della Nazionale brasiliana Vicente Feola per costruire la squadra vincitrice del mondiale 1958 in Svezia. Ma per l’inquieto magiaro è già il momento di cambiare nuovamente aria:  torna in Europa, in Portogallo. Ed è nuovamente campione, con il Porto, nel campionato 1958-59.

Vittoria, addio e maledizione

Gli eterni rivali della sua squadra, il Benfica, lo vogliono a tutti i costi sulla propria panchina. E non fanno questione di soldi. Per lui c’è un ricco ingaggio, cospicui premi partita e compensi aggiuntivi per scudetti e coppe. Musica per le orecchie del lungimirante Bela che, dal canto suo, le pensa tutte pur di assicurarsi la vittoria. Allenamenti scientificamente organizzati, cura maniacale nella preparazione delle partite,  attenzione capillare alle necessità personali dei giocatori. Con questo metodo scopre e valorizza un fuoriclasse del calibro del mozambicano Eusebio che guida la sua squadra al trionfo nella Coppa dei Campioni 1962, vinta sconfiggendo in finale il grande Real Madrid capitanato dal suo ex allievo Puskas. E’ la seconda volta consecutiva che il Benfica si afferma nella massima competizione europea per club e sarà anche l’ultima. Infatti, dopo essersi visto negare dai dirigenti il compenso pattuito per la vittoria, Bela divorzia clamorosamente dalla squadra, l’ebreo errante pronuncia la più malefica delle maledizioni. Il profugo magiaro sfoga tutto il suo livore affermando che “da qui a cento anni nessuna squadra portoghese sarà per due volte consecutive Campione d’Europa e senza di me il Benfica non vincerà mai la Coppa dei Campioni”.

Effetti dell’anatema

La sinistra profezia si rivelerà veritiera. Se è vero che Guttman non conseguirà altri risultati di rilievo, girovagando tra Europa e Sudamerica alla guida di numerosi club è altrettanto vero che la terribile maledizione dell’ebreo errante ha impedito al Benfica di riportare in patria la Coppa vinta per l’ultima volta nel 1962. Anche se ci sono stati numerosi approdi in finale e anche se Eusebio in persona è andato a chiedere il perdono sulla sua tomba il maligno influsso di Bela si fa ancora sentire. Che il Benfica sia condannato a subire gli effetti della maledizione dell’ebreo errante per sempre?

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